CARLO I, duca di Savoia
Quintogenito (o sestogenito) fra i nove figli del duca Amedeo IX e di Iolanda di Francia, sorella del re Luigi XI, nacque a Carignano il 29 marzo 1468. La sua infanzia fu profondamente segnata dalle crisi che, prima e dopo la morte di Amedeo IX, travagliarono lo Stato sabaudo sotto il governo della madre e, quindi, nel corso del regno del fratello Filiberto I. Era ancora in vita suo padre, quand C. dovette abbandonare precipitosamente insieme con i genitori e i fratelli il castello di Chambéry, per evitare di essere fatto prigioniero dagli ambasciatori del duca di Borgogna (giugno 1471). In seguito, scomparso Amedeo IX (30 marzo 1472) e divenuto duca Filiberto I ancora minorenne, durante la reggenza di Iolanda di Francia, dopo che quest'ultima aveva preso la decisione di ritirare il suo appoggio a Carlo il Temerario battuto a Morat, il 26 giugno 1476 venne rapito insieme con la madre e col fratello minore Giacomo Ludovico da agenti borgognoni, e trattenuto prigioniero nel castello di Rouvres. Venne liberato solo grazie all'intervento di Luigi XI, ma con Giacomo Ludovico dovette adattarsi a vivere in Francia, presso la corte del re, dove furono affidati alle cure di un altro zio, Francesco d'Orléans conte di Dunois, che aveva sposato una sorella di Amedeo IX, Agnese.
Fin dalla prima infanzia C. ebbe come governatore Antoine de la Forest, che gli riuscì particolarmente utile specie nei difficili frangenti del forzato soggiorno in Borgogna. Si conoscono anche due altri istitutori del giovane principe, Niccolò da Tarsi, un canonico di Vercelli, e Gabriele Ferrari da Chieri. Quando aveva solo cinque anni, C. venne fidanzato ufficialmente alla cugina Luisa, figlia di un fratello di Amedeo IX, Giano conte del Genevese; ma allorché fu divenuto duca succedendo al fratello Filiberto I, sembra che Luigi XI abbia pensato di fargli sposare la cognata Bianca Sforza, vedova dello stesso Filiberto. Tuttavia, poiché Giano del Genevese non voleva rinunziare alla possibilità che sua figlia divenisse un giorno duchessa di Savoia, il problema fu risolto maritando Luisa al fratello minore di C., Giacomo Ludovico. In ogni caso il progetto di matrimonio con Bianca Sforza non sopravvisse alla scomparsa di Luigi XI.
Al momento della morte di Filiberto I (22 apr. 1482) C. si trovava a Châteaurenault: era il legittimo erede, e Luigi XI lo convocò immediatamente a Lione, dove lo riconobbe nuovo duca di Savoia e si proclamò suo tutore, sebbene C. avesse già compiuto il quattordicesimo anno e fosse quindi entrato legalmente nella maggiore età il 29 marzo di quello stesso anno. Come tutore del giovane principe, Luigi XI scelse i membri del nuovo consiglio ducale - che furono Antoine de la Forest, Antelmo di Miolans, Claudio di Marcossey, Giorgio de Menthon -, e si assicurò il controllo del ducato confermando due fratelli di Amedeo IX, Filippo conte di Bresse e Giovanni Ludovico vescovo di Ginevra, nelle cariche rispettivamente di governatore della Savoia e di governatore del Piemonte, che già ricoprivano. La pesante tutela francese venne resa più grave dal fatto che il nuovo duca non prese immediatamente possesso dei suoi domini ereditari, ma per quasi un anno ancora esercitò dalla Francia la sua autorità. Del resto, se Luigi XI non desiderava sollecitare il ritorno del nipote negli Stati sabaudi malgrado le ambascerie savoiarde e piemontesi che a partire dal mese di maggio vennero a reclamare il loro sovrano, dal canto suo C. esigeva dai suoi sudditi un notevole contributo in danaro per affrontare il viaggio. Finalmente gli stati del Piemonte, riunitisi in Torino il 12 ott. 1482, finirono col concedergli un contributo di 50.000 fiorini. Il duca passò ancora l'inverno nel Delfinato; quindi, dopo aver fatto il suo ingresso in Chambéry l'11 apr. 1483, raggiunse nel giugno il Piemonte. Nei primi anni del suo governo C. si educò all'esercizio del potere sotto il vigile controllo del Consiglio, che tentò di reagire alle tendenze italiane della politica sabauda manifestatesi negli ultimi tempi del regno di Filiberto I. Il partito savoiardo, favorevole al re di Francia, ebbe infatti inizialmente il sopravvento su quello piemontese, come è dimostrato dal fatto che il 4 nov. 1483 C., allora residente a Carignano, giunse sino al punto di sospendere dalle sue funzioni il Consiglio subalpino - anche se, di fronte alle reazioni degli inviati di Torino, si vide costretto a revocare il suo ordine dopo pochi giorni. Sarebbe stato d'altronde difficile che il nuovo duca potesse opporsi a lungo alle istanze dei piemontesi, dato che il loro paese avrebbe fornito un contributo finanziario indispensabile a sostegno della politica sabauda.
