GANDINI, Carlo
Nacque a Verona "honestis parentibus" nel 1705 e nella città scaligera ebbe la prima formazione in un istituto tenuto da religiosi. Completò gli studi superiori di medicina e filosofia probabilmente presso l'Università di Padova, dove forse seguì le lezioni di G.B. Morgagni, G. Pontedera e A. Vallisneri, che lì insegnavano tra il 1720 e il 1730, gli anni in cui si situerebbe la sua presenza nello Studio patavino.
Tale presenza, non documentata, si ipotizza su elementi indiretti e sul tipo di interessi in seguito espressi dal G., vicini all'insegnamento ippocratico-naturalistico del Vallisneri e al suo tentativo di conciliare l'antica medicina con metodologie innovative e aggiornate. A ogni modo, conclusa la formazione universitaria, dal 1727 il G. iniziò a esercitare la medicina pratica presumibilmente a Verona, dove soggiornò per qualche tempo, entrando forse in contrasto con il Collegio medico a causa della sua insofferenza per i metodi tradizionali.
Almeno dal 1734 o 1735, iniziò un lungo periodo di peregrinazioni, "ventidue anni di giro fatto per osservare li metodi diversi di Europa sopra i morbi a cadaun paese peculiari" (Disamina, p. 122), che lo portò a familiarizzare con gli orientamenti delle diverse scuole europee. Tale scelta derivava nel G. dalla sfiducia con cui guardava alle modalità di formazione solo teorica della classe medica, che perpetuavano le "costumanze" locali di università e collegi medici e ne facevano mondi separati con metodi e filosofie contrastanti. Di fronte a tale fissità, che impediva alla medicina di mutarsi in scienza certa, il G. preferiva una formazione "itinerante", capace di confrontare direttamente i diversi indirizzi clinici e terapeutici: "il peregrinare di un medico moltissimo giova allo acquisto di entrambe le parti della medicina […] ed alla pratica specialmente" (ibid., pp. 27, 30 s.). Viaggiò così per Germania, Olanda, Inghilterra e, a Londra, fu "ocular inspettatore" (Fadda, p. 175) dell'innesto del vaiolo, di cui sarebbe divenuto tenace sostenitore negli anni seguenti.
Nel 1738 si trovava a Palermo con la carica di medico della Sanità e nello stesso anno fu inviato a Napoli a studiare una malattia epidemica da lui definita "febbre infiammatoria putrida". Nell'Università palermitana tenne per qualche tempo (1742) l'incarico di lettore di chimica e partecipò ai lavori dell'Accademia medica, dove lesse una memoria sulle teorie di G.E. Stahl. Dalla Sicilia mosse tra il 1740 e il 1744 per compiere almeno tre viaggi in Spagna.
Scopo dichiarato del primo era quello di entrare in contatto con l'insegnamento di F. Solano de Luque, esponente di punta del rinnovamento della medicina iberica, morto due anni prima, e approfondire de visu la conoscenza della "solaniana dottrina", la teoria di interpretazione dello stato fisico umano tramite la semiotica dei polsi esposta in un trattato ormai divenuto rarissimo di cui il G. riuscì a ottenere una copia solo nel secondo viaggio iberico, nel 1742 a Cadice, dal medico M. Gutierrez de los Ríos, fervido seguace del Solano, che introdusse il veronese alla pratica dell'arte "dei polsi".
Alla fine degli anni '30 (o al 1740, nel corso del viaggio in Spagna) dovrebbe risalire una presenza del G. presso la facoltà medica di Montpellier che si stava affermando in Europa quale celebrato centro di "filosofia medica": le linee di ricerca lì impostate - soprattutto gli studi di sfigmica e l'adesione al concetto antimeccanicista di "uomo vivo" proprio dello stahlianesimo rielaborato in quella Università - esercitarono sul G. una duratura influenza. Saldi furono i rapporti scientifici e umani che il G. mantenne con quel milieu, in particolare dopo il 1750 quando entrò in contatto con i medici-scienziati F. Boissier Sauvages e T. Bordeu.
Lasciata la Sicilia, nel 1744 e fino al 1746 il G. si stabilì in Portogallo, operando tra Coimbra (nel 1774 in una dedica al primo ministro portoghese S.J. de Carvalho e Mello marchese di Pombal si diceva medico aggregato di quell'Università) e Lisbona. Di qui, dopo un drammatico viaggio durante il quale perse i suoi manoscritti, rientrò in Italia sbarcando a Genova, la città in cui doveva fermarsi ponendo fine ai suoi inquieti spostamenti. Prima però deve essere situato un periodo milanese, come indicano la pubblicazione delle Riflessioni sopra li vari pareri pubblicati intorno al caso della giovane cremonese, e i suoi maravigliosi avvenimenti (Milano 1750), dedicate alla matematica Maria Gaetana Agnesi, e la commedia satirica L'impostura scoperta (Firenze 1752), in cui si dichiarava dottore "milanese".
A Genova il G. giunse verso la fine del 1755 o l'inizio del 1756 e, per esercitare la professione, chiese subito l'ascrizione al Collegio medico, concessa il 23 febbr. 1756; la esplicò con successo divenendo in breve uno stimato e ascoltato consulente di doviziose famiglie aristocratiche cittadine. Tuttavia, la pubblicazione nel 1758 di alcuni scritti polemici e la sua netta adesione l'anno dopo all'inoculazione antivaiolosa, cui attribuì le caratteristiche di una battaglia a favore della ragione e del progresso sociale e sanitario, misero il G. in contrasto con l'ambiente medico genovese, lo isolarono e gli resero più difficile lo stesso esercizio della professione.
