GONDI, Carlo
Nacque a Firenze il 20 sett. 1413, terzo figlio di Silvestro di Simone e di Alessandra di Taddeo Donati.
La famiglia Gondi era antica e ben radicata a Firenze, ma, più volte colpita dal bando a causa delle sue tendenze ghibelline, era tenuta ai margini della vita politica e non era particolarmente ricca di mezzi. Alla fine del Trecento la famiglia si divise in due branche, quella di Lionardo e quella di Silvestro, che all'inizio del Quattrocento riuscì a riavvicinarsi ai vertici del potere politico. Non a caso, dunque, il fratello maggiore del G., Simone (1403-49) poté giungere alla carica di priore nel 1435, primo della sua famiglia, e poi ancora nel 1445 e nel 1449.
Sulla giovinezza del G. non si hanno notizie. Nel 1433 passò gli scrutini per essere abilitato alle cariche pubbliche e nel 1434 fu registrato nel libro dei consoli della porta di S. Maria Novella. Non si impegnò però attivamente nella lotta politica, ma esercitò le attività mercantili tipiche della sua classe, mantenendo una posizione subordinata rispetto al fratello maggiore, vero capo della famiglia.
Le cose cambiarono a partire dal 1449, quando Simone morì, probabilmente di peste, mentre il G. era riuscito a fuggire l'epidemia ritirandosi con il fratello minore Mariotto nelle tenute che la famiglia possedeva in Mugello. Tornato a Firenze alla fine dell'epidemia, il G. sposò in data non precisata Alessandra di Filippo Valori, assunse la direzione degli affari di famiglia ed entrò attivamente nella vita politica. Già nel 1451 fu eletto priore e poi membro della magistratura degli Otto, iniziando un cursus honorum forse meno brillante di quello di altri patrizi fiorentini, ma più che adeguato per una famiglia di non primissimo piano e dotata di mezzi economici tutto sommato modesti. Il successo politico del G. aveva numerose motivazioni: la fine della discriminazione nei confronti delle famiglie ghibelline, il progressivo miglioramento della situazione economica dei Gondi, il bando recentemente comminato alle famiglie legate alla fazione antimedicea degli Albizzi, che restringeva fortemente il numero dei cittadini potenziali titolari di cariche pubbliche. La principale fu però senza dubbio il legame familiare che univa il G. al potente Luca Pitti, uno dei principali sostenitori del potere mediceo, in virtù del matrimonio della sorella Nanna con Roberto Pitti.
Dopo aver ottenuto il priorato il G. non occupò altre cariche pubbliche per diversi anni. Anche se non ci sono notizie certe in proposito, sembra che in questa fase si sia dedicato prevalentemente all'attività mercantile, come produttore e commerciante di tessuti, almeno fino al 1456, quando liquidò la sua azienda di seta. Nel 1455 gli nacque la prima figlia, Caterina Camilla, cui seguirono Ginevra Margherita (1458), che sposò Francesco Rinuccini, Picchina Maria (1459), che fu moglie di Zanobi Carnesecchi, Bernardo Geronimo (1462), che sposò Susanna di Pietro Alamanni, Marietta (1465), che fu moglie di Filippo Tanagli, e infine Filippo Matteo (1474), che sposò Alessandra di Pier Capponi.
All'inizio degli anni Sessanta del Quattrocento il G. rientrò nella vita politica, assumendo, nel 1462, la carica di commissario ad Arezzo. Tornato a Firenze, fu di nuovo priore nel 1464, in una situazione politica in grande fermento che finì per travolgerlo.