Fin dagli inizi del suo ducato C. fu chiamato a fronteggiare situazioni di grande momento, che coinvolgevano la riorganizzazione dei domini sabaudi, per sottoporli più direttamente alla sua autorità. L'11 luglio 1482 era morto a Torino il vescovo di Ginevra Giovanni Ludovico, zio del giovane duca, e C. aveva dovuto risolvere il difficile problema della sua successione come vescovo di Ginevra e come governatore del Piemonte. A quest'ultima carica aspirava Filippo di Bresse - altro zio di C. -, il quale, facendosi forte di promesse fattegli dal duca Filiberto I poco prima di morire, si trasferì immediatamente in Piemonte per raccogliere la successione del fratello defunto. L'atto non venne approvato dal Consiglio ducale, il quale vedeva di malocchio l'autorità che Filippo di Bresse, approfittando dell'assenza del nuovo sovrano, si andava assumendo nel complesso dei domini sabaudi. Gli fu dunque ingiunto di sottomettersi e di prestare omaggio a C. per la Bresse e per la contea di Bagé: piuttosto che piegarsi alle richieste del Consiglio, che sapeva ispirato dal re di Francia, Filippo preferì raggiungere, nel corso del mese di settembre, Basilea, dove si fermò per qualche tempo ospite di Ulrico VII di Württemberg, il quale aveva sposato Margherita di Savoia, una sorella del defunto duca Ludovico II. Prima di lasciare il Piemonte, tuttavia, Filippo si era accordato col maresciallo di Savoia, Claudio di Racconigi, per far liberare il conte de la Chambre, Louis de Seyssel, ch'egli stesso aveva fatto imprigionare ad Avigliana, all'inizio dell'anno, per ordine di Luigi XI. La situazione si fece più distesa dopo l'ingresso di C. in Savoia, quando Filippo fu convocato nell'aprile del 1483 all'assemblea degli stati di tutto il ducato riunita a Chambéry.
