GAVARDINI, Carlo
Nacque a Pesaro il 21 febbr. 1811 dal conte Antonio e da Giovanna Venturelli di Cesena (Pesaro, Biblioteca Oliveriana, ms. 1549, II).
La tradizione che lo vuole figlio di Cesare, zio paterno nato nel 1755 e morto nel 1782, è fondata sulla errata lettura del Codice Antaldi della Biblioteca Oliveriana di Pesaro (ms. 1805); la notizia del giovane G. avviato alla stessa carriera pittorica dello zio, aggiunta alla nota biografica di questo, è stata automaticamente interpretata come un segno di parentela stretta (Thieme - Becker). La presunta produzione pittorica di Cesare Gavardini in diversi luoghi della città natale sorge su un equivoco: le chiese citate come teatro della sua perduta attività sono quelle - romane, non pesaresi - che ospitano le principali opere del nipote; infatti, Vanzolini (1864), stilando l'elenco delle opere del G., lo nomina con il solo cognome ingenerando così un fraintendimento negli storici successivi che riferiscono lo stesso corpus di opere ai due diversi pittori (Thieme - Becker).
Il G. ricevette la sua prima formazione artistica in patria, alla scuola di G.B. Consoli (ms. 1805) integrandola con studi umanistici e letterari, come emerge dalla sua erudizione che le fonti non mancano di sottolineare (De Sanctis).
Sembra che il G. abbia scritto alcune Dissertazioni archeologiche, con una sezione relativa al cimitero ebraico, e una Storia della scultura e della pittura cristiana nei primi otto secoli, entrambi inediti (Carteggio Vanzolini). Lo stesso ambito familiare deve essere stato ricco di stimoli culturali se il nonno, suo omonimo, e il padre erano poeti e figure di rilievo nel milieu pesarese del Settecento. La famiglia, di nobiltà recente ma finanziariamente solida per il passato nel commercio di "fettuccia e refe", possedeva opere attribuite al Veronese e a Tiziano.
Il G. si trasferì a Roma almeno dal 1833, quando partecipò al concorso di pittura indetto dall'Accademia di S. Luca. L'anno seguente, tuttavia, a causa della morte del padre (ms. 1194), fece rientro a casa e vi rimase almeno fino al 1835 (ms. 1537). Rientrò quindi a Roma, dove si stabilì definitivamente. Qui si riuniva con altri artisti e letterati presso il caffè Bagnoli, in via delle Convertite. Secondo De Sanctis il G. fu intimo amico di Nicola Consoni, con il quale prese parte all'illustrazione della Storia di Francia figurata, pubblicata nel 1846, per cui offrirono il proprio contributo molti altri artisti, tra cui T. Minardi. Di quest'ultimo il G. fu infatti allievo e, a detta di Ovidi, ospite per un certo periodo nella casa del maestro.
Una delle prime opere note del G. è il completamento della decorazione ad affresco della chiesa di S. Maria sopra Minerva, lasciata interrotta dall'improvvisa scomparsa nell'ottobre del 1854 di Bernardino Riccardi, pittore parmense morto mentre stava disegnando le ultime quattro figure della navata. Alla commissione, composta tra gli altri da Minardi, che presiedeva ai lavori di restauro e di abbellimento della chiesa, il G. propose di portare a termine l'opera senza alcun vantaggio personale ma a favore di Virginia Barlocci, vedova del pittore scomparso, che però rifiutò l'offerta. Ottenuta comunque la commissione, il G. eseguì le figure dei santi Tommaso, Filippo, Taddeo, Barnaba, e Filippo sulla volta della navata centrale restando fedele ai disegni del Riccardi, "sia per rispetto al collega scomparso sia per sincera stima del suo operato" (Leoni, 1855). Lungo le pareti della stessa navata dipinse inoltre dodici medaglioni quadrilobi con santi e sante domenicani.
Entro il 1856 il G. eseguì per i padri somaschi di S. Maria in Aquiro la decorazione a tempera della cappella di S. Girolamo Miani, loro fondatore, rappresentandovi, nella volta, S. Girolamo Miani che dagli angeli è condotto a ricevere la corona immortale, mentre sulle pareti laterali Il santo che accoglie i bambini poveri nelle campagne lombarde e Il santo che ammaestra i fanciulli in uno degli orfanotrofi da lui promossi. I contemporanei ne ammirarono la semplicità studiatissima della composizione e l'ottimo disegno formato sullo studio dei classici, un esito formale tradizionalista per legittimare dei soggetti di cronaca recente, ancora estranei all'iconografia storica (Leoni, 1856, pp. 154 s.).
L'anno successivo i padri somaschi lo chiamarono a Velletri, a S. Martino di Tours, dove affrescò i pennacchi della cupola della cappella del Sacramento con I quattro evangelisti, e ancora a Roma, nella chiesa dei Ss. Bonifacio e Alessio, visitata ben due volte da Pio IX durante i lavori di restauro e decorazione che si protrassero fino al 1860. Il risultato complessivo dell'impresa - alla quale il G. contribuì con I quattro Evangelisti, Il Redentore e due Angeli a tempera nella volta dell'abside, mentre O. Ottaviani realizzò i motivi decorativi che li incorniciano - non incontrò il favore dei contemporanei per il suo carattere troppo gaio, non adeguato all'edificio. Per la stessa chiesa il G. dipinse anche la pala raffigurante S. Girolamo Emiliani che prega la Madonna, collocata sull'altare della cappella dedicata al santo (Zambarelli, p. 16).
