GRABHER, Carlo
Nacque a Terni, il 25 apr. 1897, da Giuseppe e da Paolina Locci. Dopo gli studi liceali si iscrisse, nel 1915, alla facoltà di lettere e filosofia dell'Università di Pisa. L'anno seguente fu immatricolato nell'Aeronautica e l'11 genn. 1917 fu assegnato al battaglione dirigibilisti. Il 15 genn. 1918, nominato provvisoriamente sottotenente di complemento e confermato nel grado il 16 giugno, fu inviato in zona di guerra, a Fortezza, presso la 60ª sezione aerostieri con la specialità di "osservatore dal pallone frenato". Qui si distinse al punto da meritare la croce di guerra che gli fu concessa il 13 ott. 1918. Il 28 apr. 1920, immediatamente prima di congedarsi (6 maggio) conseguì a pieni voti la laurea in lettere a Pisa sotto la guida di F. Flamini, dalla cui scuola sviluppò probabilmente una predilezione per Dante.
Aveva acquisito nel frattempo buone conoscenze di francese e di russo, né era digiuno di tedesco e inglese.
Iniziò, all'indomani della laurea, la sua carriera di insegnante nel liceo ginnasio Visconti di Roma, quale supplente di italiano e latino, finché nel 1924, vinta la cattedra per le stesse discipline al liceo Garibaldi di Palermo, per non spostarsi da Roma, accettò di essere messo a disposizione come docente di letteratura italiana e straniera presso un liceo artistico. Dal 1928 tornò a insegnare nei licei classici essendogli assegnato come sede il Mamiani di Roma. Libero docente in letteratura italiana (1941), dal 1944 al 1949 fu incaricato della materia presso la facoltà di magistero dell'Università di Roma. Dal 1950 al 1952 tenne la cattedra di letteratura italiana all'Università di Cagliari, ove, nell'ultimo anno, fu preside della facoltà di magistero. Nel 1953 fu trasferito all'Università di Catania, ove rimase fino al 1958, quando passò all'Università di Perugia. Divenute precarie le sue condizioni di salute, nel 1965 anticipò il distacco dal lavoro con un congedo che si protrasse fino alla collocazione fuori ruolo avvenuta nel 1967.
Il G. morì a Firenze il 22 ag. 1968.
Dopo la pubblicazione di due saggi, rispettivamente sul beato G. Colombini (Un mistico e il suo amore, in Quaderni di Bilychnis, s. 2, IX [1921]) e su S. Di Giacomo (L'azione muta nel teatro di Salvatore Di Giacomo, in Rivista d'Italia, XXVI [1923]), e di un'antologia commentata di poesie e prose del Giusti (Poesie e prose scelte di G. Giusti, con introduzione e commento, Milano 1928), il G. si impose all'attenzione come critico con un notevole commento alla Commedia, subito recensito positivamente (pur con qualche riserva) da studiosi della levatura di M. Barbi (in Studi danteschi, XIX [1935], poi in Id., Con Dante e con i suoi interpreti, Firenze 1941, pp. 34-47) e F. Maggini (in Giornale storico della letteratura italiana, CV [1935], pp. 128 s.) e insignito, nel 1938, del premio Besso.
La prima edizione uscì tra il 1934 e il 1936 presso La Nuova Italia di Firenze, la seconda fu pubblicata da Principato (Milano-Messina 1950), mentre l'ultima da Laterza (Bari 1964, con le illustrazioni, non molto apprezzate, di T. Zancanaro: cfr. F. Salsano, Il commento di G. alla Divina Commedia, in L'Alighieri, VIII [1967], pp. 81-88). Accanto a queste edizioni, che contengono aggiornamenti di non poco momento, si registrano numerose ristampe che testimoniano il successo del commento nelle scuole. In funzione degli studenti fu infatti pensato, come risulta dall'introduzione, in cui si manifesta l'intenzione di produrre un agile sussidio alla comprensione del testo, e al tempo stesso una chiara indicazione di lettura e di fruizione del poema nella sua parte "viva e vitale". Si trattava anche di offrire alla scuola un prodotto diverso rispetto a quello costituito dai commenti danteschi di maggior successo in quegli anni (lo Scartazzini-Vandelli e il Casini-Barbi), sia l'uno, sia l'altro, benché in misura diversa, ricchi di erudizione al punto da soffocare nello studente il gusto della lettura e il senso della continuità della stessa. A evitare questi due inconvenienti è volto principalmente il lavoro del G.: più precisamente al primo obiettivo è ordinato il cosiddetto "commento estetico", cui l'autore dedica larghissima parte, non immune in questo da una certa ovvia influenza di B. Croce. Per conseguire il secondo evitò un commento troppo frammentario, riunendo le singole notazioni in chiose di maggiore respiro che fossero in grado di presentare nel loro complesso la problematica dei singoli episodi, che in altri commenti viene invece destinata alle introduzioni ai canti. Ne risulta uno strumento molto valido da un punto di vista didattico, considerati i tempi, e al tempo stesso rigoroso sul piano scientifico dell'informazione sia storica, sia linguistica, che inoltre fornisce, talvolta, spunti critici di notevole finezza a tutt'oggi degni di essere meditati. La seconda, e più la terza, edizione segnano una notevole maturazione dello studioso, sia per un graduale affrancarsi nei giudizi estetici dal dualismo crociano di poesia e non poesia, sia per avere fatto tesoro di alcune riserve avanzate da Barbi a proposito della prima edizione circa un certo impressionismo critico di alcune note, in cui si sviluppava una forse eccessiva attenzione per gli aspetti fonosimbolici (o presunti tali) della poesia dantesca.