A Ginevra il capitolo della cattedrale, probabilmente influenzato dai confederati svizzeri - in particolare Berna e Friburgo, che temevano, specie dopo la guerra di Borgogna, le mire espansionistiche dei Savoia - il 19 luglio 1482 aveva eletto all'episcopato l'abate di Tamié, Urbain de Chevron-Villette, gradito agli Svizzeri, presso i quali era stato più volte ambasciatore. Dal canto suo, usando del diritto di riserva, il papa Sisto IV aveva nominato vescovo di Ginevra Domenico Della Rovere, arcivescovo di Tarantasia (bolla del 19 luglio 1482), ma poi il 24 luglio lo aveva trasferito alla sede di Torino, il cui titolare, Giovanni di Compeys, veniva assegnato alla cattedra episcopale di Ginevra. Tutti questi spostamenti vennero compiuti senza consultare il duca di Savoia il quale, in virtù di un indulto di Niccolò V del 10 luglio 1451, doveva dare il suo consenso ad ogni nomina di vescovi o di abati che avvenisse nei suoi domini. A sua volta C. aveva un suo candidato nella persona dello zio Francesco di Savoia, altro fratello di Amedeo IX, priore dell'ospizio di Monte Giove (l'odierno, Gran San Bernardo), di cui aveva proposto l'assunzione all'episcopato ginevrino. Sembra che, per appoggiare la candidatura del fratello, Filippo di Bresse si sia avvicinato in questa occasione al giovane principe sabaudo. L'intransigenza del papa e la volontà del duca di far valere il suo buon diritto fecero sì che la vertenza si protraesse per quasi due anni. Dopo la rinunzia di Urbain de Chevron-Villette (che il 28 maggio venne elevato alla cattedra arcivescovile di Tarantasia) il 25 maggio 1483 Giovanni di Compeys fece il suo ingresso solenne in Ginevra, ma subito, per il tramite di suoi commissari, il duca gli tolse i beni temporali che quel vescovo riconosceva da lui. Il presule tentò invano di resistere, ma il 21 settembre, di fronte al deciso atteggiamento dei commissari ducali, abbandonò la città e si recò a Roma per portare la questione davanti al giudizio del papa. Il pontefice credette di trovare una soluzione di compromesso nominando Francesco di Savoia dapprima vescovo di Carpentras e poi, in seguito al suo rifiuto, arcivescovo di Auch (20 ottobre). Il duca, tuttavia, non rinunziòalle sue pretese, e finalmente ottenne, il 14 giugno 1484, che il nuovo arcivescovo di Auch fosse nominato amministratore della diocesi di Ginevra. Lo stesso giorno Giovanni di Compeys fu trasferito alla cattedra arcivescovile di Tarantasia, vacante dal 9 nov. 1483 per la morte di Urbain de Chevron-Villette. La sede di Ginevra rimase in tal modo legata ai Savoia, ed il priore di Monte Giove - che aveva ottenuto con bolle pontificie la facoltà di riunire nella sua persona l'arcivescovato di Auch ed il vescovato di Ginevra - vi fece il suo solenne ingresso il 25 luglio 1484, "accompagnato", commenta il Gabotto, "dal solito entusiasmo comandato".
La morte di Luigi XI, avvenuta il 30 ag. 1483, se non ebbe riflessi immediati sulla politica estera sabauda, permise senza dubbio a C. di muoversi con maggior libertà d'azione e con maggiore indipendenza nell'Italia continentale mentre in Francia sua cugina Anna di Beaujeu teneva la reggenza in nome del fratello Carlo VIII ancora minorenne. Uno dei primi passi compiuti dal giovane principe dopo la scomparsa del suo potente zio fu infatti l'assunzione della difesa di Bona di Savoia, la vedova di Galeazzo Maria Sforza, nominalmente reggente del ducato di Milano, ma di fatto esautorata di ogni potere, confinata ad Abbiategrasso e separata da suo figlio Gian Galeazzo ad opera di Ludovico il Moro. In passato Luigi XI aveva esercitato forti pressioni sul duca di Bari ed era riuscito, nel settembre del 1482, ad ottenere che la cognata potesse rientrare in Milano e riavere alcune sue proprietà private; ma il complotto del 1483 aveva fornito il pretesto per confinarla di nuovo in Abbiategrasso. C. intervenne subito, inviando a Milano tre oratori che perorassero la causa della duchessa, ma le sue proteste - così come la richiesta di lasciar tornare Bona nei domini sabaudi, ove non la si fosse voluta trattare con i riguardi dovuti al suo rango - non valsero a rendere meno vessatorie le misure di sicurezza cui la duchessa madre era sottoposta. Dello stato di soggezione in cui si trovavano sia Bona sia Gian Galeazzo, C. si fece premura di informare anche il governo veneziano. Nel gennaio del 1485 fallì un piano per rapire Bona, ideato con la complicità di ambasciatori francesi e veneziani allo scopo di rovesciare gli equilibri di potere stabilitisi nel Milanese. Ludovico il Moro si limitò a far sapere alla corte sabauda che Bona sarebbe stata trattata onorevolmente, ma che per il futuro si doveva rinunziare ad ogni tentativo di sovversione. È probabile che il Moro sia stato indotto a moderare le sue reazioni per l'accaduto considerando la possibilità di una spartizione del Monferrato che gli ambasciatori del duca di Savoia - gli stessi che avevano organizzato la fallita fuga di Bona - dovevano allora discutere a Milano insieme col rinnovo del trattato di alleanza del 1471 confermato il 30 ottobre dell'anno precedente, ma rimasto senza effetti perché non ratificato entro i termini stabiliti.
