FREDI, Carlo
Nacque a Padova in data non precisata, collocabile intorno agli inizi della seconda metà del sec. XVI, da Fiorenzo Antonio.
Gli inizi della sua carriera teatrale rimangono oscuri; tuttavia la storiografia è propensa a farli risalire alla compagnia dei Gelosi, guidata da Francesco Andreini e Isabella Canali. Al loro seguito il F. dovette probabilmente raggiungere Napoli, durante la tournée compiuta nel Sud nell'anno comico 1593-94. Proprio a Napoli la sua biografia comincia ad acquistare spessore e rilievo. Qui il F. si fermò insieme con la moglie Alba Odi e i figli Flaminio, Florinda e Lucrezia, stabilendo un duraturo rapporto con la città partenopea, già brulicante di attori e di attività teatrali. Cominciò così a inserirsi nel fertile ambiente napoletano e a instaurare legami artistici con Bartolomeo Zito, con Silvio Fiorillo, con Ambrogio Buonomo e altri attori di rilievo, con i quali condividerà la sua esperienza sia umana, sia teatrale. Nei primissimi anni del Seicento il F. operò nella stanza della Porta della Calce, che parrebbe essere stata di proprietà della corte vicereale spagnola, di cui tenne la gestione per un lungo periodo, parallelamente a quella del S. Giorgio dei Genovesi. Nel febbraio 1602, la compagnia dell'attore risulta composta da Ottavio Ferrarese, in arte Tartaglia, da Angela Lucchese, in arte Ricciolina, da Flaminia Tosetti, in arte Silvia, da Giacoma d'Angelo, in arte Flavia, oltre che dal Capitan Matamoros Silvio Fiorillo, da Graziano Bartolomeo Zito e da Lorenzo Scannavino.
Il F., indicato da B. Croce e da U. Prota Giurleo come il responsabile e l'animatore della stanza di S. Giorgio dei Genovesi, in realtà, almeno per un certo periodo continuativo, seppe gestire e amministrare in contemporanea due teatri pubblici, "lo spagnolo" e "l'italiano", così come gli antichi documenti napoletani amavano designarli. Per parecchi anni rilevò anche la riscossione dello iusrepraesentandi. Alcune volte, almeno nel 1609 e nel 1611, subaffittò lo ius, rilevato per gli anni citati dal Fiorillo.
Fu merito anche di tale attività, dalla quale si ricavavano proventi sulle vendite dei biglietti, se il F., coadiuvato validamente anche dai compagni d'arte, riuscì ad affrontare le spese di gestione delle due sale teatrali e a pagare puntualmente l'affitto del S. Giorgio dei Genovesi ai governatori della chiesa omonima, proprietaria del teatro. Il console della potente nazione genovese provvedeva a fissarne il prezzo annuo di locazione: il F., ad esempio, versò nel 1610 180 ducati a G.B. Spinola in rate di 15 ducati mensili. Grazie alla puntualità nei pagamenti e alla fiducia acquistata presso i proprietari del teatro di S. Giorgio dei Genovesi, l'attore ebbe rinnovata la locazione molte volte, fino alla sua morte.
Il F. assicurò anni prosperi ai teatri napoletani di cui risultava responsabile, alternando gli impegni di capocomico con quelli di amministratore. Un documento risalente al 1608 attesta, ad esempio, che il F., che aveva rilevato per quell'anno la riscossione dello ius, cedette allo Zito l'onore e l'onere di guidare la compagnia comica che si esibiva al S. Giorgio dei Genovesi e che in quell'occasione fu composta da Flaminia Tosetti, da Giulio Cesare Guerriero, da Ambrogio Buonomo, da Lorenzo Scannavino, oltre che dal citato Zito.
Aprendosi alle dinamiche del mercato teatrale partenopeo, ma anche regnicolo, il F. seppe ricorrere a compagnie esterne e portare al S. Giorgio dei Genovesi dal dicembre 1603 fino agli inizi di marzo del 1604 la compagnia dei Desiosi di Viterbo, diretta da Adriano Fani. Una mentalità elastica e moderna, favorevole agli scambi e al confronto, fece sì che in un'occasione diversa, nell'autunno del 1611, il F. per i suoi teatri scritturasse una diva dell'arte, l'attrice Diana Ponti, in commedia detta Lavinia.
