FOSSATI, Carlo Giuseppe
Figlio di Giorgio Domenico, architetto, incisore ed editore, e di Felicita Caccia, nacque a Morcote, in Canton Ticino, il 3 nov. 1737. Il 5 sett. 1758 si unì in matrimonio nella parrocchia di S. Fedele di Vico Morcote con Maria Maddalena Andreoli, figlia di Francesco architetto, la quale morì di parto il 23 apr. 1762, dopo aver dato alla luce due gemelli, Pier Angelo Aloisio e Maria Maddalena Fortunata, morta anch'essa alcuni giorni dopo. Il 23 dicembre dello stesso anno il F. sposò in seconde nozze Bianca Elisabetta Rippa dalla quale ebbe otto figli.
Il F. intraprese gli studi con ogni probabilità nel Luganese e poi, prima del 1759, si recò a Roma, dove si applicò sia all'architettura sia all'ingegneria. Imbevuto di teorie neoclassiche e provvisto di una solida conoscenza della lingua latina, raggiunse a Venezia il padre e il fratello Domenico, che influirono molto sulla sua formazione artistica. Il contatto con la città lagunare e con le feste e gli spettacoli che vi si svolgevano al chiuso e all'aperto spinsero il F. a operare in campo teatrale, inizialmente in qualità di costumista, poi di scenografo, e in ultimo come allestitore di macchinari scenici.
Accantonata così l'attività di ingegnere e architetto per dare spazio alla sua creatività come disegnatore di costumi, lavorò insieme con il padre, spesso editore dei libretti dei drammi, e soprattutto il fratello Domenico, scenografo, in maniera continuativa fino al 1770, e saltuariamente fino al 1787 (per un elenco completo dei melodrammi curati dal F. si veda Palumbo Fossati, 1970, p. 109).
Fu costumista in Ladonna di governo, dramma giocoso di C. Goldoni (musiche di B. Galuppi), rappresentato nel teatro S. Cassiano di Venezia nell'autunno del 1764 (Povoledo, 1975). Dal 1765 fino al 1767 disegnò i costumi di tutti i drammi per musica che si tennero nel teatro S. Benedetto di Venezia, le cui scene furono quasi sempre allestite dal fratello Domenico; contemporaneamente operò anche in altri teatri veneziani: nel carnevale del 1765 al teatro S. Moisè in L'Amore in ballo di A. Bianchi (musiche di G. Paisiello, scene di G. Mauro), e in La partenza e il ritorno de' marinai di autore sconosciuto (musiche di Galuppi, scene di G. Mauro); al teatro S. Samuele in L'isola della fortuna di G. Bertati (musiche di A. Lucchesi, scene di D. Fossati) e in La gelosia, poesia nuova di autore bolognese (musiche di N. Lacroscino, scene di D. Fossati). Nell'autunno 1766 disegnò i costumi del Solimano, opera rappresentata al S. Cassiano (musiche di G. Sciroli, scene di A. Codognato, balli diretti e interpretati da Onorato Viganò) e del Sesostri presso il teatro S. Salvatore (da rappresentarsi per la fiera dell'Ascensione, dramma di A. Zeno, musiche di P. Guglielmini, scene dei cugini Mauro).
Fuori Venezia, nel giugno del 1767, curò i costumi, e il fratello Domenico si occupò delle scene, dell'opera metastasiana Antigone in Tebe rappresentata nel teatro Nuovo di Padova. Nell'estate del 1769 tornò al S. Benedetto di Venezia per la rappresentazione del Re pastore di P. Metastasio (musiche di Galuppi), e successivamente, nel carnevale del 1775, per i costumi dell'opera metastasiana Olimpiade (musiche di P. Anfossi) e, l'anno dopo, per il Demofoonte sempre del Metastasio (musiche di G. Paisiello, scene dei cugini Mauro e del fratello Domenico).