Le prospettive aperte dal problema della successione del Monferrato, avevano infatti acuito gli appetiti degli Stati confinanti. Della famiglia Paleologo, signora del Monferrato, rimanevano in vita allora soltanto l'anziano marchese Bonifacio III, succeduto al fratello Guglielmo VIII nel 1483; un figlio naturale di Giovanni IV, Scipione, abate commendatario di Lucedio e di Tilieto; e due figlie di Guglielmo VIII, Giovanna - che aveva sposato il marchese Ludovico II di Saluzzo - e Bianca, ancora nubile. Il contratto nuziale di Giovanna stabiliva che, se Bonifacio III fosse morto senza figli maschi, legittimi o naturali, la successione del marchesato sarebbe stata raccolta da Ludovico II di Saluzzo. Restava tuttavia come pretendente Scipione Paleologo; e restavano i duchi di Savoia e di Milano, che aspiravano alla successione per antichi patti di reversione.Nei primi mesi del 1485 la questione del Monferrato venne regolata tra i plenipotenziari sabaudi e quelli milanesi con un formale patto di spartizione (8 marzo). Contestualmente a tale patto, venne discussa la possibilità di un matrimonio del duca di Savoia con Bianca del Monferrato, caldeggiato da Antoine de la Forest. Ludovico il Moro, che in tale unione vide subito il mezzo per togliere al marchese di Saluzzo i vantaggi derivantigli dal matrimonio con l'altra nipote di Bonifacio III, Giovanna, dette la sua approvazione e si impegnò a favorire le trattative. I colloqui si conclusero col rinnovo dell'alleanza tra i Savoia e il ducato di Milano (19 marzo).
Per quanto Bonifacio III si fosse mostrato inizialmente piuttosto restio, pure le trattative per il matrimonio tra Bianca ed il giovane principe sabaudo procedettero speditamente. A far mutare parere all'anziano marchese dovettero senza dubbio concorrere lo sdegno e la commozione per la tragica morte del nipote Scipione, fatto assassinare in Casale da Ludovico II di Saluzzo, il quale, preoccupato per l'azione portata avanti da C. e per le voci sui colloqui di Milano, aveva così inteso probabilmente eliminare il più pericoloso pretendente all'eredità monferrina (25 0 26 marzo). Il 31 marzo Bonifacio III sottoscrisse il contratto nuziale, che prevedeva per il duca di Savoia il diritto di successione per la parte del marchesato a nord del Po, nel caso in cui Bonifacio III fosse morto senza figli maschi. Il giorno successivo le nozze vennero celebrate solennemente per procura, in Casale; e vennero rinnovate a Moncrivello l'11 di maggio, dopo che furono giunte le dispense pontificie per la consanguineità dei coniugi. Questa unione, che segnò un momento importante per la ripresa della politica italiana dei Savoia, ebbe tuttavia come conseguenza, una solida, reciproca sfiducia tra il marchese di Saluzzo e il suo giovane cognato, sfiducia che non tardò a mutarsi in aperta ostilità. Già da allora Ludovico II era infatti pronto a dare ascolto ai nemici del principe sabaudo.
