GAMBUZZI, Carlo
Nacque a Napoli il 26 ag. 1837 da Pasquale e Maria Carolina Landolfi. Il padre, direttore della fabbrica dei tabacchi napoletana, volle che i gesuiti lo educassero nel "santo timore di Dio", ma egli mostrò sin da giovane una forte passione per la politica e una ferma opposizione all'assolutismo borbonico. Insieme con G. Lazzaro, P. Lacava, G. Roviello e A. Rizzo, fu infatti nel 1857 fra gli organizzatori della tragica spedizione di C. Pisacane. Nel marzo del 1860 fu arrestato per la stampa del giornale clandestino Il Piccolo Corriere e restò in carcere fino a giugno. Dopo la liberazione del Regno, mentre le esigenze familiari lo costringevano a esercitare la professione di avvocato, il G. prese a svolgere un'intensa propaganda a sostegno delle idee mazziniane e fondò numerose associazioni operaie, dalla cui politicizzazione sperava che si formasse una forte opposizione antimonarchica e che si creassero i presupposti per la ripresa del movimento democratico napoletano. Contemporaneamente, collaborava al Popolo d'Italia, il giornale fondato per impulso di G. Mazzini nell'ottobre del 1860 e diretto da A. Saffi e F. De Boni, entrando nel Comitato di provvedimento napoletano per Roma e Venezia, di cui divenne ben presto il segretario.
In tale veste il G. si collegò agli altri comitati meridionali e cercò un accordo politico con l'altro gruppo della Sinistra democratica che, intento a salvaguardare gli interessi meridionali, si era raccolto intorno al periodico Il Nomade. Inviato con S. Morelli all'assemblea dei democratici convocata a Genova nel marzo del 1862, intervenne per attaccare con vigore la politica di centralizzazione di B. Ricasoli e, sottolineando i pericoli di accentramento, ribadì la necessità di garantire piena autonomia agli ordinamenti amministrativi. Nel suo pensiero, ispirato a quello del Pisacane, l'istanza autonomistica era assai pronunziata e a Genova si palesò nell'accusa di eccessivo centralismo da lui rivolta anche alla giunta esecutiva dell'Associazione emancipatrice.
Nei mesi seguenti il G. promosse un intervento delle associazioni liberali napoletane sulla riforma della magistratura, tema particolarmente avvertito a Napoli, dove era stato molto criticato l'orientamento assunto in proposito dal capo del governo U. Rattazzi. Intanto non veniva meno il suo impegno nelle varie organizzazioni garibaldine: esponente del Tiro nazionale e del Comitato insurrezionale "Roma o morte", il G. fu inoltre fra i più accesi fautori della fondazione della sezione napoletana del Comitato unitario centrale che nella primavera del 1864 incoraggiò la sollevazione dei Veneti contro l'Austria; anche la loggia I Figli dell'Etna, la più politicizzata in seno alla massoneria cittadina, ebbe in lui un acceso animatore.
L'aggravarsi delle condizioni di vita del proletariato napoletano, il pesante carico fiscale, il ristagno dell'economia cittadina spinsero il G. a indire un'assemblea popolare (febbraio 1866), per mettere a punto una nuova strategia politica. In realtà, nell'attivista mazziniano cominciavano a maturare maggiore sensibilità ai problemi sociali e una più profonda coscienza delle potenzialità di un forte movimento a base popolare: ciò lo avrebbe portato, attraverso una critica dell'idealismo mazziniano, ad avvicinarsi alle teorie di M. Bakunin, il cui soggiorno napoletano aveva favorito l'elaborazione di progetti di matrice anarchica per l'emancipazione materiale delle masse. Il passaggio del G. alle dottrine dell'agitatore russo non fu, tuttavia, acritico: in contrasto col Bakunin - che propagandava l'astensione dalla guerra, nella quale individuava un sostegno alla borghesia e un mezzo per paralizzare la spinta rivoluzionaria delle masse - il G. nel 1866 contribuì all'arruolamento di volontari garibaldini e alla preparazione della campagna del Veneto, alla quale partecipò insieme con G. Fanelli e R. Mileti. Ma, al ritorno a Napoli, fu sotto l'influsso del Bakunin che nell'aprile del 1867 il G. fondò, con il gruppo di cui faceva parte, l'associazione rivoluzionaria Libertà e giustizia, lanciando l'omonimo settimanale, diretto da P.V. De Luca, di cui fece ben presto un formidabile strumento di propaganda rivoluzionaria, oltre che il luogo di discussione e di confronto delle idee dei suoi esponenti. Il G. in particolare, scagliandosi contro la società borghese e la sua organizzazione statale, vi esaltò la soluzione della federazione repubblicana e riconfermò la centralità dell'autonomia degli enti locali.
