ROBILANT, Carlo Felice Nicolis conte di
ROBILANT, Carlo Felice Nicolis conte di. – Nacque a Torino l’8 agosto 1826, secondogenito del conte Maurizio e di Maria von Waldburg-Truchsess.
La sua vita fu una felice sintesi di varie componenti a prima vista contraddittorie. Fu uno dei pochi grandi diplomatici del Regno d’Italia, ma senza avere ricevuto una formazione per tale carriera, in cui portò una spigolosa energia ben lontana dalle duttilità e sottigliezze consuete. Fu sempre un militare tutto d’un pezzo, ma fu anche ministro, senza peraltro appartenere al partito dei militari in politica. Realizzò negli anni della Sinistra storica un inserimento non subalterno dell’Italia nella politica estera delle potenze europee, che era stato il sogno della Destra, a cui apparteneva. Fu, per famiglia e formazione, vicinissimo a Casa Savoia, ma non lo si può definire esponente del partito di corte. Crebbe in un ambiente familiare che era un incrocio di tradizioni militari e scientifiche e di rigorosa appartenenza cattolica, le quali dialogavano con altrettanto profonde radici protestanti. Proveniva, per il ramo paterno, dall’alta nobiltà piemontese, ma ebbe la sorte, fortunata per il ruolo di ambasciatore, di essere imparentato, per parte di madre e di moglie, con la grande aristocrazia tedesca, austriaca, russa.
La linea primogenita dei Nicolis era al servizio dei duchi di Savoia sin dalla fine del XVI secolo, come alti funzionari esperti nel diritto e nelle finanze, con compiti di governo, ben presto nobilitati e infeudati. Già allo scorcio del XVII secolo i Robilant erano stati tra i pochi nobili a investire in manifatture laniere. Intorno alla metà del XVIII secolo entrarono anche nella carriera delle armi, ma con la peculiare specializzazione di ingegneri-architetti applicati alla creazione delle innovative scuole di artiglieria, con i due fratelli Filippo Giovanni Battista e Spirito Antonio Benedetto. Il secondo fu anche un chimico e mineralogista di fama europea. Rimasti in disparte durante il quindicennio napoleonico, al momento della Restaurazione i Robilant ascesero subito ai vertici dello Stato, con il figlio e nipote dei due militari tecnocrati settecenteschi, Giovanni Battista Francesco Antonio, ministro della Guerra dal 1817 al 1820 e primo comandante dal 1815 dell’Accademia militare. Pure i suoi due figli maschi seguirono la carriera militare e rafforzarono i rapporti diretti e personali con i Savoia. Inoltre, il primogenito Maurizio, padre di Carlo Felice, fece una scelta matrimoniale in controtendenza, sposando nel 1822 Maria, figlia primogenita del protestante conte Friedrich Ludwig III von Waldburg-Truchsess e della cattolica principessa Maria Antonia di Hohenzollern-Hechingen. I Robilant si legavano così con alleanze matrimoniali a grandi casate prussiane. I genitori della sposa erano inoltre figure di primo piano nella società torinese, con stretti rapporti di amicizia con Carlo Alberto e l’intera famiglia Carignano. Soprattutto il conte Waldburg fu il ministro plenipotenziario presso la legazione di Prussia dal 1815 al 1827 e poi di nuovo dal 1834 alla morte nel 1844; e fu il difensore e il protettore dei valdesi piemontesi.
Il piccolo Carlo Felice aveva qualche mese di vita quando, tra il 1826 e il 1827, iniziò tra la madre Maria e Carlo Alberto uno stretto e lungo rapporto di forte consonanza, fatta di affetto, di intima quotidianità regale, di devota amicizia, durato fino alla morte del sovrano, nel luglio 1849.