In questo periodo Claudio di Racconigi, che era stato estromesso dal Consiglio ducale, ma cui erano stati lasciati il governo di Vercelli e il castello di Sommariva, assegnatigli al tempo della reggenza della duchessa Iolanda come pegno per la dote della moglie Ippolita Borromeo, incamerata dal governo ducale per sopperire alle necessità finanziarie dello Stato, si sentì minacciato nei suoi possedimenti. La sua complicità con Filippo di Bresse in occasione della liberazione del conte de la Chambre l'aveva fatto considerare come sospetto al Consiglio ducale: gli furono tolti prima il titolo di maresciallo di Savoia, che fu dato ad Antelmo di Miolans, e poi il governo di Vercelli. Temendo il peggio egli aveva cominciato, nel gennaio 1485, a fortificare Sommariva, dove installò una guarnigione di cento uomini. Questa manovra non fece che aumentare i sospetti del duca e dei suoi consiglieri: l'8 aprile con lettere patenti il castello di Sommariva fu restituito agli antichi proprietari, i Roero. A maggio, coloro che occupavano il castello per conto di Claudio di Racconigi furono invitati ad abbandonarlo. L'intervento di Ludovico il Moro, sollecitato da Claudio, avrebbe forse potuto mettere d'accordo le parti, tanto più che il maestro di corte del duca, Arrighino Valperga, si era impegnato a richiedere personalmente la consegna del castello. Ma il Valperga fu assassinato nel corso della sua missione da alcuni uomini della guarnigione. Il duca raccolse allora l'esercito e pose l'assedio al castello che si arrese il 5 agosto. Claudio di Racconigi si era già rifugiato, allora, presso Ludovico II di Saluzzo.
Il marchese era già stato la causa di difficoltà con la corte di Francia: dopo la morte di Luigi XI aveva infatti tardato a prestare l'omaggio che il nuovo re, Carlo VIII, pretendeva da lui per il marchesato di Saluzzo. Dal canto suo la reggente Anna di Beaujeu, impegnata in altri problemi, aveva trascurato la questione fino al 1485. Di fronte alle reticenze di Ludovico II, il Parlamento di Grenoble riaffidò allora il marchesato al delfino e fece innalzare le sue insegne nelle principali piazzeforti del marchesato. C., cui Ludovico II aveva prestato omaggio feudale e giuramento di fedeltà due anni prima, fece togliere le insegne ed inviò un ambasciatore a protestare presso la corte di Francia, che propose di discutere la questione in un incontro a Pont-de-Beauvoisin per il mese di settembre. Qui le parti, che speravano in una soluzione di fatto, non riuscirono a mettersi d'accordo. A partire dall'ottobre 1485 C. assunse al riguardo del problema di Saluzzo un atteggiamento che avrebbe presto sfiorato la provocazione: reclamò l'omaggio di Ludovico II, ma questi rifiutò minacciando di ricorrere a chi di diritto, cioè in linea di principio all'imperatore, ma in effetti al re di Francia. Il Parlamento di Grenoble fece rialzare le insegne del delfino, ma Anna de Beaujeu, che non voleva la rottura, ordinò di ritirarle e propose un nuovo incontro per l'estate del 1486. In marzo, C. fece imprigionare alcuni familiari di Ludovico II fermati dagli abitanti di Savigliano mentre attraversavano le loro terre. Nonostante le richieste di Carlo VIII e di Ludovico II, C. rifiutò di liberarli e li fece rinchiudere nel castello di Sommariva. Così si trovò impegnato nella guerra per il dominio di Saluzzo che gli valse il soprannome di "guerriero".
