GINORI, Carlo
Nacque a Firenze il 9 febbr. 1473 da Leonardo di Francesco e da Maddalena (alias Margherita) di Antonio Martelli.
La famiglia, originaria di Calenzano, oggi nel suburbio di Firenze, vi era giunta nella prima metà del secolo XIV con ser Gino di Giovanni, notaio. Ottenuta assai precocemente la cittadinanza fiorentina (per i notai erano previste norme favorevoli), nel 1344 ser Gino era stato eletto priore, la più importante carica comunale ma, nonostante ciò, la famiglia Ginori - in quanto appartenente alla "gente nuova", cioè alla popolazione di residenza recente -, rimase sostanzialmente ai margini della vita pubblica fiorentina fino all'avvento al potere di Cosimo de' Medici, nel 1434. Da allora la partecipazione dei membri della famiglia alle magistrature fiorentine crebbe notevolmente, ma senza personaggi di rilievo.
Fu con il G. che lo status economico-sociale della famiglia uscì dai limiti del ceto medio; egli aveva ereditato dal padre e dallo zio un'azienda specializzata nella produzione di tessuti preziosi, cui dette notevole impulso affiancandole l'attività bancaria. L'impresa gli consentì di divenire uno degli uomini più ricchi di Firenze; se ne ha prova diretta nella quota elevata, pari a 42 fiorini, attribuita al G. nel 1522, in occasione dell'imposizione straordinaria decisa dal governo fiorentino per finanziare le spese militari. Significativi furono i suoi investimenti immobiliari e imponente l'attività edilizia da lui intrapresa: nel 1515 effettuò acquisti di case confinanti con la sua abitazione, posta nel quartiere di S. Giovanni, sul retro di palazzo Medici (nella strada ora denominata via de' Ginori).
Sull'area di queste costruzioni, che furono demolite, egli fece costruire il palazzo di famiglia, in seguito vincolato con un fedecommesso ai suoi discendenti e tuttora di proprietà della famiglia Ginori. Il palazzo, probabilmente progettato da Baccio d'Agnolo, era già terminato nel 1520. Secondo testimonianze dell'epoca l'edificio era ornato di affreschi, oggi perduti, di Mariano da Pescia, allievo del Ghirlandaio; altro pittore preferito dal G. fu Andrea del Sarto, cui commissionò due tavole, molto lodate da Giorgio Vasari e oggi perdute.
Contemporaneo alla costruzione del palazzo Ginori fu l'ampliamento dei possessi rurali, concentrati nel "popolo" di S. Stefano a Sommaia (Baroncoli) nei dintorni di Calenzano. Intorno al 1523, seguendo una moda ormai consueta nel ceto dirigente fiorentino, il G. intraprese la trasformazione della modesta "casa da signore" - che si trovava in mezzo ai suoi poderi - in una villa imponente, ornata di loggia e di torre, in cui usò materiali pregiati e collocò opere di artisti famosi.
Anche la villa di Baroncoli fu vincolata alla famiglia Ginori con un fedecommesso. Sempre nell'ambito degli sforzi per innalzare il livello sociale della famiglia il G. acquistò il patronato di una cappella nella basilica di S. Lorenzo, sebbene la famiglia fosse già titolare di altre due cappelle nella stessa chiesa, e commissionò la tavola d'altare (Lo Sposalizio della Vergine), opera di Rosso Fiorentino, oggi in una collezione privata.
Finanziò inoltre importanti lavori di ristrutturazione e restauro della chiesa di S. Stefano a Sommaia, nella cui parrocchia si trovava la sua villa di Baroncoli, già di patronato popolare, ma di cui nel 1514 riuscì a farsi conferire i diritti di patronato dal cardinale Giulio de' Medici.
Il G. ricoprì molte cariche pubbliche: fu priore nel bimestre maggio-giugno 1513, nel 1514 fu uno dei sedici gonfalonieri di compagnia, ed ebbe l'importante ufficio di gonfaloniere di Giustizia per il primo semestre del 1527. Durante questo mandato, paventando la discesa dei lanzichenecchi, il G. intraprese i lavori di rinforzo delle mura della città: quella volta la minaccia non ebbe seguito, ma i Fiorentini poterono avvalersi dell'opera in occasione dell'assedio del 1530.
Oltre a questi uffici al vertice del governo fiorentino, il G. ricoprì cariche strettamente legate al ruolo da lui occupato nella società fiorentina: nel 1512 aveva fatto parte dei maestri di Zecca, funzione sempre assegnata ai più ricchi mercanti cittadini; in quel ruolo si valse della prerogativa di far imprimere l'arma della sua casa sui fiorini d'oro coniati durante il suo incarico.
Per almeno tre volte (1510, 1518 e 1524) fu inoltre eletto tra gli ufficiali del Monte, la magistratura che governava il debito pubblico e sovrintendeva alle finanze.
Nel 1525 il G. subì un furto del valore di circa 500 fiorini da parte di un suo cassiere, Costantino Davanzati. Poco tempo dopo il Davanzati, temendo che dall'esame dei libri contabili venisse fuori la prova del suo misfatto, li bruciò. L'incendio si propagò anche ai locali vicini e provocò panico in città, e per il G. si tradusse in un ulteriore danno, tra drappi e suppellettili distrutte, di circa 1000 fiorini. Egli si recò allora presso il magistrato degli Otto di guardia e balia per la denuncia e invitò i suoi debitori e creditori a presentarsi per chiarire la loro posizione, in modo da poter sopperire almeno in parte alla distruzione dei libri contabili. Intanto il Davanzati aveva iniziato a praticare la "tosatura", cioè la limatura, delle monete per sottrarre parte del metallo prezioso. Scoperto e arrestato, fu interrogato sotto tortura e in quell'occasione confessò anche i precedenti misfatti ai danni del Ginori. Per questo motivo fu condannato all'impiccagione e la sentenza fu eseguita il 13 nov. 1526.
Nel luglio 1527 le voci sull'epidemia di peste spinsero il G. a trasferirsi a Lucca insieme con la moglie, Cassandra Bartolini Salimbeni, sposata nel 1500. La misura precauzionale non gli fu di alcuna utilità: contagiato dal morbo, morì a Lucca alla fine di settembre del 1527 e fu sepolto nella chiesa del convento di S. Romano. La moglie, anch'essa contagiata, morì a distanza di pochi giorni.
Il G. non ebbe figli e alla sua morte la cospicua eredità andò divisa tra i nipoti, figli dei suoi due fratelli Bartolomeo e Filippo.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Firenze, Libri di commercio, 20-22, passim; Mediceo avanti il principato, 116, c. 112; Signori, Responsive originali, 43, c. 30; ibid., Dieci di balia, Otto di pratica, Missive e responsive, 72, c. 164; Delizie degli eruditi toscani, XXII (1786), pp. 41, 289 ss., 313, 337; L. Passerini, Genealogia e storia della famiglia Ginori, Firenze 1876, pp. 42-45; P. Ginori Conti, La basilica di S. Lorenzo e la famiglia Ginori, Firenze 1939, pp. 210 s., 253; L. Ginori Lisci, Baroncoli. La dimora rurale di C. il Vecchio de' G., Firenze 1950, passim; Id., I palazzi di Firenze nella storia e nell'arte, Firenze 1972, ad indicem; F.W. Kent, Household and lineage in Renaissance Florence, Princeton 1977, ad indicem; M.M. Bullard, Filippo Strozzi and the Medici, Cambridge 1980, p. 134.