In tali ambienti fu allevato Carlo Felice di Robilant, che a tredici anni fu ammesso all’Accademia militare di Torino, da cui uscì nel 1846 tenente di artiglieria. Grazie alle entrature di cui disponeva, avrebbe potuto avere dinanzi una rapida e comoda carriera a corte. Ma preferì i campi di battaglia, partecipando in prima linea a tutte le campagne risorgimentali del 1848-49, 1859, 1860-61, 1866 e concluse questa fase di vita militare con il grado di maggiore generale. Nell’infausta battaglia di Novara il 23 marzo 1849 aveva avuto la mano sinistra fracassata da un proiettile dell’artiglieria austriaca, con conseguente asportazione, che non nascose e nemmeno ostentò mai.
Nel 1867, altri due momenti salienti della sua biografia. In luglio fu nominato comandante della neocostituita Scuola superiore di guerra, uno dei passaggi del fragile Regno d’Italia, dopo l’esito disastroso del conflitto del 1866 e guardando alla prestigiosa Kriegsakademie di Berlino, per fornire a tutte le armi una ufficialità selezionata, dotata di buona istruzione scientifica e affinate capacità di comando. Ritornava in Carlo Felice la sensibilità dei Robilant per la formazione scientifica dei quadri militari. Il secondo momento fu ad agosto il matrimonio con Maria Edmonda, figlia del principe Edmondo Clary e Aldringen e cugina della moglie del famoso generale e diplomatico russo, poi ministro, conte Nikolaj Pavlovich Ignatiev. Con lei avrebbe avuto sei figli: Maria, Edmondo, Elisabetta, Luigi Sigifredo, Carlo Manfredo, Teresa Elisabetta. Robilant proseguiva così nella via aperta dal padre. Alle reti di parentela germaniche si aggiungevano quelle con l’alta nobiltà austriaca e russa. Seguì una breve parentesi di tre mesi, nel 1870, come reggente la prefettura di Ravenna, dove operò con durezza contro i repubblicani, ponendo le basi per quella fama, da lui condivisa e che lo avrebbe accompagnato sempre, di fiero conservatore e dopo il 1876 diffidente del sistema parlamentare e delle aperture democratiche e favorevole a un maggiore interventismo del sovrano.
Finalmente nel giugno 1871, alle soglie dei quarantacinque anni, arrivò la svolta della sua vita, con la nomina a inviato straordinario e ministro plenipotenziario, poi ambasciatore dal 1876, del Regno d’Italia a Vienna, dove rimase sino al 1885. Giungeva alla corte imperiale quando la vittoria tedesca nella guerra franco-prussiana aveva prodotto il crollo del Secondo Impero in Francia e la nascita del Secondo Reich con l’unificazione germanica intorno alla Prussia. Nonostante lo scarso prestigio dell’Italia, il nascente irredentismo e la lunga durata dell’ostilità tra i due Paesi, Robilant ebbe una buona accoglienza alla corte imperiale, sensibile alla sua condizione alto-nobiliare e alle reti di relazioni familiari. Le sue qualità furono apprezzate pure dal cancelliere tedesco Otto von Bismarck-Schönhausen, del quale peraltro Robilant diffidava. Fino al 1876 la sua attività diplomatica non incontrò particolari ostacoli: anche i suoi interlocutori cercavano rapporti amichevoli e duraturi, specie in presenza delle ottime relazioni italo-germaniche, ed erano in ciò secondati dal ministro degli Esteri italiano Emilio Visconti Venosta.
Già alla fine del 1876 il clima tra Vienna e Roma stava mutando. Poi giunse lo smacco del Congresso di Berlino nel 1878, con l’Italia uscita a ‘mani nette e vuote’ dalla risistemazione dei Balcani. L’isolamento italiano era palese. L’anno seguente, mentre i rapporti con l’Austria-Ungheria peggioravano, fu la volta della formale alleanza tra i due Imperi centrali, la Duplice. E infine, nel maggio 1881 l’istituzione del protettorato francese sulla Tunisia azzerò le aspettative italiane su quel Paese. A questo punto un’alleanza con i due Imperi divenne vitale per l’Italia per uscire dall’isolamento, nonostante le diffidenze di entrambi i potenziali alleati e l’assenza di una reale convergenza di interessi.
