FAVAGROSSA, Carlo
Nato a Cremona il 22 nov. 1888 da Luigi e da Carolina Bastoni, entrò nel 1906 all'Accademia di Torino uscendone nel 1909 sottotenente del genio. Col grado di tenente servi in Libia nel 1911-12 e poi da capitano sul fronte italiano nel 1915-18, distinguendosi nella direzione di lavori difensivi e ricevendo una medaglia d'argento e la promozione a maggiore per merito di guerra (1917). Nel 1919 era a Vienna presidente della Commissione tecnica di controllo per l'osservanza delle clausole armistiziali; poi prestò servizio in Cirenaica, e più tardi fu in Francia e in Cecoslovacchia per compiti militari e diplomatici. Superati nel 1925-28 i corsi della Scuola di guerra che, per l'inizio del conflitto mondiale, aveva lasciato dopo esservi stato ammesso nel 1914, fu promosso colonnello nel 1930. Dopo aver comandato il 1º reggimento genio, e quindi essere stato comandante in seconda dell'Accademia di artiglieria e genio, fu promosso generale di brigata, ricoprendo dal marzo 1936 prima il comando del genio del corpo d'armata di Roma, e poi dal 1º giugno 1936 quello dell'unica brigata motomeccanizzata dell'esercito (Siena). Inviato in Spagna nel marzo 1937 all'indomani della battaglia di Guadalajara, partecipò alla riorganizzazione del corpo militare italiano, del quale comandò l'intendenza dando vita a una complessa organizzazione. Rimpatriato nel dicembre 1938, dal marzo1939 comandò la divisione "Fossalta" poi "Pistoia" (Bologna).
Il 1º sett. 1939 subentrava al gen. A. Dallolio sia nella presidenza del Comitato per la mobilitazione civile (CMC) in seno alla Commissione suprema di difesa, sia nel Commissariato generale per le fabbricazioni di guerra (Cogefag). Il 23 maggio 1940 il Commissariato era trasformato in sottosegretariato di Stato (Fabbriguerra), sempre retto dal F., ormai generale di corpo d'armata. Dal 7 sett. 1942 era anche a capo del Commissariato generale per combustibili liquidi, carburanti e lubrificanti (Cogecarburanti). Il 6 febbr. 1943 era nominato ministro, per la trasformazione del Fabbriguerra in ministero della Produzione bellica (Miproguerra), di cui rimase titolare anche nel primo governo Badoglio, fino alla soppressione (gennaio 1944).
Collocato a riposo nel 1954, morì a Roma il 22 marzo 1970.
Oltre alla medaglia d'argento, fu insignito di varie decorazioni, fra cui il cavalierato dell'Ordine dei Ss. Maurizio e Lazzaro. È autore del volume Perché perdemmo la guerra - Mussolini e la produzione bellica, Milano 1946.
L'opera è dedicata principalmente al racconto dei suoi sforzi per scongiurare la guerra, scopo per cui spesso comunicava a B. Mussolini dati ancor più sfavorevoli del reale. I documenti pubblicati sono interessanti, ma solo di ben pochi fra essi si è trovata finora traccia negli archivi; per il resto il libro non esce dagli schemi dell'apologetica militare del primo dopoguerra.
L'attività del F. va conunisurata ai limiti dei poteri ereditati dal Dallolio e al quadro generale in cui doveva operare. Diversamente dal ministero Armi e munizioni del 1915-18, il Cogefag (rdl 14 luglio 1935 n. 1374, e decreto del duce 23 sett. 1935) non aveva alcuna autorità sulle commesse belliche, assegnate invece dai singoli ministeri militari direttamente alle industrie. Il Cogefag, poi Fabbriguerra, oltre ad evanescenti potestà coordinatrici, aveva il compito di sovrintendere alla ripartizione delle materie prime fra le varie amministrazioni militari committenti o addirittura fra le imprese produttrici. Inoltre la competenza del Fabbriguerra nell'importazione di materie prime non era esclusiva ma concorrente con quella di altri organismi. Sottratti all'ente rimanevano poi gomma, legname, fibre tessili e canapa, mentre il vitale settore dei combustibili e carburanti sarà riservato fin verso la fine del 1942 alle Ferrovie e ai ministeri delle Comunicazioni e delle Corporazioni. Probabile causa di tale situazione era la convergenza tra la vocazione separatista delle singole forze annate e la nota diffidenza di Mussolini verso rilevanti concentrazioni di potere. Forse Mussolini giudicava che la sua preminenza avrebbe assicurato il coordinamento, e sicuramente questa era stata la speranza di Dallolio dopo il ripetuto insuccesso dei suoi tentativi di rafforzare i poteri del CMC, che nelle varie versioni aveva presieduto dal 1923, e più tardi quelli del Cogefag. Unico risultato, la confusione: pluralità di organi tecnici per progetti, sperimentazioni e collaudi; sprechi per difetti di standardizzazione; moltiplicarsi di linee produttive anche per oggetti similari.
