BARABINO, Carlo Francesco
Nacque a Genova l'11 febbr. 1768. Architetto, appartiene al gruppo di maestri operanti nella prima metà del sec. XIX entro l'ambito della cultura neoclassica.
Dal padre Antonio, capomastro e imprenditore, fu avviato agli studi presso la scuola di architettura della Accademia Ligustica e, contemporaneamente, seguì gli studi letterari, considerati indispensabili per la formazione degli architetti; all'età di venti anni, completò a Roma la sua educazione classicistica, rilevando e disegnando i monumenti antichi.
Affermatosi nei concorsi indetti dalle Accademie di S. Luca e di Parma e tornato a Genova (1793)dopo circa sei anni di soggiorno a Roma, il B. iniziò la sua attività (facciate di casa Ravara a Pontedecimo e di casa Massuccone a Genova; interno del palazzo Negrone, oggi de Cavi, in collaborazione con il padre, quivi; altari principali della chiesa di Nostra Signora del Rimedio). Il 16ag. 1795fu eletto accademico di merito della Accademia Ligustica e, poco dopo, divenne aiuto dell'architetto comunale Claudio Storace, al quale successe il 14 febbr. 1797. Non ancora trentenne era già membro dell'Istituto ligure di scienze, lettere e arti. Accusato di "malversazione ed abuso" per lavori ai lavatoi di vìa dei Servi, un'inchiesta accertò le sue responsabilità, ed egli fu rimosso dalla carica di architetto municipale il 6 marzo 1798. Ciò lomise in ombra per molto tempo; tuttavia un segno di ripresa egli diede nel 1803,allorché fu nominato direttore della Accademia Ligustica. Nel 1805collaborò con A. Tagliafichi agli addobbi preparatori per la visita di Napoleone nella città; nel 1806fu chiamato a Milano per giudicare, insieme con altri, il progetto per il Foro Bonaparte, redatto da G. A. Antolini ed al quale propose varianti (Corradi). Tuttavia in questi anni si hanno poche notizie sulla sua produzione, che peraltro dovette essere assai modesta.
Con la fine del periodo napoleonico iniziò la massima attività del B., quella che doveva conferirgli un prestigio assai alto, portandolo alla carica di architetto municipale e a quella di professore di architettura all'università e all'Accademia. Nel 1814 preparò gli addobbi per le feste di accoglienza al re di Sardegna; nel 1818i decurioni della città chiesero ed ottennero da Vittorio Emanuele I di approvare il loro programma di lavori e di affidarlo al maestro. Così fu eseguito il progetto, già preparato da S. Cantone nel 1817,che prevedeva lo sbocco di via Balbi verso porta Lanterna, l'ampliamento della salita di S. Caterina, il suo raccordo con piazza Fontane Marose, ed altri minori interventi nel tessuto urbano, al margine e dentro l'antica città. Ma il maggiore impegno del B. fu il rinnovamento del centro civico, di Genova. Demolita la chiesa di S. Domenico, già chiusa al culto nel 1797, e ormai in rovina, fu costruita sulla sua area e su quella di edifici adiacenti una piazza per ospitare il mercato della verdura e quartieri militari. Il B., che aveva trovato già deliberata la demolizione della chiesa gotica, preparò il progetto dei quartieri; ma si rinunziò ad eseguirli e fu mutata la destinazione degli edifici, in parte già iniziati dal B., dopo varie soluzioni progettate. Al posto della caserma si stabilì la Biblioteca civica e l'Accademia Ligustica, e su un lato contiguo della piazza fu decisa la costruzione del Teatro Carlo Felice, per il quale già nel 1824 era stato costituito in Genova un "Comitato dei pubblici spettacoli".
L'idea di costruire un teatro sulle rovine della chiesa di S. Domenico era stata già avanzata da Andrea Tagliafichi, ma fu il B. a progettare la soluzione così come essa doveva concretarsí. Pubblicati due progetti nel 1826,fu richiesto un progetto anche all'architctto milanese Luigi Canonica, che pare lo ritirasse appena veduti i disegni del Barabino. Nominati giudici il marchese Marcello Durazzo, segretario dell'Accademia Ligustica, e l'architetto Ferd. Bonsignore, di Torino, il progetto del B. fu approvato, con l'obbligo di adottare la pianta della platea proposta dal Canonica. Nonostante le discussioni e le varianti che seguirono, il teatro fu iniziato il 19 marzo 1826 e inaugurato due anni dopo (7apr. 1828; cfr. la pubblicazione dello stesso B.: Nuovo teatro di Genova, Genova 1828). Essodoveva rappresentare, e tale i critici concordemente lo giudicano, l'opera massima del B. architetto, purtroppo semidistrutta nella seconda guerra mondiale.