Robilant ebbe un ruolo importante a Vienna nell’ammorbidire le preclusioni austriache, pur non essendo convinto dell’utilità per l’Italia del trattato nei termini in cui fu stipulato, dopo aver consigliato prudenza e insistito perché fossero impedite le manifestazioni degli irredentisti. Era però anche convinto dell’indispensabilità per l’equilibrio europeo della conservazione dell’Impero asburgico, come baluardo contro l’espansione del pangermanesimo e del panslavismo, purché fossero arginate le ambizioni austriache verso Oriente. La Triplice alleanza, firmata il 20 maggio 1882, esplicitamente non era diretta contro la Gran Bretagna, ed era di fatto in funzione antifrancese e antirussa. L’Italia non ottenne alcun appoggio nella politica mediterranea e le era vietata ogni interferenza nei Balcani. Per essere più credibile agli occhi degli alleati le mancava inoltre, secondo Robilant, una maggiore armonizzazione in politica interna alla linea assai più conservatrice degli Imperi centrali.
L’alleanza non migliorò i rapporti italo-austriaci e si complicò ulteriormente per l’avvio, tra il 1882 e il 1885, di una politica coloniale italiana nel Mar Rosso, su sollecitazioni inglesi, sgradita agli Imperi centrali e disapprovata pure da Robilant, che intanto aveva ricevuto nel 1883 la nomina a senatore. Ma lo attendeva un incarico ben più impegnativo. Dopo precedenti rifiuti, fu costretto a obbedire, da soldato, a un espresso ordine di Umberto I e il 6 ottobre 1885 fu nominato ministro degli Esteri nel VII governo di Agostino Depretis, con la convinzione profonda della propria inettitudine alla vita parlamentare. Il suo principale obiettivo alla Consulta fu quello di rinegoziare in senso più favorevole all’Italia la Triplice alleanza, alla scadenza nel 1887. Vi riuscì, favorito dalle nuove tensioni nei Balcani che inasprivano le relazioni austro-russe e dall’ulteriore deteriorarsi dei rapporti franco-tedeschi.
Il rinnovo del trattato, firmato il 20 febbraio 1887, prevedeva con l’Austria-Ungheria il principio di un reciproco compenso qualora fosse mutato lo status quo nei Balcani; e con la Germania un intervento a fianco dell’Italia se questa fosse stata costretta a un’azione nel Mediterraneo dinanzi a un’espansione ulteriore della Francia. Inoltre un parallelo scambio di note con la Gran Bretagna prevedeva l’obbligo di consultazione per impedire che una terza potenza potesse installarsi sulle rive del Mar Nero, dell’Egeo, dell’Adriatico, dell’Africa settentrionale. Un ulteriore scambio di note impegnava la Spagna a non concludere con la Francia accordi ostili ai tre membri della Triplice.
Quello che fu definito il sistema Robilant garantiva finalmente all’Italia la sicurezza terrestre e marittima e la poneva su un piano di parità con gli alleati. Ma quando i nuovi accordi furono firmati, Robilant già era dimissionario da ministro degli Esteri. Nonostante fosse sempre stato contrario alle avventure coloniali, fu il primo a essere travolto dalla sconfitta italiana a Dogali il 26 gennaio 1887. Tanto più che solo due giorni prima alla Camera aveva affermato che non conveniva «attaccare tanta importanza a quattro predoni che possiamo avere tra i piedi in Africa» (L. Chiala, Pagine di storia contemporanea dal 1858 al 1892, III, Torino 1898, p. 479). All’arrivo della notizia, il 1° febbraio, con le piazze invase dalle proteste, si scusò pubblicamente per le parole ‘infelici’ e si dimise seduta stante, seguito l’8 febbraio dall’intero gabinetto.
Robilant, il generale che aveva realizzato un capolavoro diplomatico da ministro prestato controvoglia alla politica che non amava, uscì a testa alta. La sua creatura gli sopravvisse per poco, messa in crisi nei tre anni successivi dall’attivismo aggressivo di Francesco Crispi. Nonostante la profonda amarezza che lo accompagnava e la reciproca ostilità con Crispi, accettò ancora la nomina nel 1888 ad ambasciatore a Londra. Vi giunse già molto malato in agosto e vi morì il 17 ottobre, a sessantadue anni.
