DIODATI, Carlo
Terzogenito di Michele di Alessandro e di Anna di Martino Buonvisi, nacque probabilmente il 17 sett. 1541 a Lucca, mentre vi soggiornavano per un incontro importante in vista di un accordo Paolo III e Carlo V. Una tradizione narra che sia stato l'imperatore in persona a dargli il proprio nome presentando il neonato al battesimo officiato dal papa. Come i suoi fratelli maggiori, Alessandro e Antonio, anche il D. giovinetto, compiuti gli studi, fu avviato all'esercizio della mercatura, dell'arte serica e delle diverse operazioni di cambio, facendo pratica nelle case di commercio dei consociati Diodati-Buonvisi, la cui vasta rete aziendale includeva compagnie attive a Lucca, a Genova, a Lione e ad Anversa.
La formazione religiosa del D. risentì della forte personalità del padre, uomo politico di spicco (più volte gonfaloniere della Repubblica), il quale fu tra coloro che rimasero profondamente toccati dalla predicazione di Pietro Martire Vermigli durante il suo priorato nel convento di S. Frediano tra il 1541 e il 1542. Da allora, per più di quindici anni, la partecipazione di Michele al movimento delle nuove idee dovette essere particolarmente fervorosa, se, caduto su di lui il sospetto di eresia, venne citato dall'Inquisizione a Roma, da dove non poté tornare che dopo due anni, il 24 ott. 1560, assolto dalle gravi accuse.
Anche il D. poté frequentare a Lucca le non poche conventicole in cui, scrive un contemporaneo, "si leggono libri e si fanno lettioni heretiche". Nel primo venticinquennio di vita nella città natale, il D. assisté alla crescente vigilanza degli inquisitori e delle autorità locali che, fin dal 1545, avevano vietato la predicazione e l'esercizio di culti difformi dal cattolico-romano, tramite decreti rinnovati nel 1549, 1558 e 1562, comminanti pene sempre più gravi.
Per il D., che come altri guardava a Ginevra quale terra di libertà, ancorché di esilio, fu assai grave quanto si stigmatizzava "contro chi anderà ad habitare o stantiare" in quella città, nel nuovo decreto del febbraio 1566.
Ciononostante il D. dovette ritenere ormai insostenibile la sua permanenza a Lucca si da meditare l'opportunità di abbandonarla, tenendo pure conto di quella certa connivenza del governo che in alcuni casi aveva dimostrato di proteggere i suoi cittadini col favorirne segretamente la fuga giusto prima della loro incriminazione e cattura come eretici e ribelli. Infatti il D. era già riuscito a mettersi in salvo quando, il 30 luglio 1567, il Consiglio generale spiccò mandato di comparizione a suo carico, sotto pena di decapitazione e confisca dei beni.
Assente, il D. venne condannato in contumacia con la sentenza del 3 marzo 1568, che lo dichiarava eretico e ribelle. Gli vennero, inoltre, confiscati gli averi e il suo nome fu inserito in una lista di proscrizione con una taglia di 300 scudi. Ma in quel periodo egli si trovava al sicuro a Ginevra, dove era giunto già nel 1567 con i lucchesi Salvatore Franceschi e Giuseppe Giona (Jona). Sulla riva del Lemano il D. rivide non pochi amici concittadini, approdativi fin dal decennio precedente. Le relazioni amichevoli e parentelari furono presto rafforzate dal suo matrimonio con una nobile lucchese, Flaminia, figlia di Francesco Micheli e di Zabetta Balbani. Purtroppo, un anno più tardi, alla fine del marzo 1569, la giovane moglie morì nel dare alla luce il figlioletto Teodoro, che fu tenuto a battesimo il 1° di aprile nella Chiesa italiana da Vincenzo Bertoloni. Infieriva allora a Ginevra una grave epidemia di peste, che non cessava di mietere vittime. Il D. sentì avvicinarsi il pericolo del contagio e tanto temette per la vita da decidersi, il 10 ag. 1569, a fare testamento, nominando erede universale il piccolo Teodoro.