Gli incontri tra i rappresentanti del re di Francia e quelli del duca di Savoia continuarono per i mesi di agosto e di settembre senza concludere sia per la difficoltà obbiettiva di trovare un'intesa sia per la peste, che obbligava i plenipotenziari a spostarsi da una città all'altra. A Saluzzo le notizie preoccupanti che circolavano sulla sorte dei prigionieri convinsero Ludovico II a tentare di liberarli con la forza e lo indussero anche a restituire Sommariva a Claudio di Racconigi. Filippo di Bresse, governatore del Delfinato dal mese di luglio, era probabilmente al corrente di tali preparativi ma non si mosse. Il 12 novembre, quando il duca aveva appena dato l'allarme, gli armati di Ludovico II si impadronirono di Sommariva prima, e poi di Fortepasso, Cavour, Pancalieri e Racconigi, piazzeforti che erano state riconosciute di dominio del marchese di Saluzzo in una sentenza del Parlamento di Parigi del 1410. C., che aveva cominciato i suoi preparativi prima del colpo di mano, reagì prontamente entrando in campagna alla testa di un piccolo esercito di 800 cavalieri e di 3.000 fanti. L'energia dell'intervento e la durezza della repressione fecero cadere rapidamente Cavour, Fortepasso, Cardè e Sommariva (10-22 dic. 1486). Ludovico II abbandonò il marchesato e riparò in Francia, dove prestò omaggio al re e gli chiese aiuti contro il duca di Savoia. Nel gennaio 1487 C. assediò Saluzzo mentre Anna di Beaujeu tentava di accomodare le cose per il tramite del nuovo governatore del Delfinato e di Filippo di Bresse; la reggente chiese inoltre al duca di Milano di ritirare il suo appoggio militare al duca di Savoia. I rinforzi richiesti da Ludovico II non arrivarono, e il 23 marzo 1487, dopo una lunga resistenza, Saluzzo capitolò: C. entrò nella città il 2 aprile. Questi rapidi successi militari incontrarono tuttavia ben presto delle grandi difficoltà sul piano politico internazionale. L'aiuto fornito al duca di Savoia da Milano e dagli Svizzeri non poteva prolungarsi troppo. Il duca pensò allora di armare un esercito stabile di 300 cavalieri e 3.000 fanti, ma gli stati di Piemonte, convocati a Torino per assumersene l'onere finanziario, rifiutarono di votare lo stanziamento. Da parte sua, il re di Francia non rimase indifferente e per manifestare il suo malumore sequestrò le rendite francesi dell'arcivescovo di Auch. A maggio venne conclusa una tregua che tuttavia fu spesso rotta da scaramucce locali: in agosto i soldati del marchese di Saluzzo occuparono Beldissero e dettero alle fiamme San Giorgio; C., poco sostenuto dal duca di Milano e minacciato dal re di Francia non reagì in modo vistoso. L'11 settembre, dopo aver consultato gli stati, finì con l'accettare l'accordo stretto a Chateaubriand, il 20 agosto precedente, tra Carlo VIII e l'arcivescovo di Auch: oltre ad un armistizio, esso prevedeva la consegna di Saluzzo a Pietro di Beaujeu e l'immediata ripresa degli incontri di Pont-de-Beauvoisin. In realtà la guerra continuò fin nel cuore dell'inverno: i capitani guasconi al servizio del marchese di Saluzzo occuparono Castigliole, Sanfront e, la notte di Natale, Villafalletto. Da parte sua C. era ben deciso a risolvere la questione con le armi perché era evidente che gli incontri di Pont-de-Beauvoisin non avrebbero dato alcun risultato. Nella primavera del 1487 egli occupò completamente il marchesato, ad eccezione di Revello, dove si era rifugiata sua cognata Giovanna del Monferrato. Il re di Francia allora impose nuovamente la sua mediazione. Il 24 maggio a Chinon costrinse C. ad accettare un accordo le cui grandi linee erano state tracciate dall'arcivescovo di Auch: Carmagnola doveva esser consegnata all'arcivescovo e Saluzzo a Pietro di Beaujeu, mentre le truppe dei due avversari si sarebbero ritirate sulle posizioni occupate prima di Pasqua. L'accordo prevedeva inoltre una ripresa degli incontri; ma in caso di un loro fallimento, tuttavia, sarebbero stati designati due arbitri che avrebbero dovuto risolvere entro un anno la questione dell'omaggio. Gli stati di Savoia riuniti a Chambéry alla fine di giugno sconsigliarono al duca di accettare l'accordo di Chinon; mentre quelli del Piemonte ed i rappresentanti di Ludovico il Moro si mostrarono favorevoli alla conciliazione. Quest'ultimo atteggiamento, che finì per prevalere, era dettato dalla prudenza perché il governatore del Delfinato cominciava a raccogliere truppe per intervenire nel marchesato di Saluzzo. Il 2 luglio il duca ratificò l'accordo di Chinon; il 12, Luigi di Maraffin prese possesso delle piazzeforti di Saluzzo in nome di Pietro di Beaujeu, mentre l'ammiraglio di Rodi Merlo Piossasco prendeva possesso di Carmagnola in nome dell'arcivescovo di Auch. L'ambasciatore imperiale, latore dei diplomi che investivano del marchesato C., arrivò troppo tardi per impedire un accordo col re di Francia. Gli incontri di Pont-de-Beauvoisin si risolsero in un nulla di fatto. Così la decisione fu rimessa agli arbitri, che furono Pietro di Beaujeu per il re di Francia, e l'arcivescovo di Auch per il duca di Savoia. Ma anche questa volta i risultati furono deludenti: l'incontro previsto per il 12 nov. 1488 a Salins non poté aver luogo e fu rimandato a dopo Natale.