Il suo frenetico attivismo propagandistico dava, intanto, nuovi risultati. Nel maggio del 1868 numerosi affiliati della Società operaia di F. Tavassi passarono nelle file di Libertà e giustizia; nello stesso periodo il G. assunse la direzione della loggia massonica Vita nuova, che divenne la "più temibile delle logge napoletane, perché raccoglieva tutti i popolani e tutti i più riscaldati repubblicani".
I rapporti con il Bakunin, improntati a un'aperta dialettica anche per la posizione assunta in merito alle elezioni del 1867 (quando il G., in dissenso con l'astensionismo predicato dal russo, aveva elaborato un articolato programma politico di stampo ultraradicale), rimasero tuttavia molto stretti. A Berna per il II Congresso della pace (21-25 sett. 1868), sotto la sua direzione il G. stese un documento nel quale rilanciò il progetto della rivoluzione sociale; poi, agli inizi del 1869, fondò a Napoli con altri attivisti la sezione cittadina dell'Internazionale, che ad aprile poteva contare già su 1200 iscritti. Attento alla difesa delle libertà civili, come membro del Comitato permanente di soccorso alla libera stampa organizzò e animò, nel febbraio del 1869, un incontro pubblico sulla libertà di stampa; poi, quando G. Ricciardi in opposizione al Concilio ecumenico convocato a Roma da Pio IX propose di organizzare un anticoncilio, il G. sostenne l'iniziativa e partecipò ai lavori che si tennero il 9 e 10 dicembre al teatro S. Ferdinando. Qualche mese prima aveva coronato un altro suo progetto: la nascita del settimanale Eguaglianza, organo dell'omonima associazione nata dalle ceneri di Libertà e giustizia.
Preoccupato per il configurarsi di un movimento di classe, nel febbraio del 1870 il governo ordinò lo scioglimento della sezione napoletana dell'Internazionale. Gli echi della Comune di Parigi rivitalizzarono l'estremismo napoletano e, ai primi di maggio del 1871, il G., a conferma del grado di avanzamento del processo di chiarimento ideologico che lo avrebbe portato dall'anarchismo al socialismo, fondò e assunse la presidenza del Comitato socialista, avviando una forte opera di proselitismo soprattutto fra i mazziniani. Il 20 agosto, però, la sezione napoletana dell'Internazionale veniva nuovamente sciolta e i suoi principali esponenti, incluso il G., perquisiti e trovati in possesso di documenti compromettenti (verbali di riunioni e di sedute, regolamenti, corrispondenza, liste di soci e registri di contabilità). Ciò nonostante, sul finire del 1871 il G., L. Filicò, A. Dramis e C. Cafiero fondarono la Federazione operaia napoletana. Nel gennaio del 1872 vide la luce La Campana, organo ufficiale della neonata federazione, della cui redazione il G. fece parte insieme con il Cafiero e A. Tucci fino alla cessazione delle pubblicazioni avvenuta, per mancanza di fondi, nel marzo dello stesso anno. Un lusinghiero successo ottenne, invece, la scuola serale per le fanciulle delle famiglie operaie, per la cui apertura il G. si adoperò vedendo in essa un mezzo atto non solo a lenire la grave piaga dell'analfabetismo delle classi popolari, ma anche a propagandare tra i giovani la lotta di classe. Determinanti furono pure la mediazione da lui svolta, in quello stesso torno di tempo tra E. Malatesta e il Bakunin, e la funzione di collegamento con gli internazionalisti inglesi, rafforzatasi durante un suo soggiorno a Londra sul finire del 1872.