Fonti e Bibl.: La documentazione più importante per lo studio della sua attività diplomatica è nelle Carte Robilant presso l’Archivio storico del ministero degli Affari Esteri a Roma, oltre che nelle serie ordinarie, nei fondi Gabinetto e Segretariato generale, e nei Documenti Diplomatici Italiani pubblicati dallo stesso ministero dal 1952. Sulla famiglia e sulla carriera militare, in Archivio di Stato di Torino, Archivi di famiglie e di persone, Nicolis di Robilant; e il fondo Legato Umberto II. Inoltre, negli Archivi storici del Museo nazionale del Risorgimento italiano di Torino, le Carte Robilant. Sulla famiglia e su Carlo Felice di Robilant non esistono studi scientifici e sono di scarsa utilità le informazioni fornite da E. Nicolis di Robilant, Notizie storiche sulla famiglia Nicolis ed in particolare sul conte C. F. N. di R., raccolte e pubblicate dal figlio conte Edmondo, Venezia 1929. Altrettanto si può dire dei necrologi, commemorazioni, ricordi coevi e di due modeste voci enciclopediche di M. Rosi (Dizionario del Risorgimento nazionale, III, Milano 1933, p. 693) e di M. Menghini (Enciclopedia Italiana, XXIX, Roma 1936, ad vocem). Sulla famiglia si vedano: A. Manno, Il patriziato subalpino, versione on-line, http://www.vivant.it/pagine/attivita_4_8.htm (8 novembre 2016); G. Mola di Nomaglio, Feudi e nobiltà negli Stati dei Savoia, Lanzo Torinese 2006, ad indicem. Sulla tradizione scientifica si veda: V. Ferrone, La nuova Atlantide e i Lumi. Scienza e politica nel Piemonte di Vittorio Amedeo III, Torino 1988, ad indicem. Sulla formazione militare si vedano: C. Rinaudo, La Scuola di guerra dal 1867 al 1911, Torino 1911, ad ind.; F.L. Rogier, La R. Accademia militare di Torino. Note storiche 1816-1870, Torino 1916, ad ind.; V. Ferrone, I meccanismi di formazione delle élites sabaude. Reclutamento e selezione nelle scuole militari del Piemonte nel Settecento, in L’Europa tra Illuminismo e Restaurazione. Scritti in onore di Furio Diaz, a cura di P. Alatri, Roma 1993, pp. 157-200; L’epistolario di un re. Carlo Alberto a Maria di Robilant 1827-1844, a cura di I. Massabò Ricci, Torino 1999, ad indicem. Alla sua attività si fa riferimento nelle storie generali del periodo e della politica estera. A proposito di quest’ultima si rinvia almeno al bel profilo dedicato al conte di Robilant da F. Chabod, Storia della politica estera italiana dal 1870 al 1896, II, Bari 1971, pp. 687-702. Inoltre: E. Decleva, L’Italia e la politica internazionale dal 1870 al 1914. L’ultima delle grandi potenze, Milano 1974, ad ind.; F. Minniti, Politica militare e politica estera nella Triplice Alleanza. Dietro le trattative del 1882, in Esercito e politica da Porta Pia alla Triplice Alleanza, Roma 1984, pp. 117-142; E. Serra, L’Italia e le grandi alleanze nel tempo dell’imperialismo. Saggio di tecnica diplomatica 1870-1915, Milano 1990, ad ind.; G. Giordano, Cilindri e feluche. La politica estera dell’Italia dopo l’Unità, Roma 2008, ad indicem. Sempre utile, benché risalente al 1921-1925, ma basato sulle carte Robilant e di Luigi Corti, G. Salvemini, La politica estera italiana dal 1871 al 1915, a cura di A. Torre. Milano 1970, ad indicem. Di qualche utilità, specie per i discendenti, la carriera militare e le onorificenze, la scheda consultabile in Archivio storico del Senato, Banca dati multimediale I senatori d’Italia, II, Senatori dell’Italia liberale, sub voce, http://notes9.senato.it/ Web/ senregno.nsf/N_l2?OpenPage (8 novembre 2016).