Nel dettare le sue ultime volontà il D. esprimeva la commozione del fedele illuminato dalla verità evangelica e la convinzione interiore del convertito che aveva tanto patito le "idolatrie e superstizioni papistiche" da richiedere "principalmente e soprattutto" che il figlioletto venisse "nutrito, allevato e istruito dal timor di Dio, e nella conoscenza della sua pura dottrina e verità del Vangelo". Le sue preoccupazioni religiose giunsero al punto di esigere come condizione dai fratelli (Alessandro, Antonio, Girolamo, Ottaviano e Mario), nominati tutori, l'abiura delle "superstizioni e idolatrie papali" e l'"aperta professione della religione e del Vangelo secondo la vera riforma della chiesa", quando i minori avessero raggiunto il venticinquesimo anno. Insieme a loro e al padre Michele il D. nominava tutori del figlio Teodoro Zabetta Balbani, vedova di Francesco Micheli, Niccolò Balbani, Pompeo Diodati, Paolo Arnolfini e Orazio Micheli, quando compisse vent'anni.
Il D. stabilì che dopo la sua morte, ogni anno, fino al ventesimo di Teodoro, fosse distribuita ai poveri la somma di 50 scudi d'Italia, elemosina che i curatori e tutori potevano moderare ogni anno a loro discrezione. Donava al Collège di Ginevra la somma di 10 scudi d'Italia "per intrattenervi persone dotte e timorose di Dio che istruissero la gioventù". Quanto al denaro contante, stabiliva che fosse "portato e messo a profitto nella città di Lione o in altro luogo sicuro, e assicurato fra le mani di persone solvibili, secondo il parere unanime dei tutori o della loro maggioranza".
Malgrado le attenzioni paterne, Teodoro morì dopo pochi mesi. Nondimeno, il D. continuò a portare avanti le proprie iniziative, tanto più che aveva ormai superato il pericolo di un contagio.
La rilevanza dei beni di cui disponeva, a soli due anni dall'arrivo a Ginevra, mostra che egli era riuscito a mettere in salvo e a portare seco una parte cospicua del suo patrimonio. In effetti, tale disponibilità di capitali gli aveva dato il raro vantaggio di poter riprendere subito, al suo arrivo nella nuova dimora, le sue attività commerciali e manifatturiere, avvantaggiato com'era dalla fitta rete di amicizie e parentele. Questa fu rafforzata nel 1572 dal matrimonio con Maria Mei, figlia di un altro insigne mercante lucchese, il nobile Vincenzo Mei, defunto, e di Felice Bernardini. rifugiatasi a Ginevra più di un decennio innanzi.
Nel contratto di matrimonio, stipulato il 25 nov. 1572 tra il D. e i tutori della sposa (la madre Felice, Niccolò Balbani e Paolo Arnolfini), si conferiva a Maria il possesso dei beni ereditati dal padre e, in più, il dono fatto dallo sposo di 1.000 libbre tornesi "che ella potrà, in caso di decesso del marito, prelevare sui beni e sui liquidi di lui, oltre agli abiti, gioielli e anelli, ... secondo gli usi di Lucca".
Ottenuta, il 29 nov. 1572, la "bourgeoisie" ("pour 40 écus et le seillot"), il D. entrava a pieno titolo nella vita civile ed economica con un impegno personale, in cui l'interesse per le proprie attività commerciali spesso convergeva con l'interessamento attivo per la comunità, provata da drammatici eventi: all'interno, la peste (1568-1572; il 9 dic. 1615 il D. fu iscritto nella lista di coloro che venivano multati per essersi assentati dalla città in tempo di contagio), le carestie (1585-1587), le crisi economiche (dal 1586); all'esterno, le ripercussioni delle guerre civili di Francia, le minacce spesso incombenti del duca di Savoia, consumate in anni di guerra aperta (1589-1593). Il D. fu tra i primi a offrire il proprio aiuto, come nel settembre 1574 quando, senza esitare, accettò il comando di una compagnia di volontari del Rifugio italiano, arruolati per difendere la città dai paventati attacchi di Emanuele Filiberto. Talvolta prestò denaro alla Signoria bisognosa di contante, pur conservando una certa autonomia decisionale (il 22 ag. 1608 il D. e Francesco Turrettini rifiutarono di prestare al governo ginevrino 2.000 scudi da pagare a Berna, mentre prestarono 2.400 scudi per Zurigo e 6.000 per Sciaffusa); nel 1621 il D. prestò alla Signoria 2.000 scudi.
In altre circostanze offrì il suo aiuto alla Signoria, dimostrando un attaccamento premuroso al bene comune, non disgiunto a volte da qualche vantaggio personale. Infatti, non di rado il D. fece beneficiare la Signoria delle proprie competenze in materia di trasferimenti di fondi e di attività di cambio, fungendo anche da intermediario tra Ginevra e le grandi piazze finanziarie di Francia e d'Inghilterra. Anzi, a partire dal 1600, fu fra i pochi a svolgere l'importante incarico di incassare sulle piazze di Parigi, Lione e Londra, tramite lettere di cambio e titoli o cedole obbligazionari, i consistenti versamenti annui del re di Francia (6.000 libbre tornesi per il mantenimento della guarnigione), i doni provenienti dalle Chiese riformate straniere, destinati ad alleviare dai debiti la città o a fornirle i mezzi per dife derla dal Savoia.