Il suo ruolo nell'organizzazione della lotta di classe non fu ridimensionato né dall'accusa mossagli da La Nuova Patria di essere un procacciatore di affari, per aver favorito, in cambio di una cospicua somma di danaro e servendosi dell'amicizia di G. Lazzaro e del sindaco V. Del Monte, l'appalto a una società inglese di alcuni lavori alla rete idrica napoletana; né da quella di collusione con esponenti del partito borbonico; né dai contrasti interni al movimento operaio con S. Caporusso. Né cessò la sua azione tesa a dar vita a nuove sezioni dell'Internazionale in tutto il Mezzogiorno. Nel 1874 fondò il Comitato italiano per la rivoluzione sociale, che preparò moti insurrezionali in varie parti d'Italia; dei quattro gruppi che componevano l'Internazionale a Napoli il suo era il più maturo.
La repressione seguita al moto di San Lupo (aprile 1877) e l'attentato contro Umberto I compiuto a Napoli nel novembre del 1878 dal cuoco G. Passanante aprirono una grave crisi nel movimento operaio napoletano. Ebbero poi scarso successo i tentativi di inquadrare gli operai dell'arsenale nell'Associazione economica emancipatrice e di trasformare in centro organizzativo del movimento operaio il Circolo degli studi sociali, della cui commissione esecutiva il G. fece parte insieme con F.S. Merlino. In quel contesto il G., temendo la formazione di un forte movimento radicale, sferrò un durissimo attacco contro la redazione de La Spira, il giornale fondato da G. Bovio allo scopo di ricomporre la frattura fra repubblicani e socialisti. La candidatura alle elezioni del 1882, sancendo definitivamente il passaggio del G. dalle idee del Bakunin al socialismo, segnava intanto una profonda svolta nella sua vita politica.
Su questa posizione il G. rimase fino alla fine e, coerentemente con essa, nel corso del XVII congresso delle società operaie affratellate, che si tenne a Napoli nel giugno del 1889, criticò la dottrina sociale di Mazzini e attaccò i repubblicani puri. Negli anni seguenti continuò a essere uno dei protagonisti del movimento operaio napoletano e, come direttore responsabile della Gazzetta di Napoli, condusse un'inflessibile campagna contro la dilagante corruzione e il malgoverno cittadino che caratterizzarono la decadenza e la miseria della Napoli di fine secolo. Dalle colonne del suo giornale, puntando al "risanamento morale" del mondo politico napoletano e chiamando in causa il deputato A.A. Casale, il G. svelò le trame delle nuove consorterie prosperate all'ombra degli appalti e delle convenzioni municipali: come poi dichiarò al processo intentatogli dal Casale per diffamazione, nelle sue accuse non aveva voluto colpire personalmente l'uomo politico napoletano, bensì l'intero sistema affaristico, del quale il Casale rappresentava, a suo avviso, "il tipo del camorrista politico ed amministrativo". Il processo si concluse, però, con la condanna del G. a dieci mesi di reclusione, alla multa di 833 lire, alle spese giudiziarie e alla tassa di 60 lire sulla sentenza. Ma alcuni anni dopo (1899) la battaglia condotta con successo da La Propaganda, organo del socialismo napoletano, contro il sistema camorristico-clientelare, contro l'affarismo della "triade Casale - Summonte - Scarfoglio", e culminata nella condanna del Casale e nella istituzione della commissione presieduta da G. Saredo, producendo una forte sterzata moralizzatrice mostrò anche la fondatezza delle accuse rivolte dal G. con notevole anticipo a quel perverso sistema politico. All'indomani della condanna del Casale, il G., ripercorrendo in un agile libretto il processo da cui era uscito condannato, stigmatizzava "l'atrofia del sistema rappresentativo", e osservava con acume che "finché, le ragioni storiche, politiche e, soprattutto economiche, che inaspriscono il mal comune a Napoli, non saranno modificate, Napoli arrischia di continuare ad essere preda di clientele e camorre".
