GINORI, Carlo
Figlio di Lorenzo e di Anna Maria di Arrigo Minerbetti, nacque a Firenze il 7 genn. 1702. Il 13 nov. 1714 entrò nel collegio Tolomei di Siena, diretto dal padre gesuita Angelo Maria Durazzo, e in seguito ebbe come maestri il naturalista Giovanni Targioni Tozzetti e i giuristi Giuseppe Averani e Giuseppe Lorenzo Maria Casaregi. Gli insegnamenti di questi furono alla base degli interessi scientifici e filosofico-giuridici del G. e furono concretamente applicati nei campi della fisica, della chimica e dell'idraulica.
Nel 1718 il G. vestì l'abito di cavaliere dell'Ordine di S. Stefano e dal 1718 fu paggio di Cosimo III de' Medici. Iniziò precocemente la carriera di funzionario granducale: nel 1728 lo zio Giuseppe lo inserì nell'ufficio delle Tratte e, nel 1734, ricoprì le due cariche di senatore e segretario delle Riformagioni.
Nel 1737, con l'estinzione della dinastia medicea e con il passaggio della Toscana a Francesco Stefano di Lorena, il G. fu scelto dal Senato fiorentino per indirizzare un discorso di saluto al principe M. Beauvau di Craon, capo della Reggenza toscana. Membro del Consiglio di reggenza, e dal 1739 anche del Consiglio di finanze, nel 1742 fu creato consigliere aulico a Vienna dall'imperatrice Maria Teresa.
Il G. si collocò, con Carlo Rinuccini e Giovanni Antonio Tornaquinci, tra i principali esponenti favorevoli - in opposizione ai Lorena -, alla candidatura di Carlo di Borbone, futuro re di Napoli, nella successione alla casa Medici sul seggio granducale. A rinsaldare la sua posizione antilorenese dovette certamente contribuire la parentela con i principi Corsini, essendo egli sposato con Elisabetta Corsini, figlia del nipote di Clemente XII, Bartolomeo Corsini, e il cui zio, il cardinale Neri Corsini, era figura di primo piano nella Curia romana. Di tale legame privilegiato con Roma e con il partito filospagnolo era stata anche espressione la scelta di Carlo di Borbone come padrino per il battesimo della sua secondogenita (1732).
Il G., attorno al quale ormai si coagulava l'opposizione antilorenese, si oppose a Emmanuel de Richecourt, principale esponente della Reggenza e fautore delle riforme volte a rafforzare il potere del sovrano sui principali problemi dibattuti in quegli anni: il progetto di riforma dell'amministrazione della giustizia, voluto fortemente dal granduca Francesco Stefano di Lorena, che aveva chiesto alla Reggenza di esprimersi in proposito; la riforma dei fedecommessi promossa da Richecourt con la legge del 22 giugno 1747; la riforma della legislazione feudale, che portò alla legge sui feudi del 21 apr. 1749. Nel dibattito che precedette questa legge il G. difese apertamente i privilegi e le giurisdizioni feudali, avversando la linea propugnata da Vienna, e fatta propria da Giulio Rucellai, l'autorevole segretario della Giurisdizione, la magistratura preposta alla giurisdizione sovrana e al regolamento dei rapporti Stato-Chiesa.
Rucellai si era espresso a favore di un ridimensionamento delle giurisdizioni feudali in favore del superiore potere del sovrano. La stessa linea ispirò la riorganizzazione delle finanze e l'istituzione della ferma generale. Nelle posizioni del G., che spesso si trovò affiancato nelle sue battaglie da Pompeo Neri, è difficile scindere le sue prospettive politico-ideologiche dai corposi interessi economici che riguardavano direttamente lui e coinvolgevano gli interessi di una parte rilevante della classe dirigente toscana. In questo quadro è da inserire anche la sua decisa opposizione, nel 1740, alla compagnia francese Lombart, cui fu concessa la riscossione delle imposte indirette a svantaggio di una compagnia toscana.