La piazza del teatro e dell'accademia, sulla quale affaccia il preesistente palazzo ducale (oggi Tribunale), ha assunto in seguito il nome di piazza De Ferrari, da colui che contribuì con donazioni al rinnovamento del porto. La "strada Giulia" chiudeva allora questo rettangolo, "che fu la prima piazza genovese concepita con preordinazione di effetti" (Labò 1921). Il B. non si limitò a plasmare tale spazio urbano, ma allacciò la piazza a quella delle Fontane Marose con la via Carlo Felice, dichiarata opus publicum il 10 febbraio 1825 e inaugurata il 30 marzo 1828, e proseguì la sua opera di sistemazione con il tracciato, sulla preesistente e già ricordata via Giulia, di una via rettilinea, oltre la Porta dell'Arco, demolendo quanto ingombrava la via della Pace, poi detta della Consolazione; ed oggi via XX Settembre rappresenta l'allargamento della strada eseguita dal B., che aveva il pregio di concludere l'arteria di scorrimento intomo alla città, da Porta Pila alla Lanterna.
Negli anni fra il 1821 e il 1825 il B. diede alla città uno dei suoi maggiori giardini, sostituendo ad un vecchio bastione (cimitero degli appestati dal 1656-1657) la passeggiata dell'Acquasola, alla quale mancò il necessario compimento formale del tempietto neoclassico a cupola e dei propilei laterali, previsti dal B. ad uso di caffè e botteghe. Ma un vero e proprìo programma organico di sistemazioni urbane, che, come le precedenti esperienze testé ricordate, ristrutturasse ampie zone della città proponendo un decentramento, appare nel Piano di ampliamento della Città di Genova, presentata dal B. al Corpo decurionale il 25 apr. 1825. Il piano, le cui linee essenziali furono le vie Assarotti, Caffaro e Fieschi, interessava anche la regione di Carignano e gli orti pianeggianti prossimi al Bisagno, ai quali il B. conferì un ordine geometrico di urbanizzazime, secondo l'estetica neoclassica (rettifili, piazze regolari, isolati geometrici, sfondi architettonici alle strade, ecc.). Va sottolineato, del piano, il felice rapporto tra aree costruite o da costruirsi e aree lasciate a giardino; l'anticipazione di concetti largamente seguiti più tardi, e persino la determinazione di sette tipi edilizi da adoperarsi nella città nuova.
Accanto a questa prevalente attività di urbanista, va segnalata la produzione architettonica del B., successiva alla Restaurazione. La facciata della chiesa di S. Siro (1820); i lavori per l'altare della cappella Imperiale-Lercari nel duomo di Genova, iniziati nello stesso anno; l'altare per la opposta cappella Senarega; l'oratorio della Madonna del Rosario, nella salita S. Francesco di Paola (inaugur. 20 ag. 1826); la decorazione del presbiterio di S. Stefano; gli altari dell'oratorio di S. Antonio eremita (eseguiti da I. Peschiera); una cantoria su colonne per la chiesa di S. Siro, a Nervi. Nel 1830, dopo il successo del teatro, gli fu commesso il compimento della chiesa dell'Annunziata, lasciata interrotta da Giacomo della Porta e Domenico Scorticone, ma egli vi progettò soltanto un pronao con timpano che non riesce a legarsi in maniera persuasiva con le strutture preesìstenti (l'opera fu iniziata soltanto nel 1843, otto annì dopo la morte del maestro).
Tra le opere solitamente attribuite a lui, sono anche il manicomio, oggi demolito, ma che appariva assai originale per la pianta radiale (in collaborazione con Domenico Cervetto, ingegnere dell'ospedale da cui dipendeva il manicomio), e il cimitero di Staglieno (1844-51), che venne iniziato e condotto a termine da G. B. Resasco soltanto dopo la morte del B. avvenuta, per colera, in Genova il 3 febbraio 1835.
Un esame storico-critico delle opere del B. non è stato ancora affrontato, dopo l'utile saggio del Labò del 1921: occorrerebbe pertanto rileggerne attentamente tutta la vasta produzione, per rìcostruire, in un più ampio quadro storico, e nella sua notevole complessità, la figura di uno tra i massimi architetti che la Liguria abbia avuto. Rimandando tale valutazione, possiamo tuttavia osservare che egli non può consìderarsi un vero innovatore del gusto, poiché aderì alla corrente neoclassica già affermatasi a Genova ad opera di Simone Cantone, Giuseppe Gaggini e Andrea Tagliafichi, e mediante i contatti con gli architetti piemontesi, lombardi e francesi. Se quindi egli mostra nella sua produzione architettonica l'accettazione incondizionata di "un classicismo tardo, irrigidito nella formula: più Restaurazione che Impero" (Labò), si riscatta nell'instancabile studio dei più urgenti problemi urbani; in altri termini il B., cogliendo l'occasione fornitagli dalle rinnovate condizioni politiche (che suggerirono ai Francesi, prima, di approntare numerosi studi e progetti, e ai Savoia, poi, di approvare le nuove opere progettate dal Comune di Genova), affronta il primo spregiudicato rinnovamento urbano, in cui si pongono, nel primo trentennio dell'Ottocento, le premesse per la struttura della città moderna. La forma chiusa della città, dalla rete stradale convergente verso il porto - ed in parte coincidente con gli antichi letti dei torrenti - fu negata dal B, che intuì la necessità di impostare nuove direttrici urbane per favorire il decentramento ed evitare il perpetuarsi di un incontrollato accrescimento centripeto. In tal senso l'opera dell'architetto neoclassico presenta ancora oggi il valore di un prezioso suggerimento urbanistico.
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