In seguito partecipò alla decorazione della basilica di S. Paolo fuori le Mura, promossa da Pio IX nel 1857 e condotta a termine in tre anni, dipingendo a fresco i riquadri con L'incontro di s. Paolo e dei Romani nel foro Appio e S. Paolo abitando in Trastevere insegna agli ebrei del sud (Franzoni). Tra il 1861 e il 1863 per volontà di Pio IX fu rinnovata la corsia delle donne nell'ospedale di S. Giacomo in Augusta: il G. affrescò la perduta Immacolata Concezione fiancheggiata da due Angeli in una cappellina demolita nel 1953-54. Nel 1862 prese parte all'apparato celebrativo creato in S. Pietro in occasione della canonizzazione di ventisette beati eseguendo due lunette raffiguranti S. Francesco della Pariglia francescano col segno della croce guarisce una donna indiana e con le sante acque del battesimo la rigenera in Cristo e L'incontro tra il martire gesuita s. Giovanni De Goto che va al supplizio e il padre (Descrizione…, 1862).
Precedenti al 1864, perché citati nella Guida di Pesaro di Vanzolini, sono il suo intervento in S. Maria della Quercia a Viterbo e la decorazione dell'oratorio della Congregazione dei Mercanti nel convento del Gesù, che eseguì con C. Mariani. Nel 1865 l'artista chiese di partecipare alla decorazione della chiesa romana di S. Nicola in Carcere, allora appena finita di restaurare e il cui progetto primitivo, poi abbandonato per l'offerta di G. Guidi di lavorare gratis (Bon Valsassina), prevedeva l'affidamento dei quattordici riquadri ad altrettanti artisti.
Testimonianze di una produzione non solo religiosa e di una committenza non soltanto pubblica restano alcuni ritratti, un soggetto mitologico in collezione privata urbinate (Calegari, 1986, p. 517) e la notizia di una "composizione dantesca" alla quale lavorò tra il 1856 e il 1862 traendo il soggetto dall'ottavo canto del Purgatorio (Leoni, 1856, p. 138; Selvatico).
Alcune lettere scritte tra il 1867 e il 1868 lo documentano a Roma, residente al Collegio romano dopo un viaggio a Napoli e in procinto per partire per Parigi (Carteggio Vanzolini). Nel 1868 improvvisamente impazzì e fu internato nel manicomio di Perugia, dove morì il 19 apr. 1869 (ms. 1549, II).
Fonti e Bibl.: Pesaro, Biblioteca Oliveriana, Mss. 1194, 33 (due lettere del G. al marchese Pietro Pietrucci); 1537, 6 (lettera di Jesus Rasponi al G.); 1539: Carteggio Giuliano e Giovanni Vanzolini, 48; 1549, II; 1805; Diario di Roma, 30 ott. 1833, suppl., pp. 1 s.; Q. Leoni, La chiesa di S. Maria sopra Minerva restaurata…, in L'Album, XII (1855), pp. 266-268; Id., Alcune pitture di C. G. in S. Maria in Aquiro, ibid., XIII (1856), pp. 137 s.; Id., Pitture di C. G. in S. Maria in Aquiro, ibid., pp. 154 s.; L. Angeloni, Le opere dell'architetto Giansimoni e del pittore G. in Velletri, ibid., XXIV (1857), pp. 193 s.; Descrizione dell'apparato nella basilica Vaticana fatto per la canonizzazione di ventisette beati nel 1862, Roma 1862, pp. 35, 43 s.; F. Franzoni, La basilica ostiense, Roma 1862, p. 34; P. Selvatico, Arte e artisti. Studi e racconti, Padova 1863, p. 63; L. Vanzolini, Guida di Pesaro, Pesaro 1864, p. 72; S. Ciccolini, Le nuove opere dell'archiospedale di S. Giacomo in Augusta descritte, estratto dal Giornale di Roma, febbraio-marzo 1864, pp. 14, 22, 32-34; G. De Sanctis, T. Minardi e il suo tempo, Roma 1900, p. 163; E. Ovidi, T. Minardi e la sua scuola, Roma 1902, pp. 115 s.; L. Callari, Storia dell'arte contemporanea, Roma 1909, p. 195; L. Zambarelli, Ss. Bonifacio e Alessio all'Aventino, Roma 1924, pp. 16, 41, 60; M. Manfrini Orlandi - A. Scarlini, T. Minardi. Disegni, taccuini, lettere nelle collezioni pubbliche di Forlì e Faenza (catal., Forlì 1981-82), Bologna 1982, p. 23, scheda 49; G. Calegari, Pittura e scultura dell'Ottocento, tra accademismo neoclassico e ricerca del vero, in F. Battistelli, Arte e cultura nella provincia di Pesaro e Urbino dalle origini a oggi, Firenze 1986, pp. 516-518; C. Bon Valsassina, in La pittura in Italia. L'Ottocento, Milano 1991, I, pp. 435, 441; S. Gnisci, ibid., II, p. 846 (con bibl.); U. Thieme - F. Becker, Künsterlexikon, XIII, p. 296.