GIORGI, Carlo
Nacque da Filippo, a Ceccano, allora diocesi di Ferentino, nel Frusinate, intorno al 1724, come si ricava dall'epigrafe nella chiesa romana dei Ss. Giovanni e Paolo. Scarse e lacunose sono le notizie sulla formazione. La sua presenza a Roma è documentata negli anni del pontificato di Clemente XIV, quando, già maturo, era affittuario camerale e mercante di campagna. Dal 1772 al 1781 ebbe in fitto la "vigna" dei Barberini al Palatino, entrando in contrasto con i proprietari sul valore del fondo fino a giungere al processo. Nel 1776 era già affittuario camerale delle saline di Ostia, poiché in quell'anno s'impegnò a restituirle alla Camera apostolica. Dal 1779 abitò a palazzo Marescotti, nei cui pressi aveva allestito la propria computisteria. Era già vedovo di Giovanna Battista Battisti di Frosinone, dalla quale aveva avuto numerosi figli, dei quali vivevano con lui Francesco (nato circa 1756), poi governatore della "salara"; Ignazio, di un anno più giovane, definito "curiale"; Saverio, poi dedicatosi al sacerdozio; Teresa (nata nel 1759). Degli altri Luigi, "datario" di Avignone, e Giovan Battista, commerciante, si trasferirono pure nel suo palazzo nel 1792. Altri figli furono Stanislao (nato circa 1762), e Isabella, monaca.
Il G. valorizzava i terreni presi in fitto facendone uso agricolo e di pascolo, ma anche, nel caso, effettuandovi scavi di antichità; il 27 marzo 1779 rinvenne a Nettuno tre colonne di 10 palmi ciascuna, due di giallo antico e una di breccia, e nel 1787 altre, che dovevano essere notevoli se Pio VI, allora pontefice, vi promosse ricerche sistematiche. Le ricchezze accumulate gli permisero di svolgere, a Roma e nelle Marche, un ruolo di illuminato mecenatismo. Finanziò a Recanati la costruzione del convento dei Ss. Giovanni e Paolo per la Congregazione del Crocifisso, la cui prima pietra fu posta nel luglio 1783 alla presenza del vescovo Ciriaco Vecchioni. Già il 17 maggio di quell'anno aveva incaricato Giovanni Volpato, forse conosciuto nelle campagne di scavo, di scegliere un artista cui affidare l'esecuzione d'un monumento per il defunto Clemente XIV da porre nella chiesa dei Ss. Apostoli, per un importo di 12.000 scudi. In quel pontificato il G. si era arricchito, ma non voleva figurare come committente, forse per non dispiacere ai sostenitori dei soppressi gesuiti, e accettò la felice scelta del giovane A. Canova, proposto dal Volpato.
Nello stesso periodo, previo un prestito ragguardevole al governo pontificio, ottenne in fitto da Pio VI le Allumiere, per dodici anni dal 30 genn. 1786, con l'impegno di dividere a metà gli utili col nipote del pontefice, Luigi Braschi.
Per ospitare Nicola Ambrogi di Ceccano, vedova di Giuseppe Giorgi, forse un suo fratello molto più giovane, con tre bambini in tenera età, il 22 luglio 1793 il G. acquistò un casamento a più piani in via Frattina, dove si trasferì nel 1795; nel 1797 ampliò l'acquisto. Nell'aprile 1796 comprò la tenuta dell'Isola Sacra, di ben 695 rubbie, dalla Camera apostolica, e il 6 ottobre successivo rinnovò il fitto delle Allumiere per due anni. Ma dal 1798, allorché i Francesi, occupata Civitavecchia, requisirono le miniere, per il G. iniziò un periodo di contrasti. Prima le ebbe nuovamente in fitto per diciotto mesi con un canone anticipato di 105.000 scudi, che destò scalpore nell'intera Italia; ma nel giugno esse furono cedute alla società di mercanti e banchieri genovesi Lavaggi-Saccomanni-Sala, e nell'operazione egli ebbe solo un ruolo marginale, con una quota di 2/20. Nonostante queste vicende, sotto la Repubblica Romana il G. riuscì comunque a far prosperare le proprie attività mercantili. Fu azionista della Compagnia dei munizionieri generali, meglio conosciuta come società Hardy-Thierry, incaricata di approvvigionare Roma e le forze armate francesi e romane. Quando la compagnia fallì, il 20 fruttidoro (6 settembre) 1798, divenne socio di quella che ne prese il posto, per la quale fu previsto il pagamento in beni nazionali. Come creditore della Repubblica per più di 193.000 scudi, il G. poté scegliere i beni nazionali con i quali essere saldato, conseguendo quello che fu il maggior introito di un privato nel periodo repubblicano. Ebbe la tenuta delle Tre Fontane (301 rubbie già dell'abbazia dei Ss. Vincenzo e Anastasio), quella di Roncigliano, il casale di Sant'Angelo, il lago di Paola e altri terreni appartenuti a conventi o al patrimonio ex gesuitico, nei territori di Grottaferrata, Albano, Castelgandolfo, Anagni, Cori, Velletri, Fossanova, Casamari, Piperno, Sezze, Nettuno, Spoleto e altrove.
