PIO, Carlo Emanuele
PIO, Carlo Emanuele. – Nacque a Ferrara nel 1585, secondogenito di Enea quondam Marco e di Barbara di Ippolito Turchi dei marchesi di Ariano. Ebbe quattro fratelli, Manfredo (n. 1583), Ascanio (1586-1649), Giberto (n. 1595) e Alessandro (n. 1601), numerose sorelle (fra cui Lucrezia, Lavinia e Camilla) e almeno un fratellastro, Obizzo, figlio del primo matrimonio di Enea (1573) con Laura degli Obizzi dei marchesi di Orciano (m. 1578).
Perduto il principato di Carpi (1525), i Pio avevano mantenuto il feudo di Sassuolo, divenuto però oggetto delle crescenti mire degli Este di Modena. Enea, escluso dalla successione a quel dominio, lo avrebbe rivendicato invano in seguito all’estinzione del ramo primogenito (all’uccisione del nipote Marco) e all’occupazione di Sassuolo da parte di Cesare d’Este (1599). Con l’arbitraggio dell’imperatore Rodolfo II e di Carlo Emanuele I duca di Savoia (1609) egli avrebbe rinunciato definitivamente alle sue prerogative in cambio di un indennizzo e del rinnovato diritto di aggiungere al suo cognome quello della dinastia sabauda (consuetudine invalsa a partire dal 1450). Il legame dei Pio con i Savoia si era corroborato proprio negli anni che precedettero la nascita di Carlo Emanuele, il cui nome esplicitava un’alleanza funzionale a risollevare le sorti del casato, non più solo un vincolo di fedeltà e servizio. Valente uomo d’arme al comando delle milizie di Francia e Impero, Enea era quindi divenuto consigliere di Stato e ambasciatore del duca di Savoia (1572), che lo aveva inoltre creato cavaliere dell’Annunziata (1576).
Per Carlo Emauele, battezzato da Paolo Leoni, vescovo di Ferrara, il padre ottenne anche un padrinaggio di primaria grandezza: quello dei duchi di Mantova e di Alfonso II duca di Ferrara, che poco dopo lo volle governatore di Reggio (1591). In occasione della devoluzione di Ferrara allo Stato pontificio (1598), in ragione della morte senza eredi diretti di Alfonso II, Enea abbandonò Reggio, in ottemperanza alle disposizioni papali rappresentate dal cardinal nepote Pietro Aldobrandini, legato a Ferrara (1597-99). Un anno più tardi Carlo Emanuele divenne cameriere segreto di Clemente VIII (1600) e fu elevato alla porpora appena diciannovenne, col titolo di S. Nicola in Carcere Tulliano (1604). Si trasferì quindi a Roma (1604), assieme con il fratello Ascanio (1605-18), e si pose sotto la protezione del cardinal nepote.
Durante il pontificato di Paolo V, la cui elezione era stata osteggiata dalla fazione filofrancese guidata dallo stesso Aldobrandini, ottenne scarse prebende (una pensione sulla mensa vescovile di Cremona e l’abbazia di S. Benedetto di Bari, nel 1605). Nei suoi primi anni romani fu inoltre coinvolto nel processo istruito dal S. Uffizio contro Vito Sanvito, esperto di veleni. Frattanto l’arbitrato sulla contesa di Sassuolo lo impegnava a farsi carico dei diritti acquisiti dal padre Enea, privo di una solida discendenza di secondo letto (nessuno dei fratelli di Carlo Emanuele aveva avuto a quel momento prole). L’indennizzo riconosciuto ai Pio da Cesare d’Este (del cui impegno finanziario i Savoia si accettarono garanti per un terzo) sarebbe stato saldato nel corso di numerosi decenni (la lite si sarebbe protratta anzi fino al XVIII secolo). Il casato Pio necessitava pertanto di una forte primogenitura cui ancorare anche l’onere di esazione di tali crediti. Il maggiorascato a tal fine istituito in punto di morte da Enea (1613) in favore di Ascanio (letterato, apprezzato autore di drammi e intermezzi) venne tuttavia di fatto esercitato da Carlo Emanuele, che, ottenuto il saldo delle prime somme legate all’indennizzo di Sassuolo, si fece promotore delle nozze dei due fratelli superstiti (Manfredo e Alessandro erano morti in giovane età).
Mosso anche dalla volontà di riguadagnare un titolo feudale al suo casato, egli trattò con Pierfrancesco Colonna di Zagarolo, la cui figlia Margherita sposò Giberto Pio, fratello di Carlo Emanuele (1617). A fronte di 80.000 ducati, i Colonna cedevano inoltre ai Pio il ducato campano di Sarno. La morte senza eredi di Giberto (1619) vanificò però questi piani e obbligò Carlo Emanuele a riporre ogni speranza nel fratello Ascanio, infine indotto alle nozze con la romana Eleonora di Asdrubale Mattei, marchese di Giove (vedova di Ferrante Bentivoglio, marchese di Castel Gualtieri), in cambio di una pensione annua di 10.000 scudi (1621).
L’elezione di Gregorio XV (1621-23), di cui Pio era stato tenace sostenitore, si era frattanto tradotta nell’ufficio di legato nelle Marche. Pio si trasferì pertanto ad Ancona, dove esercitò anche le funzioni di prefetto dell’Annona e di governatore di Monte Marciano (1621-23). I suoi anni marchigiani, segnati da duri contrasti giurisdizionali con la città di Fermo, furono d’altro canto scanditi dall’ottenimento di nuovi privilegi e rendite, spartiti con il fratello Ascanio: quelli relativi all’eredità dello zio materno Annibale Turchi e i diritti sul dazio e le gabelle di Ferrara (già spettanti agli Este).