Tali carenze erano aggravate dai limiti invalicabili del quadro esterno. Prima dell'intervento in guerra, l'importazione di materie strategiche era limitata dalle esigue disponibilità valutarie ed auree nonché dal blocco navale che l'Inghilterra sarebbe stata disposta ad allentare solo se l'Italia le avesse fornito armi, cosa che Mussolini rifiutò (febbraio 1940). Una volta in guerra, si dipese solo dal buon volere tedesco, variabile e comunque gravato dalla strettoia dei trasporti, mentre poco giovava l'impari gara con l'alleato per attingere alle risorse dell'Europa occupata (es. petrolio rumeno). Inoltre la cronica lentezza dei tre ministeri militari nella scelta dei prototipi moltiplicava i tempi del passaggio alla produzione in serie da parte di industrie, sclerotizzate da decenni di protezionismo, da impianti invecchiati, da insufficiente ricerca e da posizioni oligopolistiche con quote di mercato prefissate per legge o per accordi di cartello.
Nella quadriennale attività del F. risalta il periodo della "non belligeranza", allorché un certo coordinamento era in via d'eccezione favorito dalla concordia dei vertici militari nel non volere la guerra. Intanto però gli impegni si aggravavano per l'improvvisa decisione mussoliniana di fortificare il confine con l'alleata Germania, profondendovi 1 miliardo di lire e forti quantità di calcestruzzo e di ferro. A gennaio 1940, vagliati programmi e capacità industriali, il F. ritenne possibile una certa preparazione per metà 1941, salvo la grave insufficienza delle artiglierie terrestri e navali che, nella migliore delle ipotesi, sarebbero state disponibili verso il 1943-45. Ma, com'è noto, incurante dell'impreparazione, Mussolini gettò il paese nella guerra quando a giugno 1940 la ritenne di breve durata e già vinta dai Tedeschi. Nell'inverno 1940-41, il F. partecipava alla decisione di ridurre i programmi d'artiglieria concentrando le risorse solo sui pezzi anticarro e antiaerei e sui mezzi corazzati. In quello stesso inverno si recava in Germania per ottenere aiuti che i Tedeschi limitarono alla cessione di pochi materiali francesi di preda bellica.
Al Fabbriguerra furono mosse critiche durante e dopo il conflitto. Frequente la lamentela contro gli eccessi burocratici, l'impreparazione degli "osservatori" distaccati presso le industrie e l'elefantiasi dell'ente. Le 744 persone del 1939 erano salite nel 1941 a 1420, distribuite nella segreteria, in 3 direzioni generali, 8 divisioni, 22 sezioni e 55 uffici e servizi vari. Si assestarono a 1829 nel 1943 con la trasformazione in ministero. La politica delle scorte, già avviata dal Dallolio ed alla quale si dovette gran parte della sopravvivenza militare italiana, era interpretata in modo così restrittivo che nel 1942 il capo di stato maggiore generale U. Cavallero dovette intervenire per sospendere il divieto alle industrie di usare le cosiddette "scorte intangibili", che ormai si traduceva in risparmio fine a se stesso. È anche vero però che, astraendo da occasionali disguidi e strozzature, le industrie disposero complessivamente di più acciaio e correttivi di quanto non fossero in grado di lavorame: infatti l'8 sett. 1943 i Tedeschi si impadronirono sui piazzali degli stabilimenti di acciaio e correttivi in misura circa tripla delle dotazioni di partenza del 1940.
Dalle carte del gen. Dallolio (vissuto fino al 1952) affiorano critiche al F. per non essersi avvalso di taluni appigli legislativi in modo da estendere i poteri dell'ente. La documentazione conosciuta non permette però di verificare tale rilievo. Piuttosto, dal carteggio pubblicato dal F. nel suo volume risulterebbe la decisione di Mussolini di dare al Fabbriguerra anche i sospirati poteri sulle commesse, ed il rifiuto di riceverli da parte del F. che, con promemoria 22 marzo 1942, avrebbe additato i pretesi inconvenienti di un mutamento nel corso della guerra. I poteri in questione gli furono comunque assegnati con la trasformazione del sottosegretariato in ministero e la sua nomina a ministro. Si era però al 6 febbr. 1943, in evidente clima di sconfitta. Al 1943 risale anche un opuscolo segreto del Miproguerra mirato al raffronto tra la produzione della guerra in corso e quella 1915-18. Accanto a dati accettabili (83.000 automezzi dal 1º giugno '40 al 10 giugno '43 compresi però quelli "unificati" provenienti da requisizione; 11.700 aeroplani dal 1º giugno '39 al 1º giugno '43; 2450 mezzi corazzati nel '40-'42) ve ne sono forse di esagerati (11.000 cannoni dal 1º sett. '39 al 1º giugno 1 43). Ma soprattutto colpisce la ricezione acritica dei pretesti escogitati dall'industria per giustificare il calo produttivo come i maggiori tempi di lavorazione richiesti da talune armi nuove. Così in artiglieria, l'argomento - giustificato per gli affusti - è invece discutibile per le bocche da fuoco dove la riduzione sembra piuttosto dovuta a cause attinenti la sola condotta industriale.