Nel 1802, richiestone da Pio VII, trasferì a proprie spese e in forma privata la salma di Clemente XIV dalle Grotte vaticane ai Ss. Apostoli; l'iscrizione apposta al monumento lo indicò come committente dell'opera. Nell'ultimo periodo della sua vita operò in società di acquisto e vendita di antichità, incrementando una collezione che era venuto formando, probabilmente anche con i reperti degli scavi che aveva promosso nelle tenute camerali prese in fitto. Quarantatré tra statue, gruppi marmorei, figure zoomorfe e marmi, nonché dieci quadri (uno solo con attribuzione, al pittore Borgognone) gli appartenevano in società con lo scultore-restauratore Annibale Malatesta, per la sola quarta parte. Settantadue pezzi altrettanto vari erano invece sua proprietà esclusiva, formando la sua raccolta privata. Sei colonne, già nel portico di S. Saba, costate con il restauro più di 5000 scudi, erano proprietà comune con lo scalpellino Giuseppe Giovannelli (che ne aveva la terza parte) e con Annibale Malatesta (che aveva la quarta parte degli altri due terzi). Un'analoga ripartizione a vantaggio del G. v'era in altre due società, proprietarie rispettivamente di due colonne di porfido corredate da busti e di altre quattro, provenienti dalla tribuna di S. Bartolomeo all'Isola Tiberina, formate la prima con gli scalpellini Michele Belli e Annibale Malatesta, l'altra ancora col Malatesta e Giuseppe Giovannelli. Questi marmi si trovavano nelle loro botteghe quando, nel 1802, furono denunciati alle autorità camerali, secondo l'editto Fea.
La figura del G. esemplifica il ruolo economico conseguito a Roma dai mercanti di campagna alla fine del secolo XVIII; a esso normalmente non corrispondeva un potere politico, ma egli riuscì ad averlo in parte sotto Pio VI con un'avveduta attività di banchiere, lontano da ogni pubblicità o ostentazione di ricchezza. Fu figlio del suo tempo nella passione per l'antichità, come mostrano gli scavi promossi nelle sue terre, allora un vero affare per la vendita di pezzi molto ricercati nel mercato antiquario, la collezione e la biblioteca, ricca di testi classici, filosofici, religiosi e letterari.
Il G. morì a Roma il 18 marzo 1803. Come aveva chiesto, quale membro della Congregazione dei chierici della Passione e morte di Nostro Signore fu tumulato nella chiesa dei Ss. Giovanni e Paolo al Celio. L'epigrafe, scolpita dal Malatesta per 80 scudi, fu posta nel pavimento, davanti al secondo altare della navata destra.
I beni immobili del G. andarono ai figli Teresa, Ignazio, Stanislao e ai nipoti Antonio ed Emanuele, discendenti maschi di due figli premortigli, Domenico e Giovanni Battista; gli era premorto un altro figlio, Luigi (Monte Porzio, circa 1751 - Roma, 6 marzo 1799), sepolto in S. Nicola dei Prefetti (Roma, Arch. storico del Vicariato, Mortuorum S. Lorenzoin Lucina 1781-99, c. 244). Numerosi lasciti andarono a figlie sposate e monacate (Annunziata, Costanza Felice, Maria Eletta) e a diversi nipoti. La tenuta dell'Isola Sacra e la casa di via Frattina dovevano rimanere amministrate dal figlio maggiore, il banchiere Ignazio. I beni di Ceccano, invece, erano destinati al nipote Filippo Giorgi, figlio del fratello Giuseppe, morto da tempo. Il 23 febbr. 1808 Ignazio vendette la quinta parte della tenuta dell'Isola Sacra, seguito poi dagli altri coeredi, a eccezione di Teresa. Nel 1810 fu chiesta la divisione dell'asse ereditario, che si trascinò nel tempo, tanto che nel 1817 ancora non era conclusa. In quell'occasione fu chiesta agli scultori Vincenzo Pacetti - accademico di S. Luca che già alla morte del G. aveva stimato le antichità in suo possesso -, Giuseppe Franzoni e Massimiliano Laboureur una perizia della collezione antiquaria
Degli altri nipoti, Antonio, figlio di Domenico e di Geltrude Igaredo, battezzato in S. Lorenzo in Lucina il 18 sett. 1780, il 26 dic. 1803 sposò Anna Palmieri in S. Nicola in Arcione (Arch. storico del Vicariato, Uff. IV 9/804/I, incartamento matrimoniale); Emanuele, figlio di Giovan Battista e Barbara Gonzalez, battezzato nell'aprile 1793 in S. Lorenzo in Lucina, andò a quattordici anni in Francia, poi fu in Spagna, Toscana e a Napoli, dove prestò servizio nella guardia imperiale fino al marzo 1813, quando ritornò a Roma. Nel 1819 sposò Paola Sforzai (Roma, Arch. storico del Vicariato, Uff. IV 128/1819/I, notaio Gaudenzi).