Lo raggiunse ad Ancona anche la notizia della nascita di Carlo, primogenito di Ascanio, agognato erede maschio (1622), e della morte di parto della cognata Eleonora. Il suo ritorno a Roma coincise con l’avvio del pontificato di Maffeo Barberini (Urbano VIII, 1623-44), di cui era stato sostenitore in conclave e che gli aveva dedicato alcuni versi in gioventù (1606). Il cardinal nepote Francesco Barberini lo aveva inoltre strettamente coadiuvato in qualità di governatore di Fermo (1623) e aveva assunto al suo servizio Girolamo Preti, suo ex maestro di camera. Pio ottenne pertanto, in rapida successione, il priorato di Ss. Perpetua e Felicita di Faenza, la diaconia di S. Maria in Via Lata, il titolo di Ss. Giovanni e Paolo e infine quello di S. Lorenzo in Lucina (1623-26), unitamente a numerose prebende sarde e spagnole (mense episcopali di Girona e Tarragona e di Santiago di Compostela). Divenne inoltre membro della congregazione dei Riti.
A suggello della sua ascesa politica ed economica, nel 1626 acquistò dagli eredi del cardinale Lanfranco Margotti un palazzo con giardino alle pendici dell’Esquilino, prospiciente i Fori (già dimora di Leone XI Medici, prima della sua elevazione al papato), e ne avviò il restauro e l’ampliamento. Nel 1627 divenne vescovo di Albano, quindi di Porto e S. Rufina (1630) e infine di Ostia e Velletri, titolo spettante al decano del S. Collegio (1639). Nei suoi ultimi anni di vita si spese ancora nel tentativo di guadagnare un blasone ai Pio e a tal fine acquistò parte del feudo di Sorrivoli, nel Riminese, dalla congregazione dei Baroni (1640). Una scelta che non venne avallata da Ascanio (frattanto unitosi in seconde nozze a Beatrice di Enzo Bentivoglio, 1627), giacché la restante parte di quel dominio sarebbe rimasta ai Roverelli (parenti di Lucrezia, ava paterna dei fratelli Pio).
Ulteriore motivo di contrasto con Ascanio furono i destini del giovane Carlo: Carlo Emanuele lo chiamò a Roma con l’intento di sovrintendere alla sua educazione e di avviarlo alla carriera ecclesiastica, scelta che non rispecchiava le inclinazioni del ragazzo. Sul letto di morte (maggio 1641) Carlo Emanuele testò comunque in favore del fratello, suo erede universale, e del nipote tornato al suo capezzale. Ottenne così il trasferimento della primogenitura a Roma e condizionò le scelte di quest’ultimo (futuro cardinale).
Pio si spense a Roma nel maggio 1641. Venne tumulato nella chiesa del Gesù, come ancora ricorda la lapide commissionata da Carlo a Filippo Renzi e Claude Poussin, su disegno di Gian Lorenzo Bernini (1649).
Quest’ultimo era stato un frequentatore delle residenze romane di Pio (la villa ai Pantani esquilini, il palazzo affittato da Camilla Virginia Savelli Farnese in piazza de’ Fornari) in ragione della passione da questi nutrita per le arti figurative e le antichità, sulle orme dell’antenato Rodolfo (1500-64), primo cardinale del casato Pio, noto collezionista, bibliofilo e mecenate. Carlo Emanuele fu inoltre promotore dell’Italia sacra, monumentale opera di Ferdinando Ughelli, edita a partire dal 1644.
Fonti e Bibl.: Albenga, Archivio Costa Del Carretto, 9.3.5: Lettere di Pier Francesco Costa, nunzio a Torino (lettera al cardinale C.E. Pio di Savoia, 1621); F. Ughelli, Italia sacra, I, Venezia 1717, p. 85; L. Ughi, Dizionario storico degli uomini illustri ferraresi, II, Ferrara 1804, pp. 112 s.; L. von Pastor, Storia dei papi, XI, Roma 1929, p. 190; XII, ibid. 1930, pp. 6, 27 s.; XIII, ibid. 1931, p. 901; P. Litta, Famiglie celebri italiane, II, Torino-Milano 1939, tavv. 1-7; P.G. Baroni, Un cardinale del Seicento, Bologna 1969; I. Belli Barsali, Ville di Roma, Milano 1983, pp. 375 s.; Quadri rinomatissimi. Il collezionismo dei Pio di Savoia, a cura di J. Bentini, Modena 1994; E. Bentivoglio, La Villa del cardinale C.E. P. di S. al Colosseo, in Quaderni del Dipartimento Patrimonio architettonico e urbanistico, XXVII-XXVIII (2004), pp. 9-16; A. Cremona, Il palazzo di Eurialo Silvestri ad Templum Pacis, in Ricerche di storia dell’arte, 2009, n. 97, pp. 17-34; C. Vicentini, La collezione di Ascanio Pio di Savoia fra Ferrara e Roma, in Paragone, LXII (2011), s. 3, n. 95, 731, pp. 67-80; L. Bartoni, Le vie degli artisti, Roma 2012, p. 496.