Esemplari della sua intraprendenza economica furono l'acquisto già nel 1599 del galeone S. Maria del Monte, che il F. affidò al capitano Fabio de Masso e dal cui nolo ricavò buoni guadagni; la pratica per l'assegnazione del donativo di una provincia del Regno, inoltrata nel febbraio del 1600 e ottenuta nel 1603 con la concessione di interessi sulla provincia della Basilicata; l'esercizio dell'arrendamento della dogana di Napoli, ossia la riscossione del dazio su tutte le merci regnicole e straniere in entrata e in uscita dalla città. Importanti ricadute economiche ebbero dunque gli sforzi teatrali del F., mutato da tenero e languido innamorato della commedia in agguerrito uomo d'affari fuori dal palcoscenico. Il suo tenore di vita fu dignitoso, tanto che nel 1602 risultava al suo servizio una tale "Loretta serva", ma forse per i rischi finanziari non si mantenne sempre costante.
Meno fortunato fu il F. nella vita privata. Flaminio, l'unico figlio maschio, risulta morto sin dal 1599; Florinda, andata in sposa all'attore Natale Consalvo, fu causa di molti dispiaceri, tanto che egli nominò sua erede universale solo Lucrezia, divenuta moglie di un ricco commerciante, Francesco Mazzucco. Il 16 nov. 1608 il F. perse Alba Odi, sua compagna di vita e, forse, anche d'arte. Trascorsi sei anni convolò a nozze per la seconda volta, sposando il 25 febbr. 1614 Ippolita Laudisiello, figlia di Giulio Cesare, uno dei primi riscuotitori napoletani dello ius repraesentandi, e vedova del Guerriero, l'innamorato che, con il nome di Cintio, aveva recitato più volte nella compagnia del Fredi. Ippolita aveva avuto dal primo marito una figlia, Angelica Guerriero, la quale fu all'origine di contrasti e attriti sorti per ragioni ereditarie che non tardarono a manifestarsi.
Il F. morì infatti a Napoli il 15 ag. 1615; nel testamento scelse come luogo della sepoltura la chiesa della Pietà dei Figlioli Turchini.
L'apertura del testamento fece accendere un lungo dissidio tra gli eredi. Il suo continuatore artistico fu Natale Consalvo, il genero forse poco amato, che a pochi giorni dalla sua scomparsa seppe subaffittare da Lucrezia il teatro di S. Giorgio dei Genovesi e sostituirsi a lui nella società formata dal F., Zito e Buonomo per la sua gestione.
Il F. è conosciuto in tutte le carte d'archivio napoletane come Lutio Fedele (che tradisce in pieno la parte di innamorato svolta sui palcoscenici) e come tale viene citato anche nelle pagine de Il secretario, opera composta da G.C. Capaccio, nella quale l'autore scrive di aver inviato al F. una commedia e l'attore risponde di averla messa in scena con successo.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Napoli, Notai del Cinquecento, Notaio G.B. Cotignola, prot. del 1603, c. 266r; prot. del 1608, c. 39; Notai del Seicento, Notaio G.L. De Divitiis, scheda n. 84, prot. n. 1, cc. 103v-104r, 125v-126r; prot. n. 16, fasc. 22, cc. 5 n.n. + 1; RegiaCamera della Sommaria, Consultationum, 1617, cc. 96v-97r, 103v-104r; G.C. Capaccio, Il secretario, Venetia 1607, pp. 221 s., 296; U. Prota Giurleo, in Enc. dello spettacolo, Roma 1958, V, coll. 693 s.; Id., I teatri di Napoli nel '600. La commedia e le maschere, Napoli 1962, pp. 13-27, 48; F. Taviani - M. Schino, Il segreto della Commedia dell'Arte. La memoria delle compagnie ital. del XVI, XVII e XVIII secolo, Firenze 1982, pp. 396-398, 401, 429; B. Croce, I teatri di Napoli dal Rinascimento alla fine del secolo decimottavo, a cura di G. Galasso, Milano 1992, pp. 50 s., 74; S. Ferrone, Attori mercanti corsari. La Commedia dell'arte in Europa tra Cinque e Seicento, Torino 1993, pp. 35, 72 s., 85; T. Megale, I teatri di C. F., in La città in festa. Tipologie dello spettacolo nella Napoli del primo Seicento, tesi di dott. di ricerca, Università di Firenze, a.a. 1992-93, pp. 62-84.