A seguito del duro scontro politico, che lo vide perdente, il G. fu allontanato da Firenze e nominato, il 1° ott. 1746, governatore civile di Livorno, carica "in cui espresse le sue migliori doti e capacità politico-amministrative" (Toccafondi, p. 140). Furono la sua "pedanteria e la disputa perpetua" (B. Tanucci, II, p. 172: lettera a F. Nefetti, 10 genn. 1747) a farlo retrocedere e a emarginarlo dalla scena politica toscana. In un dispaccio successivo veniva precisato che il G. manteneva la qualifica di consigliere di Reggenza, ma dovendo per questo incarico risiedere a Firenze, di fatto non poteva esercitare la funzione.
Nella nuova carica si adoperò per favorire l'espansione commerciale e le attività manifatturiere del porto livornese, favorendo l'esportazione. Fece, inoltre, erigere un conservatorio per i poveri e un borgo alla periferia della città per alloggiarvi lavoratori stranieri dediti all'attività marinara.
In quanto governatore di Livorno e protettore dei letterati fu il dedicatario di numerose opere, tra le quali l'Opera omnia cum additionibus di G.L.M. Casaregi (Venetiis 1740) e la commedia goldoniana La Pamela, nell'edizione fiorentina stampata da B. Paperini (1753-57).
La personalità del G. non si esaurì in campo politico; egli si adoperò molto per la gestione dei possedimenti fondiari della famiglia, cui dedicò enormi sforzi per migliorarne la redditività, come avvenne per la bonifica del feudo e della tenuta di Cecina (ex possesso mediceo), acquistati dalla casa di Lorena il 27 nov. 1738. A tali beni si aggiunsero il marchesato di Riparbella, acquistato nel 1739 dai Carlotti, i possedimenti maremmani di Casale, Guardistallo, Bibbona e Montescudaio, di cui chiese e ottenne l'investitura feudale il 27 giugno 1739. Gran parte di questi beni era costituito da terre improduttive e insalubri. Valendosi dell'ausilio di esperti idraulici, tra i quali il veneto Bernardino Zendrini, il G. fece bonificare i terreni paludosi e incolti e vi fece erigere abitazioni per i contadini, favorendo l'insediamento di popolazione forestiera. Fece inoltre piantare vegetazione d'alto fusto e incentivò il pascolo di bovini e caprini. La tenuta di Cecina, con ampia villa sul mare, divenuta fiorente, fu la sede di un piccolo porto fatto costruire dal G. e di attività manifatturiere come la produzione del corallo, per la cui pesca allestì una squadra di 17 feluche.
Con la legge del 21 apr. 1749, che abolì i feudi, il G. fu privato di Riparbella, ma mantenne il titolo marchionale, cui aggiunse successivamente quello di conte di Urbech (1756), anticamente spettante ai conti Guidi (Arch. di Stato di Firenze, Reggenza, 710-711).
Nel 1737 fondò la celebre fabbrica di porcellane, tuttora esistente, a Doccia, non lontano da Firenze, vicino alla cinquecentesca villa di famiglia.
Nell'impresa il G. profuse ingenti capitali e una continua attività di ricerca e sperimentazione tecnica. Iniziò a prepararne la realizzazione fin dal 1735, raccogliendo in tutta la Toscana - con il contributo del naturalista G. Targioni Tozzetti e del lorenese G. Baillou - terre e minerali utili, sino a costituire un Museo delle terre di oltre 3000 campioni (nel 1738 aveva già acquistato oltre 800 vasi di vetro per contenerli e classificarli). Raccolse informazioni e studi sulle terre da impiegare, in particolare le terre bianche (che inizialmente erano di provenienza toscana e in seguito estera, data la qualità non buona di quelle locali), così come sulle fornaci, mentre fece venire da fuori Stato i coloranti e, in particolare da Murano, gli smalti. Dopo i primi tentativi poco soddisfacenti, nel 1737, allorché si recò a Vienna, prese al suo servizio esperti austriaci, già impiegati dal celebre Du Paquier, e assunse personale specializzato, tra cui un chimico, un pittore e lo scultore fiorentino Gaspero Bruschi; istituì una scuola di disegno e pittura per i giovani apprendisti e un laboratorio chimico. Vicino alla fabbrica edificò anche un vero e proprio quartiere per gli artigiani, in gran parte provenienti dalle campagne circostanti, che si tramandarono il mestiere di padre in figlio.
