ERCOLANI (Hercolani), Carlo
Nacque a Macerata il 7 marzo 1756, terzogenito (il fratello Giuseppe fu violinista e compositore) di Francesco e di Teresa Mancini, entrambi patrizi maceratesi.
In verità, le fonti, ad eccezione di due, lo dicono nato il 7marzo 1759, ma siccome risulta morto nel 1831, a detta di tutti all'età di settantacinque anni, la data corretta è 1756.
Orfano di padre all'età di quattro anni, venne affidato agli zii materni che abitavano in un piccolo paese della Marca fermana, dove l'E. ebbe la prima educazione in assoluta solitudine per l'orgoglio nobiliare dei parenti che, in mancanza di loro pari, non gli lasciavano frequentare i coetanei di ceto inferiore. All'età di nove anni si riunì a Macerata con i fratelli, affidato ad un precettore gesuita "ignorante e manesco" che nulla gli insegnò, come rivelerà un esame di controllo che a quattordici anni la madre gli fece subire da un professore dell'università. Sottratto allora ai gesuiti ed affidato, sotto il controllo del dotto C. Lazzarini, a don P. Gherardi, sacerdote di buona cultura, si dedicò con passione allo studio dei classici e della musica (diverrà un buon esecutore di violoncello). In seguito passò sotto la direzione del can. C. Dionisi, filosofo e letterato, ma pare che in principio apprezzasse poco la filosofia e continuasse a prediligere i poeti classici, per leggere i quali apprese i rudimenti del greco, che perfezionerà in seguito aggiungendovi il francese e un po' d'ebraico.
A questo punto si manifestò la vocazione per la vita ecclesiastica, onde, pur attraverso tentennamenti che si coagularono nella composizione di un canzoniere amoroso d'ispirazione petrarchesca, il 24 maggio 1777 fu ordinato suddiacono. Subito Pio VI gli conferì un canonicato della cattedrale; il 25 maggio 1782 divenne diacono, e infine il 14 giugno 1783 sacerdote (Macerata, Arch. vesc., Liber ordinandorum 1750-1800). Continuò gli studi, laureandosi a 21 anni, nell'università della sua città, nei due diritti, filosofia e teologia. Da queste scelte l'E. sperava una tranquilla vita di studio e di ozi eruditi, e lo dimostra il fatto che, subito dopo la laurea, essendo già pastore arcade, egli istituì in casa sua un circolo che chiamò Accademia degli Affaticati e che ebbe in verità vita breve, anche perché già esisteva in Macerata un'accademia di grandi tradizioni ed assai attiva, quella dei Catenati, che esprimeva la vita culturale della città, della quale l'E. divenne presto membro importante. Il suo primo intervento di rilievo in quell'ambito fu nel 1781 l'orazione funebre per il principe dell'Accademia, P. P. Compagnoni-Floriani; ma subito diventò segretario, e poi principe il4 ag. 1787 (fino al 5 apr. 1793). È in quel tempo che iniziò a lavorare a quella che sarà la sua opera più nota, la traduzione in versi sciolti della Christias di M. G. Vida, cremonese, vescovo di Alba, narrazione della Passione di Gesù in quattro libri di pregevoli esametri latini pubblicata sotto gli auspici di Leone X.
In realtà a Macerata tale impresa era stata progettata da quattro colti gentiluomini catenati, che si erano impegnati per un libro a testa, ma che avevano poi rinunciato per le grandi difficoltà incontrate. L'E. riprese il lavoro ex novo, e in soli sei mesi lo portò a termine, trovandolo all'inizio congeniale più per i contenuti che per la forma, per poi venir conquistato dalla perfezione classica di quest'ultima. Tuttavia prima della pubblicazione non lesinò i controlli: dapprima sottopose la sua traduzione a due censori dei Catenati, il Dionisi, già suo maestro, e F. Amici, poi si recò a Roma col manoscritto per farlo rifinire e limare da un non meglio identificato "poeta di corte", come pure da molti altri competenti di Napoli e di Firenze, città che toccò nel corso di quel viaggio, e dove fece grandi acquisti di libri.