Tali fondi - spiega L. Mottu-Weber - venivano poi gestiti e utilizzati dal tesoriere della città per il pagamento della guarnigione e per il rimborso degli interessi, o del capitale, dei debiti contratti in Svizzera o altrove. Appena ricevuto il denaro, l'incaricato firmava un'obbligazione con cui si impegnava, di ritorno a Ginevra, a versare alla Signoria la somma corrispondente. Così il D., ricevuti i sussidi del re di Francia, li versava ai consiglieri ginevrini (dal 1613 vengono richiesti gli interessi del 6% per il periodo intercorrente fra il ricevimento della somma e il suo versamento nelle casse della Signoria; ma già nell'agosto del 1604 il Consiglio aveva permesso che egli custodisse 1.500 scudi provenienti dall'Inghilterra dietro pagamento del 7% d'interessi durante il tempo di custodia). Dal 1610 il trasferimento della "subvention du Roy" venne affidato, oltre che al D., anche a Francesco Turrettini e ad altri mercanti.
Benché le operazioni di "banca" costituissero per il D. un importante introito, egli esplicò anche in altri campi le sue attività di commercio. Innanzitutto nell'importazione della seta, nella sua manifattura, nella vendita dei prodotti finiti (smercio di fioretti), specie verso la fine degli anni 1560, quando la lavorazione della seta stava diventando un'industria considerevole. La sua attività di fabbricante e di mercante si estendeva anche alla lana, al velluto e ad altri filati, di cui incrementò la lavorazione dopo le ordinanze cittadine del 1570 (su "l'art de la manufacture des draps et thoilles d'or fins et fáulx, et des velours, tafetas et autres draps de soye"), tendenti a privilegiare gli artigiani già operanti in territorio ginevrino, pur senza limitare l'accesso dei nuovi arrivati alla "Maistrise des drapiers".
Operando a stretto contatto con mercanti e banchieri ginevrini di origine lucchese, aventi negozi, "banchi", compagnie e case commerciali nelle principali piazze di Svizzera, Francia, Germania, Paesi Bassi e Inghilterra, il D. poté estendere il proprio giro di affari su una vasta zona di mercati. Egli esercitò perlopiù come socio di compagnie; forse unica è la menzione, in un atto notarile del 1580, di una "Charles Diodati et Cie". Dal 1575 esercitò in società col cugino Pompeo Diodati; fu anche socio dei Turrettini (nella "Diodati et Turrettini", 1576-1579, che realizzò il 150% di profitti; nel 1601 vi è notizia di una "François Turrettini et Charles Diodati"), degli Arnolfini (nella "Boutique de la Soye Paul Arnolfini et Compagnons"), dei Balbani ("César Balbani et Compagnons", attiva fino al 1622), dei Mei e dei Micheli.
La più celebre compagnia, che fruttò ai soci i più lauti introiti, fu la cosiddetta "Grande Boutique", fondata nel 1593 da Francesco Turrettini, che la diresse fino al 1627. Raro esempio di perizia imprenditoriale e di formazione di ingenti capitali, la "Grande Boutique"rappresentò per la Ginevra del tempo la maggiore impresa commerciale. Essa riuscì a incrementare di sette volte il capitale sociale, passato da 18.000 scudi d'oro nel 1593 a 120.000 nel 1613.
Il D. poté entrare nella compagnia solo nel 1598, alla morte di Fabrizio Burlamacchi, con una quota sociale di 2.000 scudi, che durante l'esercizio 1599-1601 fruttarono il 21% annuo. Nel periodo di esercizio 1602-1604 partecipò con 4.000 scudi, con un profitto del 24% annuo. Durante il successivo periodo, 1605-1609, dai 5.000 scudi investiti ricavò il 30% annuo. Poi, fra il 1610 e il 1612 aumentò la quota a 10.000 scudi con un profitto del 16,5% l'anno.
Infine, nell'ultimo periodo di attività, 1613-1615, ottenne il 15% annuo di interessi dai 10.000 scudi investiti.