La preparazione degli apprendisti comprese la diretta conoscenza della lavorazione orientale; sembra che il G. organizzasse a tale scopo un equipaggio di giovani perché si recasse in Cina e in Giappone ad apprendervi le tecniche di fabbricazione della porcellana. Dall'Oriente il G. fece anche arrivare esemplari di piante rare con le quali arricchì il giardino della villa di Doccia.
In occasione delle nozze del G. con Elisabetta Corsini (18 sett. 1730), Clemente XII concesse alla famiglia notevoli privilegi; Elisabetta fu nominata dama di corte dall'imperatrice Maria Teresa e successivamente dalla granduchessa Maria Luisa, moglie di Pietro Leopoldo d'Asburgo Lorena. Il G. ebbe dodici figli, tra i quali Lorenzo (1734), provveditore dell'Abbondanza nel 1761 e soprintendente alla Camera delle arti nel 1768.
Il G. fu anche cultore di scienze fisiche e nel suo palazzo fiorentino attrezzò un gabinetto di chimica, con macchine apprezzate dai molti visitatori, come attesta Montesquieu, presente a Firenze nel 1728.
Il gabinetto, attrezzato in due stanze ai piani superiori del palazzo, conteneva anche una grande lente ustoria utilizzata per sottoporre a temperature elevate le "terre" da porcellana impiegate nella manifattura. Incorniciata e dotata di quattro grandi maniglie, per poterla orientare verso il sole, la lente era di fabbricazione fiorentina e fu acquistata nel 1733 da Antonio Gaetano Mariani, probabilmente appartenente alla famiglia di cui faceva parte Giuliano Mariani, che fornì al granduca "un occhiale grande del Galileo".
Poco prima della morte del G., si pensava probabilmente a un suo richiamo a Firenze. Si sparse addirittura la voce che Francesco Stefano volesse sostituire il conte di Richecourt, gravemente ammalato e in procinto di lasciare la Toscana, proprio con il G., che, secondo il residente britannico, godeva del favore popolare più per la sua opposizione al conte che per i suoi meriti.
L'ipotesi del richiamo del G. a Firenze in sostituzione di Richecourt (A. Contini, p. 246) non è stata confermata da studi recenti, che suggeriscono piuttosto il suo richiamo nella capitale come membro della Reggenza, carica che aveva già ricoperto in precedenza e sempre in un ruolo subalterno rispetto al conte lorenese; più plausibilmente, dunque, le voci sulla sostituzione rappresentavano le aspettative di una parte del ceto di governo fiorentino in un momento di cambiamento ai vertici della Reggenza.
Il G. morì a Vienna l'11 apr. 1757. Nei solenni funerali fu recitato un elogio dal canonico G.G. Alessandri (Orazione funebre recitata in Livorno nella chiesa maggiore di detta città in occasione delle solenni esequie celebrate al march. C. G. dal capitolo e canonici di detta chiesa la mattina del 26 aprile 1757, Livorno 1757) e furono pubblicati almeno una decina di opuscoli dedicati alla sua memoria. Fu inoltre eretto un monumento funebre nel duomo di Livorno.