DURAZZO, Carlo Emanuele
Nacque a Genova nel 1622 da Giovanni (al battesimo, Giacomo Maria) e da Battina Balbi di Gerolamo.
Questo ramo dei Durazzo fu funestato da una serie di morti premature dei capifamiglia: il nonno del D., Giovanni (figlio di Giacomo, primo doge di casa Durazzo nel 1573-75), era morto nel 1592, lasciando la moglie Virginia Giustiniani con due bambini in tenera età: Emilia di un anno e Giacomo Maria (il padre del D., appunto, poi chiamato Giovanni in ricordo del genitore morto) di sette. Ma anche quest'ultimo mori precocemente, il 17 giugno 1622, lasciando il D. di pochi mesi e altri tre bambini, Angela, Giovanna e Giacomo. Le sostanze delle due famiglie, i Durazzo e i Balbi, entrambe appartenenti alla nobiltà "nuova" in piena ascesa (e che stavano facendo erigere i loro regali palazzi in strada Nuovissima, in aperta sfida alle sontuose dimore della nobiltà "vecchia", inaugurate pochi decenni prima, per lo più nella vicina strada Nuova), consentirono a Battina di allevare i figli col decoro dovuto, tra l'altro senza costringere alcuno di loro alla scelta dello stato ecclesiastico: scelta pure ampiamente praticata dai giovani dei Durazzo, in precisa funzione di difesa del patrimonio. Le due sorelle del D., Angela e Giovanna, sposarono rispettivamente Gregorio Durazzo, figlio del doge del 1639 Giovanni Battista, e Giovan Battista Raggi; il fratello Giacomo, che era nato nel 1620, sposò giovanissimo Maria Lomellini di Vincenzo ed ebbe numerosa prole.
Della partecipazione del D. alla vita politica sono testimoniati due momenti: una ambasceria a Roma nel 1663 e il governatorato di Corsica nel 1671. Per la prima missione, ricevette il 23 maggio 1663 le istruzioni per recarsi nella sede papale con la qualifica di residente; arrivato il 2 giugno, ebbe udienza dal papa il 3 luglio e prese congedo il 21 settembre.
La missione del D. s'inscriveva in una questione ampiamente dibattuta a livello diplomatico, quella delle "onoranze regie". Da alcuni decenni la Repubblica cercava di ottenerle dalla corte pontificia e proprio a questo scopo era stato inviato nel 1646 l'insigne giurista Raffaello Della Torre. Il riconoscimento consisteva nel concedere la sala regia per l'udienza di ubbidienza all'ambasciatore di Genova - come avveniva per gli ambasciatori delle monarchie - anche quando questi si presentasse da solo (la legazione collegiale di ubbidienza aveva comunque diritto alla sala regia). Ma Innocenzo X era stato irremovibile, anche perché temeva che, concesso a Genova il diritto, si sarebbe creato il precedente nei riguardi di, Venezia; cosi il Della Torre, nel 1651, era arrivato a consigliare al proprio governo di non insistere, ma di evitare il problema limitandosi in futuro a mantenere a Roma un residente che svolgesse la normale attività diplomatica, senza l'obbligo della udienza iniziale. La Repubblica segui il consiglio, inviando come residenti prima Agostino Pinelli e poi Gian Pietro Spinola, ma al D. - che appunto vi fu anch'egli inviato in quella veste - tale scelta sembrava sbagliata; egli faceva invece osservare che la questione dell'udienza di obbedienza si presentava solo all'elezione di un nuovo pontefice e che non era certo utile per la Repubblica tenere a Roma un rappresentante con qualifica inferiore.
La missione del D. fu comunque troncata dal governo di Genova. Il suo scopo specifico era di ottenere che i Chigi, parenti di Alessandro VII, desistessero dalla decisione di non "cedere la mano" (cioè di non dare la destra) al rappresentante della Repubblica quando questi si recava a visitarli. Ma né i Chigi né il pontefice, per il resto (per lo più questioni relative al clero di Corsica) benevolo e condiscendente, cedettero sulla questione "fondamentale", e cosi il D. fu richiamato, nonostante il suo parere favorevole ad attendere un ammorbidimento della situazione.