Tra i mercanti di campagna, operanti a Roma nello stesso periodo, sono documentati altri Giorgi, di cui non è chiaro il rapporto di parentela con Carlo. Un Felice Giorgi nel luglio 1798 acquistò dal governo repubblicano una casa in via Vittoria, già del convento di Trinità dei Monti; suo figlio Antonio, sposato con Maria Albertazzi, subì un fallimento nell'autunno 1810. Nel prospetto delle manifatture romane redatto nel 1809 da Vincenzo Colizzi per l'amministrazione francese compare un Luigi Giorgi, commerciante in suole, cuoi e finimenti vari in via della Regola. Infine un Andrea Giorgi, pure mercante di campagna e al servizio della Curia per venticinque anni, si schierò in favore della Repubblica Romana del 1798-99, e alla sua caduta fu processato dalla giunta di Stato pontificia. Morto a sessantatré anni nel 1818, fu sepolto nella chiesa di Gesù e Maria al Corso, dove un ritratto di marmo con una lunga epigrafe, posto dalla moglie Maddalena Ferrini e dai figli, lo ricorda con affetto (Forcella, IX, p. 108 n. 219).
Fonti e Bibl.: Arch. stor. del Vicariato di Roma, S. Nicola dei Prefetti, Stato delle anime, 1778-82: 1779, c. 47; 1780, c. 74; 1782, c. 126v; 1783-88: 1783, c. 18; 1786, c. 90v; 1788, c. 134v; 1789-94: passim; Ibid., S. Lorenzoin Lucina, Stato delle anime, 1795, c. 11v; 1799, c. 10v; 1802, c. 7v; Ibid., S. Lorenzo in Lucina, Morti 1800-10, c. 62; V. Forcella, Iscrizioni delle chiese e d'altri edifici di Roma dal secolo XI fino ai giorninostri, X, Roma 1877, p. 15 n. 31; O. Morra, L'insorgenza antifrancese diTolfadurante la Repubblica Romana del 1798-99, Roma 1942, pp. 20-25, 48 n.; C. Pietrangeli, Scavi e scopertedi antichità sotto il pontificato di Pio VI, Roma 1958, pp. 112 s.; R. De Felice, La vendita deibeni nazionali nella Repubblica romana del 1798-99, Roma 1960, pp. 46 s., 60, 62, 64, 69, 92 s., 98, 168 s. (anche su Felice Giorgi); Id., Aspetti e momenti della vita economica di Roma e del Lazioneisecoli XVIII e XIX, Roma 1965, pp. 184, 189, 194, 197, 200, 279 (p. 196 su Andrea Giorgi; p. 252 n. 69 su Luigi Giorgi); F. Venturi, Settecento riformatore, II, Torino 1976, p. 332; G.F. Tomassetti, La Campagnaromana, antica, medioevale e moderna, Firenze 1979, V, p. 368; VI, p. 476; R. Carloni, Francesco Antonio Franzoni nel "Giornale" di Vincenzo Pacetti, in Labyrinthos, XI-XII (1992-93), pp. 383 s.; Id., Giuseppe Franzoni trarestauri e perizie d'arte: dalla Pallade alla collezioneGiorgi, in Pallade di Velletri: il mito, la fortuna. Giornata internazionale di studi. Atti, Roma 1997, pp. 73-85; Edizione nazionale delle opere di AntonioCanova, a cura di H. Honour, Scritti, I, Roma 1994, pp. 165, 223 s., 301; École Française de Rome - Soprintendenza archeologica di Roma, Lavigna Barberini, I, Histoire d'un site. Étude dessources et de la topographie, Roma 1997, p. 155; G. Moroni, Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica, XIV, p. 89.