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Firenze, Carte Sebregondi, 2606; Ceramelli Papiani, 2372; Deputazione sulla nobiltà e cittadinanza, 14, ins. 3; Segreteria delle Tratte, ff. 887-888, 1215-1219, 1349-1353; Firenze, Archivio Ginori: conserva memorie, relazioni, atti e la ricchissima corrispondenza del G. (circa 20.000 lettere a lui inviate); la serie Libri di amministrazione e i Registri delle spese quotidiane contengono documentazione sulla manifattura di Doccia, mentre la produzione artistica si trova nel museo di Doccia (si ringrazia Ivaldo Baglioni, curatore dell'Archivio, per le informazioni fornite); Arch. di Stato di Siena, Collegio Tolomei, D.104, n. 796; Componimenti poetici in occasione delle solenni esequie celebrate in Livorno… a… C. G…, Livorno 1757; Relazioni sul governo della Toscana, a cura di A. Salvestrini, I, Firenze 1969, pp. 313, 344, 347, 398; III, ibid. 1974, pp. 57, 101; C.-L. Montesquieu, Viaggio in Italia, a cura di G. Macchia - M. Colesanti, Bari 1971, p. 153; B. Tanucci, Epistolario, I-II, a cura di R.P. Coppini - L. Del Bianco - R. Nieri, Roma 1980, ad indices; A. Zobi, Storia civile del Granducato di Toscana dal 1737 al 1847, I, Firenze 1850, pp. 362-364; L. Passerini, Genealogia e storia della famiglia Ginori, Firenze 1876, pp. 83-94; M. Eandi, Diodato Emmanuel de Richecourt iniziatore delle riforme lorenesi in Toscana, Mondovì 1920, passim; Horace Walpole's correspondence with sir Horace Mann, a cura di W.S. Lewis - W.H. Smith - G.L. Lam, New Haven 1960, XVII, pp. 236, 395, 406, 490; XVIII, pp. 122, 135, 183 s., 202, 216, 235, 250, 283 s., 323; XIX, pp. 322; XX, pp. 77, 217, 463, 473; XXI, pp. 81 s., 85; L. Ginori Lisci, La porcellana di Doccia, Milano 1963; N. Rodolico, Emanuele di Richecourt iniziatore delle riforme lorenesi in Toscana, in Id., Saggi di storia medievale e moderna, Firenze 1963, pp. 1004 ss.; L. Ginori Lisci, I palazzi di Firenze nella storia e nell'arte, I, Firenze 1972, p. 350; J.-C. Waquet, Les fermes générales dans l'Europe des Lumières: le cas Toscan, in Mélanges de l'École française de Rome, Moyen Âge - Temps Modernes, 1977, pp. 1004-1011; C. Mangio, Commercio marittimo e reggenza lorenese in Toscana in Rivista stor. ital., XC (1978), pp. 898-938; J.-C. Waquet, La Toscane après la paix de Vienne (1737-1765): prépondérance autrichienne ou absolutisme lorrain?, in Revue d'histoire diplomatique, XCIII (1979), pp. 202-222; L. Ginori Lisci, La prima colonizzazione del Cecinese, Firenze 1987; F. Diaz, I Lorena in Toscana. La Reggenza, Torino 1988, ad ind.; Archivio delle Tratte, a cura di P. Viti - R.M. Zaccaria, Roma 1989, pp. 370, 438, 457; D. Toccafondi, I Ginori Lisci, in Archivi dell'aristocrazia fiorentina, Firenze 1989, pp. 139-143; J.-C. Waquet, Le Grand-Duché de Toscane sous les derniers Médicis. Essai sur le système des finances et la stabilité des institutions dans les anciens états italiens, Roma, 1990, ad ind.; M. Verga, Da "cittadini" a "nobili". Lotta politica e riforma delle istituzioni nella Toscana di Francesco Stefano, Milano 1990, ad ind.; A. Contini, Pompeo Neri tra Firenze e Vienna (1757-1766), in Pompeo Neri, a cura di A. Fratoianni - M. Verga, Castelfiorentino 1992, pp. 244-249; R. Turchi, Dedicatari toscani del Goldoni, in Studi italiani, V (1993), pp. 23 s., 36-40; M.A. Morelli Timpanaro, A Livorno, nel Settecento. Medici, mercanti, abati, stampatori: Giovanni Gentili (1704-1784) ed il suo ambiente, Livorno 1997, pp. 12, 80, 82 s., 93, 107, 112, 117; A. Biancalana, La manifattura dei Ginori nel '700. Decorazioni pittoriche e forme nella porcellana di Doccia da Carlo a Lorenzo Ginori (1737-1791), in La manifattura toscana dei Ginori. Doccia 1737-1791, a cura di M. Burresi, Pisa 1998, pp. 19-39.