A distanza di poco più di un anno da quella appassionata autodifesa, il G. si spense improvvisamente a Napoli il 30 apr. 1902.
Scritti del G.: Sulla tomba di Giuseppe Fanelli, s.n.t. [ma Napoli 1877]; Per la verità. Origine e fine del processo Casale - Gazzetta di Napoli, Napoli 1901.
Fonti e Bibl.: Sulla scomparsa del G. e sull'eco provocata nel mondo politico napoletano cfr. gli opuscoli commemorativi di P. Pensa, In mem. di C. G. nel trigesimo della morte (Napoli, 31 maggio 1902), e di S. Verratti, In mem. di C. G. nel trigesimo della morte (Napoli, 31 maggio 1902). Archivio di Stato di Napoli, Questura, Gabinetto, ff. 5, 37, 40, 42; Prefettura, Gabinetto, ff. 57, 60, 61, 108, 319, 475, 713, 930-932; Roma, Museo centr. del Risorgimento, bb. 103, 346; Il Popolo d'Italia, 13 marzo 1862, 14 e 15 febbr. 1869; La Voce pubblica, 30 ott. 1876, 14 genn. 1877; M. Nettlau, Bakunin e l'Internazionale in Italia dal 1864 al 1872, con prefaz. di E. Malatesta, Ginevra 1928, passim; A. Romano, Storia del movimento socialista in Italia, I-III, Bari 1966-67, passim; G. Candeloro, Storia dell'Italia moderna, VI, Lo sviluppo del capitalismo e del movimento operaio, Milano 1970, pp. 39-43; A. Scirocco, Politica e amministraz. a Napoli nella vita unitaria, Napoli 1972, pp. 62, 83 s., 115-119; Id., Democrazia e socialismo a Napoli dopo l'Unità (1860-1878), Napoli 1973, passim; F. Della Peruta, Democrazia e socialismo nel Risorgimento, Roma 1973, pp. 406 s., 424; "Libertà e Giustizia", a cura di M. Ralli, Salerno 1977, pp. XXI ss., 151-156; N. Dell'Erba, Le origini del socialismo a Napoli (1870-1892), Milano 1979, passim; P.F. Buccellato - M. Iaccio, Gli anarchici nell'Italia meridionale. La stampa (1869-1893), Roma 1982, pp. 45 s.; L. Mascilli Migliorini, La vita amministrativa e politica, in Napoli, a cura di G. Galasso, Roma-Bari 1987, p. 151; M. Toda, Errico Malatesta da Mazzini a Bakunin. La sua formaz. giovanile nell'ambiente napoletano (1868-1873), a cura di A. Scirocco, Napoli 1988, pp. 6-8, 26 s., 48 s., 57-59, 64-67, 76-78, 81-85, 101-104; R. Colapietra, Errico De Marinis dalla sociologia alla politica, Salerno 1994, p. 71. Sul manifesto elettorale di Libertà e giustizia cfr. Il Popolo d'Italia, 5 marzo 1867. Sul positivo giudizio espresso a F. Engels da C. Cafiero sul G. e sulle sue capacità organizzative cfr. Corrispondenza di Marx ed Engels con italiani (1848-1895), a cura di G. Del Bo, Milano 1964, pp. 24-28. Sulla sezione napoletana dell'Internazionale e sul ruolo del G., cfr. la relazione inviata a Engels da C. Palladino nel novembre del 1871, ibid., pp. 62-73.