L'opera fu finalmente pubblicata in Macerata nel 1792, preceduta da una dotta dedicatoria a Pio VI (che raramente ne accettava, e al quale l'E. inviò quattro copie), col titolo La Cristiade del Vida, recata in ottava rima, e in XXIV canti divisa dal can. Carlo Ercolani, patrizio maceratese e accademico catenato. Le critiche furono generalmente favorevoli, lodando "lo stile e la vena poetica" ed apprezzando molto il discorso preliminare, nel quale il traduttore-poeta espone i suoi principi di estetica; delle scelte linguistiche si sottolineò il rifiuto del "neologismo oltramontano" a favore della "purità dell'idioma", e del metodo traduttivo la cura di rendere l'effetto senza curarsi troppo di una "puerile fedeltà".Nel 1793 l'E. intraprese un nuovo viaggio in Toscana, fermandosi lungamente a Firenze, dove si applicò con passione allo studio dell'inglese, lingua la cui conoscenza sarà fondamentale per la sua successiva produzione letteraria: infatti, appena rientrato in patria, cominciò ad occuparsi di una traduzione del Burke, che pubblicherà in Macerata nel 1804 col titolo Ricerca filosofica sull'origine delle nostre idee del sublime e del bello, con un discorso preliminare intorno al gusto di Edmondo Burke tradotta dall'inglese.
D'autore inglese darà poi alle stampe solo i Canti profetici del dottor Tommaso Parnell dall'inglese trasportati in verso italiano (Macerata 1812), ma i lavori inediti di traduzione da quella lingua, spesso in versi e perfettamente rifiniti, esistenti presso la Biblioteca comunale di Macerata (mss. 363-363 quin), testimoniano della serietà del suo impegno in questo campo, che ne fa un vero specialista: da O. Goldsmith a J. Milton, a J. Gay, a E. Fenton, a T. Gray, a J. Longhorne, a G. Byron, a J. Thompson (vol. I); da J. Armstrong a M. Prior (vol. II); da J. Dyer a P. Whitehead (vol. III), a W. Sommerville (vol. IV); da S. Garth a R. Blair, a S. Genius, ad A. Pope (vol. V), fino all'interessante Lezioni di rettorica e di belle lettere di Ugone Blair, trasportate dall'inglese all'italiana favella dal can. Carlo Ercolani, 1795 (mss. 364-364bis), che era sul punto di pubblicare quando apparve la traduzione del padre F. Soave che lo fece desistere.
Nel 1795 compì un viaggio in Lombardia e nel Veneto, dove si esibì in vari concerti per violoncello. Le rivoluzioni e l'invasione francese vennero a sconvolgere il tranquillo e ben organizzato mondo provinciale di questo canonico letterato. Ne fu talmente colpito che "glie ne venne malattia di nervi" e dovette ritirarsi nella villa di famiglia nella campagna maceratese, dove, durante la convalescenza, curò una traduzione dal francese, L'uomo de' campi o sia Le Georgiche francesi di Giacomo Delille trasportate in verso italiano, che pubblicherà a Venezia nel 1805. Avendo l'Accademia dei Catenati riaperto i battenti nel breve periodo fra il trattato di Tolentino e la creazione del Regno Italico, l'E. rientrò a Macerata per prendere parte alle riunioni, ma in quel tempo, mortigli i fratelli e la cognata, si trovò coinvolto nelle beghe patrimoniali e in una lite giudiziaria che lo portò a perdere molti beni, fra cui l'amata villa di famiglia. In queste angustie lo soccorse una vecchia amica, la nobildonna Giulia de' Medici Spada, virtuosa di arpa e accademica catenata, insieme con la quale aveva dato molti concerti. Si creò con essa un sodalizio di vita, che culminò con l'ospitalità offertagli dalla signora nella sua villa di Monte Polesco. Ma ella, cui l'E. aveva dedicato molte rime tenere e innocenti, venne a morte nel 1820, cosicché si vide costretto a lasciare anche quella residenza, dove pensava restare fino alla morte, essendo stato dispensato dal ministero corale dopo quaranta anni di servizio.