Se è tuttora impossibile valutare appieno l'opera del F., può invece senz'altro affermarsi che essa comunque non si iscrive tra le cause rilevanti non diciamo dell'esito del conflitto ma neppure della modestissima prova offerta dall'Italia perfino in un ruolo di alleato minore della Germania. Determinanti furono l'incertezza politica, la mancanza di strategia, i vuoti dottrinali e le carenze progettuali ed esecutive. Non certo, come pure si legge, il difetto di materie prime e men che meno i probabilissimi intoppi e squilibri nella distribuzione. Se maggior copia di combustibili e di gomma sarebbe stata desiderabile, essa non avrebbe influito sul problema militare italiano, che nell'estate 1940 e poi ancora fino al 1942 inoltrato riguardava la qualità dei mezzi, non la quantità. Chiariamo con esempi. È vero che il nichel usato per le corazze del carro medio, fra il 1940 e il 1942, calò da 46 kg a 8. Ma già dall'8 maggio 1941 lo stato maggiore dell'esercito (relazione del gen. ingegnere L. Sarracino) aveva accertato che i carri italiani distrutti a Beda Fomm (Libia) nel febbraio precedente (e perciò costruiti nel 1940 con la maggior quantità di nichel), avevano ceduto ai proiettili inglesi per elementari difetti costruttivi e per incuria nel montaggio. Né consta che a ciò si sia rimediato nel corso del conflitto. Il basso rendimento di tali carri era anche dovuto a insufficienza dei motori, non imputabile a difetto e tanto meno a cattiva ripartizione di materie prime bensì a carenze progettuali. Ancor più grave l'indisponibilità delle industrie ad adattare ai carri motori di aerei ormai superati e che tuttavia l'aeronautica si era impegnata ad acquistare a centinaia, come i Fiat CR 42 e G 50 (ordini del 1941 e dell'autunno 1942) e così prodotti sino al 1942-43 (motori analoghi erano utilizzati con successo sui carri britannici e americani che ci fronteggiavano in Africa). Non dipese certo dal Fabbriguerra se decine di migliaia di tonnellate d'acciaio continuavano a usarsi per la costruzione di nuove corazzate quando quelle esistenti erano scarsamente impiegabili per mancanza di navi portaerei in grado di proteggerle. Queste e altre documentate circostanze contribuiscono a collocare in giusta luce l'attività del Fabbriguerra e del suo titolare, senza peraltro sminuire l'interesse ad un'auspicabile più completa ricostruzione storica.
Fonti e Bibl.: Documenti sono in vari archivi, tra cui principali quello centrale dello Stato, quello Thaon di Revel (Torino, Fondazione Einaudi), archivi militari e industriali, i National Archives di Washington e l'Imperial War Museum di Londra. Il F. e il Fabbriguerra compaiono, oltre che nel ricordato volume autobiografico, in gran parte della pubblicistica e memorialistica italiana sulla seconda guerra mondiale. Fra gli studi ricordiamo: quelli ad hoc di F. Minniti, fra cui: Due anni di attività del Fabbriguerra per la produzione bellica, in Storia contemporanea, VI (1975), 4, pp. 849-879; Aspetti organizzativi del controllo sulla produzione bellica in Italia (1923-1943) e Aspetti territoriali e politici del controllo sulla produzione bellica in Italia (1936-1942), entrambi in Clio, XIII (1977), 4, pp. 305-340 e XV (1979), 1, pp. 79-126; Le materie prime nella preparazione bellica in Italia (1935-1943), I e II, in Storia contemporanea, XVII (1986), 1, pp. 5-40; 2, pp. 245-276. Più ampiamente: L. Ceva, La condotta italiana della guerra. Cavallero e il comando supremo 1941-1942, Milano 1975, ad Indicem; Id., Un intervento di Badoglio e il mancato rinnovamento delle artiglierie italiane, in Il Risorgimento (Milano), XXVIII (1976), 2, pp. 117-172; L. Ceva-A. Curami, Industria bellica e Stato nell'imperialismo fascista degli anni '30, in Nuova Antologia, 1988, n. 2167, pp. 316-338; A. Curami-F. Miglia, L'Ansaldo e la produzione bellica, in L'Italia nella seconda guerra mondiale e nella Resistenza, Milano 1988, pp. 257-281; L. Ceva-A. Curami, La meccanizzazione dell'esercito italiano dalle origini al 1943, Roma 1989, passim.