Il duca non era affatto soddisfatto dell'accordo di Chinon, che lo aveva privato dei migliori risultati conseguiti sul campo. I fratelli de la Forest, i consiglieri che più l'avevano spinto ad accettare l'accordo, caddero in disgrazia e la politica di C. si orientò sempre più verso Milano, che l'aveva sostenuto nella sua lotta contro Ludovico II. D'altro canto, C. non era stato estraneo alla decisione dei Genovesi di mettersi sotto la protezione degli Sforza per garantirsi dalle ambizioni fiorentine (luglio 1487), e Filippo di Bresse, incaricato da Anna di Beaujeu di convincere il doge di Genova a consegnare la sua città al re di Francia, non ignorava certo gli intrighi di suo nipote. Appena libero dagli impegni militari della guerra di Saluzzo, C. fece sondaggi presso Gian Galeazzo e Ludovico il Moro per farsi ammettere nella Lega italica ed incontrò lui stesso Ludovico alla fine dei luglio 1488.
In ottobre C. partì per Nizza, dove si trattenne dal 30 ottobre al 14 novembre: lo scopo più probabile del viaggio era la soluzione di una vertenza sul pedaggio di Saint-Laurent, che una sentenza arbitrale emessa nel 1488 dal vescovo di Grasse non era riuscita a definire. Rientrato in Piemonte, C. si preparò ad eseguire un progetto di cui aveva già informato gli stati riuniti a Torino nel giugno 1487: recarsi in Francia per trattare direttamente con Carlo VIII la questione dell'omaggio del marchesato di Saluzzo. Sebbene non vi fosse un conflitto aperto tra la corte di Francia e quella di Savoia, sembra che l'idea di C. non abbia suscitato l'adesione immediata del re. Il salvacondotto che l'araldo di Savoia richiese nel gennaio del 1489 si fece attendere due mesi.
C., il quale era partito per la Francia alla fine del mese di marzo, vi rimase dall'aprile al luglio del 1489. Sulla questione particolare di Saluzzo non fu raggiunto alcun concreto risultato, tranne che il termine per la decisione arbitrale venne prorogato di un anno. In compenso C. ottenne l'appoggio di Carlo VIII per certe sue rivendicazioni. La prima riguardava il vescovo di Sion, che in forza di un arbitrato imposto dalle Leghe svizzere nel 1478 deteneva il Basso Vallese, territorio che gli abitanti del Vallese rifiutavano di restituire al duca dopo essersi ritirati dal Chiablese alla fine della guerra borgognona. La seconda rivendicazione concerneva il marchese del Monferrato, che avrebbe dovuto consegnare alla duchessa Bianca la sua parte di entrate sulla dote di sua madre Elisabetta Sforza. Questo viaggio fu inoltre l'occasione della riconciliazione ufficiale fra C. e suo zio Filippo di Bresse, che il 27 giugno, ad Amboise, gli prestò omaggio per le signorie di Bresse e Romont, la contea di Bagé e tutte le terre del duca che erano sottoposte al suo governo.