Alla morte di Cosimo de' Medici il figlio Piero aveva potuto assumere la guida della fazione medicea e il controllo su Firenze grazie anche all'appoggio di Luca Pitti. Il gruppo dirigente mediceo presentava però numerose crepe al suo interno, a causa delle oscure trame ordite dallo stesso Pitti e della rivalità tra Piero de' Medici e il potente Angelo Acciaiuoli, che occupava il delicato ufficio di accoppiatore, preparava cioè le "borse" da cui erano estratti i nomi dei principali magistrati. Il G. aveva qualche legame con l'Acciaiuoli, che si disse disposto ad appoggiare la sua elezione a gonfaloniere. Inizialmente, il G. fu felice di questa prospettiva che, come scrisse, "pareva dare principio grandissimo alla casa" (Corbinelli, I, Preuves, p. CXCVIII), ma ben presto si rese conto che in tal modo si sarebbe trovato al centro della contesa tra i Medici e alcune delle principali famiglie magnatizie. Nel giugno 1465 il G. ruppe gli indugi e si recò personalmente da Piero de' Medici per riferigli quanto promessogli dall'Acciaiuoli e ottenere il suo gradimento. Piero lo accolse benevolmente ma, quando sentì fare il nome dell'Acciaiuoli, si alterò e sfogò tutto il suo risentimento contro la fronda delle famiglie magnatizie. Il G., a sua volta, cercò di battere in ritirata e si offrì di dissuadere l'Acciaiuoli dall'appoggiarlo, ma Piero de' Medici gli ingiunse di non prendere alcuna iniziativa. Alla fine il G. fu eletto gonfaloniere nel 1465, cosa che, come scrisse, "arecò grande onore, ma fu con grande invidia" (ibid., p. CXCIX). Nel 1466 la situazione precipitò. Gli schieramenti erano ormai formati e anche Luca Pitti ruppe i ponti con Piero de' Medici, che decise di difendere a ogni costo quanto restava del regime mediceo. Alla fine di agosto del 1466 Piero riprese il controllo della situazione, grazie anche all'appoggio di truppe milanesi, e fece arrestare o esiliare i principali oppositori. In questa situazione anche il G., personaggio tutto sommato di secondo piano e incapace di giocare un ruolo politico veramente autonomo, finì per essere travolto. L'8 sett. 1466, al termine di un processo sommario, fu privato dei diritti politici per vent'anni e fu condannato a pagare una multa di 1500 fiorini.
Nel suo Libro di ricordi il G. sostenne di essere stato condannato a torto. Colpevole solo di aver sottoscritto una dichiarazione filorepubblicana, egli avrebbe così finito per "avere perduto l'onore e la roba e gl'amici e parenti" (Rubinstein, p. 200), compromettendo l'ascesa della sua famiglia. In effetti, sembra che la vera ragione della condanna del G. non vada ricercata in qualche atto deliberatamente volto ad abbattere il regime mediceo, ma nella sua assunzione della carica di gonfaloniere, che lo collocava automaticamente nel gruppo ribelle di Acciaiuoli e Pitti.
La condanna concluse definitivamente la carriera politica del G. e lo fece ripiombare nell'oscurità. Probabilmente continuò a dedicarsi agli affari mercantili, senza peraltro raggiungere particolari successi. L'unica notizia certa si riferisce al 1475, quando il G. divise con il fratello minore Mariotto alcuni terreni e beni immobili siti a Valcava nel Mugello, che facevano parte dell'eredità paterna. Possiamo però supporre che progressivamente il G. sia riuscito a riavvicinarsi al regime mediceo. Lo dimostrerebbe il fatto che suo figlio Bernardo Geronimo (1462-1541) riuscì a diventare priore già nel 1492 e poi podestà di Pisa e senatore, dopo la fine della Repubblica.
Il G. stese il suo testamento il 4 ag. 1492 e morì a Firenze pochi giorni dopo.
Il G. è autore di un Libro di ricordi, conservato nell'archivio di famiglia e finora pubblicato solo per brevi stralci dal Corbinelli (Preuves, pp. CXCVI-CXCIX). Si tratta di un testo che si colloca nella tradizione della memorialistica fiorentina e che potrebbe arricchire la conoscenza della realtà politico-sociale della Firenze quattrocentesca.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Firenze, Raccolta Sebregondi, b. 2679 (alberi genealogici); B. Dei, La cronica dall'anno 1400 all'anno 1500, a cura di R. Barducci, Firenze 1984, ad ind.; [J.] Corbinelli, Histoire généalogique de la maison de Gondi, I, Paris 1705, pp. LXXXVII-XCVII; Preuves, pp. CXCVI-CCII; E. Gamurrini, Istoria genealogica delle famiglie toscane et umbre, II, Firenze 1671, p. 351; L. Lacour, Gondi, Charles, in Nouvelle biographie générale, XXI, Paris 1857, coll. 178 s.; N. Rubinstein, Il governo di Firenze sotto i Medici (1434-1494), Firenze 1971, ad ind.; F. Pezzarossa, La tradizione fiorentina della memorialistica, in G.M. Anselmi - F. Pezzarossa - L. Avellini, La "memoria" dei mercatores, Bologna 1980, p. 121; F.E. de Roover, L'arte della seta a Firenze nei secoli XIV e XV, a cura di S. Tognetti, Firenze 1999, p. 76; Rep. fontium hist. Medii Aevi, V, pp. 178 s.