Il F. si cimentò anche nel campo della scenografia: nel 1771 conobbe a Milano i fratelli B., F. e G.A. Galliari grazie ai quali venne in contatto con la scenografia di gusto neoclassico, e li seguì in quello stesso anno a Vienna per collaborare alla direzione dei macchinari scenici del Ruggiero presso lo Hoftheater (dramma del Metastasio, musiche di J.A. Hasse).
Non si possiedono né i bozzetti né i disegni dei modelli che il F. fece in questo fervido periodo di attività, per cui risulta difficile un giudizio della sua opera. Certamente l'essere stato chiamato fuori Venezia al seguito dei Galliari dopo Milano e Vienna anche a Monza, è indubbio riconoscimento delle sue doti professionali.
Nel periodo di permanenza a Venezia tornò più volte a Morcote, sia per raggiungere la moglie e i figli, che non lo seguirono mai nei suoi spostamenti, sia per dirimere alcune questioni di ordine economico e familiare (è spesso citato nei documenti d'archivio come rappresentante del padre dimorante a Venezia).
Dal 1770 al 1773 interruppe la sua attività artistica, rivolgendo i suoi interessi alla vita pubblica e ricoprendo diverse cariche: fu podestà di Morcote nel 1770 e nel 1773, di Vico Morcote nel 1771. Non si sa in quali anni, ma quasi certamente nel decennio tra il 1770 e il 1780, fu più volte legato plenipotenziario della Comunità di Morcote presso i Dodici oratori della "Potentissima Repubblica elvetica" al congresso che si teneva annualmente a Lugano (Bellinzona, Arch. cantonale, Fondo Fossati, 20/1171).
Nel 1784, morto il fratello Domenico, il F. tornò a Venezia dove rimase circa tre anni, questa volta come scenografo e costruttore di macchinari scenici. Nell'autunno del 1784 allestì al teatro S. Cassiano le scene del Matrimonio inaspettato e quelle dell'intermezzo del Finto parigino entrambi musicati da L. Baini. Nell'autunno del 1787 ideò e diresse al teatro S. Benedetto la costruzione dei macchinari scenici dell'Ademira (melodramma di autore sconosciuto, musiche di A. Tarchi e "altri rinomati autori", scene di F. Fontanesi).
Da questo anno il F. abbandonò il teatro e con esso anche la città di Venezia, per trasferirsi, definitivamente, in seguito alla nomina di viceconsole di Ferdinando IV re di Napoli e Sicilia (12 nov. 1788), nella "Città, Porto di Rimino, e Luogo di Serravalle" (Fondo Fossati, 19/1110). Contemporaneamente riprese l'occupazione di architetto e ingegnere, attività che espletò soprattutto nella città romagnola. Dopo il 1788 disegnò una pianta della Città di Rimino ivi pubblicata. Nel febbraio 1789 fu incaricato di ricostruire il pubblico macello; sempre nello stesso anno progettò il rifacimento della porta Romana (successivamente chiamata di S. Bartolomeo), oggi non più esistente. Nel 1796 ricostruì le carceri e dal 1800 diresse i lavori di ristrutturazione del porto, lavori che non riuscì a vedere ultimati.
Il F. si inserì perfettamente nell'ambiente aristocratico e culturale riminese, aiutato in questo anche dall'amicizia della marchesa Laura Priuli Paci, che egli stesso definì "dama protettrice". Venne a contatto con il cardinale Nicola Colonna Stigliano legato di Romagna, con Lorenzo Drudi bibliotecario della Gambalunghiana e con il conte Francesco Gaetano Battaglini, erudito e letterato.
Nel 1794 uscì, in folio, la sua opera maggiore, ovvero Il Tempio Malatestiano de' francescani di Rimino, pubblicato a Foligno.