Del resto già la sua opera di esordio a Genova (Disamina delle cagioni, che hanno ritardato, e ritardano i progressi della medicina come arte, 1757), benché dedicata al Collegio di filosofia e medicina in segno di riconoscenza per la sua cooptazione, era fortemente polemica verso il mondo professionale medico, i Collegi e il modello "letterario" cui faceva riferimento la medicina con le sue scolastiche descrizioni di sintomi di malattie "invisibili", mai verificati con la diretta osservazione ma appresi attraverso l'adesione a modelli teorici.
In essa, come in altre opere posteriori, il G. perorava una radicale riforma della didattica medica attraverso un uniforme, severo piano di studi formativo delle nuove leve mediche. Invocava pure una "codificazione" semplice e chiara della medicina, capace di toglierla alla deriva teorica e pratica, la "deplorabile incertezza", in cui l'arte versava. Non a caso, il G. si fece promotore della traduzione italiana del libro-manifesto della medicina illuminista, l'Avviso al popolo intorno alla di lui sanità di S.-A. Tissot (Genova 1767), che arricchì di un copioso apparato di note e osservazioni, e a cui diede una sua Continuazione agli avvertimenti sulla sanità del celebre signor Tissot… (2 voll., ibid. 1775-77).
Al 1769 data il suo trattato più noto, Gli elementi dell'arte sfygmica (stampato anch'esso a Genova). Come tecnica ermeneutica, il metodo polsistico da lui adottato si avvicinava a quello illustrato dal Bordeu. Esso, per il G., assumeva un valore altamente formativo per i giovani medici che potevano così osservare le variazioni fisiologiche normali e la comparsa di stati patologici, apprendendo a discernere i segni della malattia. L'opera dottrinale più importante uscì ancora a Genova nel 1772 (Osservazioni… sulle leggi più semplici de' movimenti animali, sulla natura speciale dell'uomo… e singolarmente delle passioni dell'animo).
Contro chi spiegava il funzionamento dell'"uomo vivente" ricorrendo a modelli meccanicistici, il G. evidenziava la complessità del vivente ed esponeva il ruolo fondamentale delle sensazioni (memoria, raziocinio, immaginazione, volontà, passioni) nell'economia corporea. Dal rifiuto di ridurre il corpo a un composto di fluidi e solidi nasceva il ruolo primario attribuito al sistema nervoso e al cervello, considerato un complesso di organi funzionali all'anima. Ciò non significava il cedimento a debolezze "animistiche" poiché il G. non mirava a definire lo statuto ontologico dell'anima ma la sua struttura "operazionale", il suo modo di influire sul corpo (Bo, p. 42).
Se, tranne poche eccezioni, la classe medica genovese fece deserto intorno a lui, più positivi furono i contatti esterni intessuti dal G., come quelli con gli scienziati Ch.-M. La Condamine e A. Murray, con la scuola medica di Torino e in particolare con Carlo Allioni. Dal Piemonte doveva venire l'unico suo vero allievo, il medico F.G. Gardini il quale, dopo la lettura del trattato sui polsi, si mosse più volte a piedi da Alba per conoscere l'autore. Il rapporto instauratosi tra i due si dimostrò proficuo: lavorarono insieme sull'applicazione dell'elettricità alla medicina e il G. curò l'edizione di alcune opere del Gardini, arricchendole di suoi scritti.
Il G. morì a Genova l'11 maggio 1788.
La sua scomparsa fu celebrata il 1° febbr. 1789 nel corso di una seduta dell'Accademia degli Industriosi, ai cui ambienti riformatori il G. doveva essersi avvicinato sin dalla fondazione nel 1783, con la lettura di un sonetto di F. Giacometti, grande amico del G. e segretario dell'Accademia. In data ignota si era sposato e nel 1789 era ancora viva una figlia, Maria.
Fonti e Bibl.: Ed. naz. delle operedi L. Spallanzani, parte I, Carteggi, V, a cura di P. Di Pietro, Modena 1985, pp. 60-63; Ed. naz. delle opere di C. Beccaria, V, Carteggio, a cura di C. Capra - R. Pasta - F. Pino Pongolini, Milano 1996, ad ind.; Effemeridi letterarie di Roma, I (1772), coll. 150-152; Avvisi [Genova], 1788, n. 21, pp. 161 s.; F. Cazzaniga, Della sapienza medica, Cremona 1847, pp. 76-82; S. De Renzi, Storia della medicina in Italia, Napoli 1848, V, ad ind.; N. Giuliani, Albo letterario della Liguria, Genova 1886, p. 111; A. Cazzaniga, Una polemica settecentesca intorno a un caso di isteria, in Castalia, I (1945), pp. 18, 91-93, 95, 97 s., 101; P. Berri, Controversie tra medici nella Genova del Settecento, ibid., II (1946), pp. 343 ss., 415 s., 419 ss.; F. Cirenei, Un grande teorico del Settecento: C. G., Pisa 1961; D. Bo, L'Europa medica nella Genova settecentesca. Alle origini dell'Università, in Misc. storica ligure, XIII (1981), pp. 23-47, 115-131, 133; B. Fadda, L'innesto del vaiolo: un dibattito scientifico e culturale nell'Italia del Settecento, Milano 1983, ad ind.; E. Brambilla, La medicina del Settecento: dal monopolio dogmatico alla professione scientifica, in Storia d'Italia (Einaudi), Annali, 7, Malattia e medicina, a cura di F. Della Peruta, Torino 1984, pp. 32-34, 49, 63-65, 92, 97-99, 114, 134, 137; "Il Caffè", a cura di G. Francioni - S. Romagnoli, Torino 1993, ad ind.; Enc. medica italiana, IV, 1, Milano 1878, p. 135.