Rientrato suo malgrado in città, gli fu d'aiuto un'altra amica, la famosa Caterina Franceschi Ferrucci, cui sono dedicati vari componimenti laudativi. Sebbene nel periodo napoleonico si fosse un poco addolcito il suo legittimismo, avendo accettato di far parte dei Collegi elettorali del Corpo legislativo del Regno Italico, tuttavia solo alla Restaurazione rientrò attivamente nella vita culturale della sua città, pronunciando una serie di solenni prolusioni e conferenze ai Catenati e un discorso sulla storia dell'Accademia (1822), che in seguito pubblicherà assai ampliato col titolo Memorie storiche dell'Accademia dei Catenati (Macerata 1829); il 2 luglio 1816, durante una solenne adunanza in onore di Pio VII, era stato eletto principe per la seconda volta. Per lunghi anni si era occupato, come curatore, della Biblioteca comunale Mozzi-Borgetti, cui legò per testamento ventidue volumi di manoscritti, interessandosi anche in modo concreto del rinnovamento della pubblica istruzione nella sua città. L'ultima opera che fece stampare fu una traduzione in versi degli inni sacri di M. C. Flaminio, Inni sacri recati in vario metro italiano da Carlo Ercolani (Macerata 1830). Negli ultimi anni, divenuto quasi cieco, si era tirato in disparte, assistito dal discepolo F. Ilari. L'8 giugno 1831 ebbe un attacco apoplettico nella Biblioteca civica, e morì la sera del giorno 14.
Nel 1837 a Forlì venne pubblicato postumo un suo manoscritto, Biografie degli uomini illustri piceni. Si era sempre professato classicista e nemicissimo del movimento romantico, ma, esaminando i suoi inediti, molte delle sue scelte di studio e di traduzione sembrano contraddire tale affermazione.
Fonti e Bibl.: Macerata, Bibl. comunale Mozzi-Borgetti, Ritratto (fot. B. 204.4); Ibid., ms. 370: C. Ercolani, Cenni della vita e degli studii... in tre dialoghi da lui medesimo scritti, 1727; Ibid., ms. 336, Miscellanea; ed inoltre i mss. 263, 290-92, 294, 297 s., 301, 304 s., 326, 337, 357-60, 359-359 quat., 363 s., 366, 383 s., 410, 434, 451, 464, 476 s., 479, 482, 493, 554, 604 s., 623 s., 770, 896, 1093, 1251; Ibid., ms. 1103, n. 59: A. Ricci, Dizionario biografico di maceratesi illustri; Ibid., ms. 1364: G. Volpe, C. E. poeta e letterato maceratese del sec. XVIII, tesi di laurea, Università di Macerata, a. a. 1970-71.
Efemeridi letter. di Roma, XXI (1792), pp. 370-74; Giornale ecclesiastico di Roma, VIII (1793), pp. 63 s.; F. Vecchietti-T. Moro, Biblioteca picena, IV, Osimo 1795, p. 37; F. Ilari, Necrologio, in Antologia, luglio-sett. 1831, p. 154; Id., Elogio di C. E. detto in Macerata li10 apr. 1832, Macerata 1832; E. De Tipaldo, Diz. degli ital. illustri, Venezia 1834, I, p. 318; U. Fresco, Notizie su C. E., Macerata 1886; Per la storia della Biblioteca comunale Mozzi-Borgetti di Macerata, a cura di G. Capotosti - A. Menchini, Macerata 1905, p. 34; La Cristiade del Vida tradotta dall'E., con revisione, prefazione e note del can. L. Taruschio, Milano 1942; N. Mancini, C. E., in La Voce adriatica, 3 luglio 1959, p. 7; O. Gentili, Macerata sacra, Roma 1967, p. 356; A. Ricci, Accademici Catenati dei secc. XVI-XIX, Macerata 1968, ad nomen; Storia di Macerata, a cura di A. Adversi - D. Cecchi - L. Paci, Macerata 1972, p. 195.