Negli anni che separano la prima dalle successive edizioni, il G., accanto a un cospicuo numero di lecturae della Commedia sollecitate da motivi occasionali (Il canto XXXII dell'Inferno letto nella Casa di Dante in Roma, Firenze 1940; Il canto XVII del Paradiso letto nella sala di Dante in Orsanmichele, ibid. 1940; Il canto V del Purgatorio letto nella sala della Biblioteca Classense in Ravenna, ibid. 1942; Il canto XI del Purgatorio letto nella sala della Biblioteca Classense in Ravenna, ibid. 1942; cfr. inoltre la rec. alle lecturae di Inf. XXXIII e Par. XVII di G.A. Venturi, in Studi danteschi, XXVI [1942], pp. 197 e 203 s.), aveva dato vari contributi su problemi importanti della critica dantesca, come quello sulla concezione del limbo (Il limbo e il nobile castello, ibid., XXIX [1950], pp. 41-60), quello sulla questione dell'influenza della cultura islamica in Dante, risolta con un sostanziale scetticismo circa la possibilità di contatti (Possibili conclusioni su Dante e l'escatologia musulmana, in Siculorum Gymnasium, VIII [1955], pp. 164-182) e quello sulla funzione simbolica dei mostri nell'inferno, dove si segnala, in non celato disaccordo con il Croce, la rivendicazione della libertà creatrice dantesca sui sovrasensi e sugli elementi concettuali (Mostri e simboli dell'Inferno dantesco, in Annali della facoltà di lettere e filosofia e di magistero dell'Università di Cagliari, XXI [1953], pp. 45-66).
Se Dante costituì l'interesse primario del G. e l'autore su cui egli diede più duraturi contributi, non vanno sottovalutati gli studi su almeno altri tre autori: G. Boccaccio, L. Ariosto e A. Beolco detto Ruzzante. Sul primo pubblicò una monografia (G. Boccaccio, Torino 1941) e un'antologia commentata (Dal "Decameron" e dalle opere minori di G. Boccaccio: passi scelti da tutte le opere in volgare, dal "Buccolicum carmen" e dalle "Epistole", ibid. 1942: cfr. la rec. di R. Spongano, in Leonardo, XIII [1942], p. 180). Del secondo studiò teatro e poesia minore (Sul teatro dell'Ariosto, Roma 1946; La poesia minore dell'Ariosto, ibid. 1947: cfr. rec. di A. Roncaglia, in L'Italia che scrive, XXX [1947], p. 77, e di G. Fatini, in Nuova Antologia, febbraio 1948, pp. 181-185). Sul terzo produsse una monografia (Ruzzante, Milano 1953) che venne a colmare la lacuna, fortemente sentita dalla critica letteraria italiana in quegli anni, di un compiuto e organico saggio sul Beolco (cfr. le recensioni di S. Romagnoli, in Belfagor, VI [1954], pp. 718-722; G. Santangelo, in Rassegna della letteratura italiana, LVIII [1954], pp. 258-260; S. Antonielli, in Giornale storico della letteratura italiana, CXXXII [1955], pp. 449 s.).