Rientrato in Savoia, C. si affrettò a chiedere un cospicuo sussidio agli stati tenutisi a Chambéry dal 26 luglio al 4 agosto, e quindi a quelli del Piemonte riuniti a Torino il 15 settembre, per saldare le spese della guerra di Saluzzo e del viaggio in Francia. In autunno cercò di risolvere con un arbitrato la contesa del Basso Vallese: grazie alla mediazione di Berna e Friburgo, i rappresentanti delle parti si incontrarono il 2 ottobre e decisero di rimettersi ad un arbitrato da pronunziarsi il successivo 11 novembre a Saint-Maurice. Dopo il fallimento di questo ulteriore tentativo, un nuovo incontro avvenuto il 2febbraio 1490 non diede alcun risultato.
Durante i mesi di gennaio e febbraio del 1490, mentre la salute di C. cominciava a peggiorare, gli ambasciatori del re d'Aragona, di Ludovico il Moro e di Ferrante d'Aragona vennero per sondare la sua posizione a proposito del conflitto che opponeva Innocenzo VIII al re di Napoli. Ma inutilmente. C., che si era stabilito a Pinerolo, morì nella notte tra il 13 ed il 14 marzo 1490.
Venne sepolto in S. Francesco, nella tomba dei principi d'Acaia. Dopo la distruzione di questa chiesa nel sec. XIX le sue spoglie furono traslate nella chiesa di S. Maurizio, dove una sola iscrizione ricorda i nomi dei principi di Acaia e di Savoia.
Dal suo matrimonio con Bianca del Monferrato aveva avuto due figli: Iolanda Ludovica (11 luglio 1487-12 sett. 1499), che sposò nel 1496 Filiberto II di Savoia; e Carlo Giovanni Amedeo, che nella storiografia viene spesso indicato come Carlo II. Nato a Torino il 23 giugno 1489, Carlo Giovanni Amedeo aveva appena nove mesi quando suo padre morì. Riconosciuto duca di Savoia sotto la reggenza della madre, ebbe come primo governatore Antoine de Saumont, già consigliere di C.; poi, dal luglio del 1490, l'ammiraglio di Rodi Merlo Piossasco e, alla morte di quest'ultimo, l'arcivescovo di Tarantasia Corino Piossasco de Feys. Di costituzione fragile, il piccolo duca morì a Moncalieri il 16 apr. 1496, e fu sepolto nella chiesa di S. Maria, accanto alla tomba del beato Bernardo di Baden.
Fonti e Bibl.: Iuvenalis de Aquino Chronica, a cura di D. Promis, in Mon. Hist. Patriae Scriptores, I, Augustae Taurinorum 1840, coll. 694-706; Chronica latina Sabaudiae, a cura di D. Promis, ibid., coll. 622-666;P.Vayra, Degliautografi dei principi di Casa Savoia, in Curiosità di storia subalpina, XIX (1882), pp. 440-442;A.Tallone, Parlamento sabaudo, V, Bologna 1932, pp. 303-448; IX, ibid. 1937, pp. 367-436; X, ibid. 1938, pp. 315-346;S. Guichenon; Histoire genéalog. de la Royale Maison de Savoye, Lyon 1660, I, pp. 484-488, 574-582; II, pp. 428-431;C. Usseglio, Bianca di Monferrato duchessa di Savoia, Torino 1892, pp. 1-141; F. Gabotto, Lo Stato sabaudo da Amedeo VIII ad Emanuele Filiberto…, II, Torino-Roma 1893, pp. 293-394, 449, 525; M. Zucchi, I governatori dei principi reali di Savoia, in Misc. di storia ital., s. 3, XXII (1925), pp.21-27;C. Monnet, Bayard et la Maison de Savoie, Paris-Turin 1926, pp. 1-41; M. C. Daviso di Charvensod, Filippo II il Senzaterra, Torino s.d. (ma 1941), pp. 227-270;L. Marini, Savoiardi e Piemontesi nello Stato sabaudo(1418-1601), I, Roma 1962, pp. 252-278.