Si tratta di uno studio puramente descrittivo del Tempio commissionato da Sigismondo Pandolfo Malatesta a Leon Battista Alberti. Vi si trova, in linea con i canoni dell'Accademia Rubiconia di cui il F. fece parte, anche un elogio del periodo malatestiano. L'opera era stata prevista in due parti: la prima illustrante l'esterno del Tempio, la seconda l'interno, ma quest'ultima non vide mai la luce, anche se l'autore fa intendere, in una lettera del 1798, di averla già preparata. Il lavoro, stampato su due colonne - una in italiano e l'altra in francese - è accompagnato da otto tavole incise su rame dallo stesso F. raffiguranti in maniera dettagliata il Tempio, seguite da una breve appendice.
Il 1° genn. 1795 gli fu conferita la primaria cittadinanza di Verucchio nelle Romagne, in cambio del dono di una copia dell'opera al Comune (Fondo Fossati, 19/1112).
Dal 1796 pubblicò una serie di opere di architettura e ingegneria tra cui Ragionamento storico intorno all'architettura antica e gotica… e Ragionamentoistruttivo intorno alla buona architettura… (entrambi Rimini 1796). In questi due lavori il F. espose la sua visione dell'architettura, pienamente settecentesca: partendo dal recupero dell'architettura classica romana, individuò nell'eleganza del disegno e nell'armonia delle forme dell'architettura rinascimentale il modello di perfezione, mentre bandì il gotico come periodo di decadenza.
Ammalatosi nel 1804, morì l'anno seguente a Rimini. La maggior parte della bibliografia lo dichiara deceduto il 15 dic. 1805: ma nell'atto di compravendita dell'8 marzo 1805, conservato presso l'Archivio cantonale di Bellinzona (ibid., 26/1632), risulta già defunto.
Pier Angelo Aloisio (Francesco Saverio Costantino), figlio del F. e di Maria Maddalena Andreoli nacque a Morcote il 12 apr. 1762. Ingegnere e pubblico perito, fu proto della Scuola Grande di S. Rocco a Venezia, della quale divenne anche confratello capitolare e decano. Nel 1789 disegnò una maestosa cantoria per l'altare maggiore della chiesa di S. Rocco da esporsi durante le festività. La costruzione, usata fin verso la fine del 1800, fu eseguita da Isidoro Ridolfi. Nel 1790 progettò un modello per l'erigendo teatro di S. Fantin a Venezia, poi denominato La Fenice, progetto che, benché lodato, non venne accettato.
Il 2 giugno 1806 sposò a Venezia Giovanna Caterina Noris di San Vito del Friuli, che gli diede due figli maschi e una femmina. Sempre a Venezia ricoprì la carica di consigliere comunale nel 1807 durante l'occupazione napoleonica.
Morì il 27 ag. 1827 cadendo, non sappiamo se accidentalmente o intenzionalmente, da una finestra della sua casa di famiglia di Castelforte di S. Rocco a Venezia.
Fonti e Bibl.: Morcote, Arch. parrocchiale, Registri; C. Tonini, Nuova guida del forestiere nella città di Rimini, Rimini 1879, p. 111; E. Motta, I Fossati, una famiglia di artisti, in Boll. storico della Svizzera ital., V (1883), p. 289; C. Tonini, La coltura letteraria e scientifica in Rimini dal secolo XIV ai primordi del XIX, II, Rimini 1884, pp. 550-553; G. Merzario, I maestri comacini, II, Milano 1893, p. 586; P. Vegezzi, Sulla prima esposizione storica di Lugano, II, Lugano 1900, p. 188; G. Trezzini, Dictionnairehistorique et biographique de la Suisse, III, Neuchâtel 1926, p. 156; M. Guidi, Diz. degli artisti ticinesi, Roma 1932, p. 131; G. Lorenzetti, Venezia e il suo estuario, Milano 1956, p. 874; E. Povoledo, in Enc. dello spettacolo, V, Roma 1975, col. 562; A. Cima, C.G. F. architetto e uomo di lettere del Settecento (tesi di laurea), Friburgo 1969; C. Palumbo Fossati, I Fossati di Morcote, Bellinzona 1970, pp. 107-113 (129-131 per Pier Angelo Aloisio); A. Crivelli, Artisti ticinesi in Italia, Locarno 1971, p. 108; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XII, p. 238.