C'è da notare subito una certa omogeneità nella scelta dei temi, segno di propensioni assai precise. Anzitutto l'interesse non si appunta su autori minori o minimi, ma solo sui grandi, entro cui deve sicuramente iscriversi anche Beolco, per quanto scrittore di risonanza inferiore. In secondo luogo, tenendo conto che lo studio sull'Ariosto è relativo al teatro e alle poesie minori entro cui hanno parte importante le Satire, questi autori si caratterizzano per rappresentare bene diverse forme della categoria del realismo. La prima delle caratteristiche menzionate è conseguenza della predilezione dello studioso a cimentarsi nel giudizio estetico, piuttosto che nell'erudizione; e probabilmente nella scelta di quegli autori non mancò neppure una ragione didattica, come quella di fornire un idoneo viatico alla lettura di testi capitali a studenti liceali o universitari. Di qui deriva una sana concretezza nel privilegiare gli aspetti contenutistici (che non significa per altro obliterare i formali), il linguaggio piano, l'ordinata esposizione e soprattutto quel continuo rinvio ai testi, sempre citati con generosità, quasi che mai si sia spenta l'iniziale vocazione a fare un commento.
E anche di vocazione sorta nel G. fin dall'inizio della carriera di critico si dovrà parlare a proposito dell'utilizzo della categoria di realismo quale specola per valutare l'atteggiamento, prima che artistico, psicologico e morale dell'autore nei confronti della vita. Entro tale interesse per l'introspezione psicologica si colloca bene una raccolta di quattro saggi foscoliani, incentrati rispettivamente sull'Ortis, le Grazie, i Sepolcri e l'ode All'amica risanata (Interpretazioni foscoliane, Firenze 1948), e pure un intervento sulle Rimembranze leopardiane (L'idillio "Le rimembranze" del 1816 nella prospettiva della formazione leopardiana, in Studi di varia umanità in onore di F. Flora, Milano 1963, pp. 626-643). Quando morì stava lavorando a un volume (a quanto consta da una sua dichiarazione rilasciata al consiglio di facoltà del 24 genn. 1968) su Monaldo Leopardi.
Non si può passare sotto silenzio, infine, un'intensa attività di traduttore dal russo, iniziata dal primo dopoguerra e durata fino al 1948, nella quale il G. si dimostrò, fin da giovanissimo uno dei migliori tra i traduttori di quegli anni (cfr. E. Lo Gatto, in L'Italia che scrive, VII [1924], p. 31), per avere una notevole conoscenza della lingua e un gusto di lettore fine, che gli consentì la stesura di pregevoli introduzioni e saggi critici.
Al G. va il merito di avere validamente contribuito a far conoscere in Italia autori quali Gogol´ (N. Gogol´, Come Ivan Ivanovic questionò con Ivan Nikiforovic, traduzione e studio critico, Roma 1923), A.P. Čechov (v. la monografia Anton Cechov, Roma 1929, e la traduzione di tutto il teatro, Firenze 1948, che raccoglie anche testi già pubblicati singolarmente), F. Sologub (Fiodor Sologub, in Russia, IV [1925]), I.S. Turgenev (cfr. Turgheniev e il suo teatro, in La Fiera letteraria, 1° ag. 1926, e la traduzione di Pane altrui, Venezia 1927), I.S. Šmelëv (Ivan Šmelëv, in Riv. di letterature slave, I [1926]), I.G. Erenburg (traduzione di Il secondo giorno, con saggio critico, Roma 1945).
Oltre alle opere e ai contributi critici citati nel testo, sono da ricordare: Ruzzante, in Letteratura italiana. I minori, II, Milano 1961, pp. 1157-1181; Beolco, Angelo, in Diz. biogr. degli Italiani, VIII, Roma 1966, pp. 740-746, e la raccolta Studi di C. Grabher, Perugia 1969 (numero speciale degli Annali della facoltà di lettere e filosofia dell'Università degli studi di Perugia, V [1967-68]).
Fonti e Bibl.: G. Getto, Aspetti della poesia di Dante, Firenze 1947, pp. 64, 67 s.; A. Vallone, La critica dantesca contemporanea, Pisa 1953, p. 25; E. Caccia, I commenti danteschi del Novecento, in Cultura e scuola, IV (1965), 13-14 (numero monografico dedicato al VII centenario dantesco, pubblicato anche come volume a sé con il titolo Dante nella critica d'oggi, a cura di U. Bosco, Firenze 1965), pp. 306 s.; G. Mariani, Ricordo di C. G., in Rassegna di cultura e vita scolastica, XXII (1968), 11-12; Id., C. G., in Letteratura italiana. I critici, V, Milano1970, pp. 3533-3546 (con ampia bibliografia); N. Carducci, G., C., in Enc. dantesca, III, Roma 1971, p. 255; A. Vallone, Storia della critica dantesca dal XIV al XX secolo, in Storia letteraria d'Italia (Vallardi), IV, 2, Milano 1981, p. 1000.