Nella sua relazione, dopo aver moralisticamente criticato la contradittoria condotta di Alessandro VII (il quale, dopo aver denunciato la piaga del nepotismo pontificio quando era nunzio apostolico in Germania, dopo il primo anno di pontificato lo aveva praticato in maniera più sfacciata dei predecessori e con maggior superbia), mirava a porre la questione particolare di Genova nel quadro più ampio dei rapporti tra il nepotismo papale e i vari Stati, passando in rassegna con acuti giudizi le reazioni pubbliche e private dei rispettivi ambasciatori, tutti variamente costretti a subire l'altezzosità dei Chigi. Ribadita quindi la necessità per la Repubblica di mantenere una prestigiosa presenza politico-diplomatica a Roma - che il D. considerava "piazza universale dove si maneggiano gli interessi di tutti" - e dopo aver segnalato alcuni casi di solidarietà dimostratigli (tra cui quello della regina Cristina di Svezia, "principessa che ad una profonda erudizione di lettere unisce un alto conoscimento delle materie politiche"), forniva informazioni molto dettagliate e penetranti sui vari cardinali, con previsioni sul futuro conclave. E anche se non riusci a prevedere l'immediato successore di Alessandro VII (il cardinal Rospigliosi, divenuto nel 1667 Clemente IX, che comunque citava con ammirazione), individuò nel cardinal Odescalchi il candidato "che non mancherebbe di essere nell'applauso generale s'avesse più anni" (e infatti fu papa Innocenzo XI nel 1676, poi beatificato).La leggibilissima relazione sulla missione romana dimostra nel D. doti di osservatore acuto ed equilibrato e di scrittore dotato di cultura e di espressiva chiarezza, nonostante qualche indulgenza al gusto barocco delle acute metafore; doti probabilmente confermate nell'altra relazione che egli stese dopo il governatorato di Corsica: segnalata dallo Starace tra i manoscritti della poco accessibile biblioteca Brignole Sale e dedicata in particolare al problema del banditismo nell'isola.
Il D. arrivò in Corsica nel 1671, succedendo a Federico Imperiale, in un periodo di relativa tranquillità nella storia dell'isola; ed anche la deliberazione emanata sotto il suo governatorato, per decreto della Repubblica, circa l'ineleggibilità dei nativi dell'isola. o di chi avesse parenti fino al terzo grado, ai commissariati di Ajaccio, Calvi e Bonifacio, non sembra aver provocato sul momento troppo malumore. Anzi, tra la partenza del D. e l'arrivo del nuovo governatore Giovan Andrea Spinola, si procedette con successo all'arruolamento di contingenti corsi da impiegare nella guerra sollevata dal duca di Savoia contro la Repubblica. E, tra l'altro, in essa si distinse il corso Pier Paolo Ristori, che, coi grado di generale, sarà agli ordini del cugino del D., Giovan Luca Durazzo, commissario in capo delle truppe.
Il D. mori, verosimilmente a Genova, il 15 nov. 1674.
Aveva sposato nel 1654 una cugina di parte di madre, Paola Francesca Balbi, figlia di Stefano, ma i figli erano nati diversi anni dopo, e cosi, secondo l'infausta sorte familiare, rimasero orfani ancora bambini. Furono Marianna, nata nel 1666 e poi sposa a Giacomo Franzone; Teresa Emilia, nata nel 1667 e monaca a sedici anni nel monastero di S. Paolo; Giovanna Maria, nel 1669, e infine Giovanni Stefano, nato il 4 maggio 1672 e sposato a Violantina Sauli di Francesco; con i quattro figli di Giovanni Stefano (Carlo Emanuele e Francesco Maria, scapoli, e Annamaria e Maria Francesca, monache) si chiude questo ramo dei Durazzo.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Genova, Relaz. ministri, 1-2717; A. P. Filippini, Istoria di Corsica, Pisa 1827, III, app. CIV; V. Vitale, Diplomatici e consoli della Repubblica di Genova, in Atti d. Soc. ligure di storia patria, LXVIII (1934), p. 20; Id., Diplomazia genovese, Milano 1941, pp. 32, 59-84; L. Barni, I rapporti internazionali dello Stato di Milano, in Arch. st. lomb., n. s., VIII (1943), pp. 21 s.; C. Starace, Bibliografia di Corsica, Milano 1943, nn. 2530, 8565; D. Puncuh, L'archivio dei Durazzo, marchesi di Gabiano, in Atti d. Soc. ligure di storia patria, n. s., XXI (1981), p. 623.
M. Cavanna Ciappina