L'accrescimento dei beni, accompagnato da nuovi acquisti di proprietà terriere ("au Roset" a Peicy, il 22 febb. 1578; "en l'Isle" a Peney, il 17 marzo 1578) e immobiliari (la casa in città sita rue de la Boulangerie; un giardino presso la porta di Rive, danneggiato nel 1606 per le opere di fortificazione, per le quali ricevette un indennizzo di 200 fiorini), non fu disgiunto nella operosa esistenza del D. da un'ampia e generosa partecipazione alla vita religiosa e politica della città. Dal 1570, a tre anni dal suo arrivo, fu membro attivissimo della Chiesa italiana riformata, in cui ricoprì successivamente le cariche di tesoriere (o borsiero, incaricato dei libri contabili, 1570 e 1573), diacono (addetto alla distribuzione delle elemosine, dal 1574 al 1581) e anziano (1582-1584, 1588-1624) col compito di vigilare sulla condotta religiosa e morale dei cittadini (nel 1610 fu incaricato insieme a Sinion Goulart, membro influente della Compagnia dei pastori, di "inquisire sulla dissolutezza e sul gioco di quanti si rovinano").
Quanto alla politica, il D. fu membro attivo sia del Consiglio dei duecento (1584-1592; 1594-1608; 1610-1619), sia del Consiglio dei sessanta (1584, 1596-1598, 1609, 1612-1615, 1617-1619). Egli ebbe anche l'onore di partecipare in qualità di anziano alle riunioni del Concistoro della Chiesa riformata di Ginevra nel 1604-1607 e dal 1610 al 1616. Nel 1614 fu anche nominato procuratore dell'ospedale generale.
La vita familiare fu allietata dalla moglie, Maria, e dai figli. Dei dieci nati, però, la metà morì in tenera età (Samuele, nato il 10 ott. 1574; Giuseppe, nato il 12 nov. 1579; Stefano, nato il 14 febb. 1583; Renea, nata il 15 sett. 1588; e Paolo, nato il 31 dic. 1590). Gli altri cinque furono: Teodoro, nato il 3 giugno 1573 (medico, trasferitosi a Londra); Giovanni, nato il 3 giugno 1576 (teologo, celebre traduttore della Bibbia); Anna, nata il 27 marzo 1578 (sposata a Giacomo Burlamacchi); Maria, nata il 12 marzo 1586 (sposatasi con Paolo Offredi); Maddalena, nata il 27 marzo 1592 (coniugata a Jean-Antoine Pellissari).
Il D. morì a Ginevra il 3 marzo 1625 e fu sepolto il giorno seguente nel cimitero di St.Gervais.
Fonti e Bibl.: Lucca, Bibl. govern., ms. 1111: G. V. Baroni, Notizie geneal. delle famiglie lucchesi, ff. 140 s.; Arch. di Stato di Lucca, G. V. Baroni, Alberi di famiglia, t. 3, ff. 38 s., 51; Ibid., Consiglio generale, reg. 54, f. 145v; reg. 55, f. 36v; reg. 56, f. 84; Ibid., Offizio sopra i beni degli eretici, nr. 1, f. 179; Ginevra, Bibl. publ. et univers., Mss. suppl. 438: Libro di ricordi dignissimi delle nostre famiglie, a cura di V. Burlamacchi, ff. 76, 89 (Memorie scritte da C. Calandrini in Norimberga); Ibid., 84 (tr. fr. dei ff. 50-54v del Mss. suppl. 438), ff. 6v, 8; Ibid., 816: Libro di memorie diverse della Chiesa italiana raccolte da me Vincenzo Burlamachi in Geneva 1650, ff. 28, 59 ss.; Ibid., 817, f. 20; Ibid., 821: Répertoire des noms des personnes mentionnées dans les extraits des registres des Conseils et des minutes des notaires de Genève, a cura di Ad. C. Grivel, [1871], p. 20 (si riferisce al Mss. suppl. 820: Italiens réfugiès à Genève. Extraits des registres des Conseils de la République de Genève relatifs à l'Eglise Italienne établie en cette ville); Ibid., Archives d'Etat, Registres du Conseil de Genève, an. 1574, ff. 160 s.; 1582, f. 244; 1585, f. 3v; 1586, f. 3v; 1587, f. 3v; 1588, f. 3v; 1589, f. v; 1590, f. 3; 1591, f. 3v; 1592, f. 2v; 1594, f. 2v; 1595, f. 3v; 1596, f. 198; 1597, f. 5; 1598, f. 4v; 1599, f. 7v; 1600, f. 6; 1601, f. 5v; 1603, ff. 5, 8; 1604, ff. 4-5v, 33, 156v; 1605, f. 9; 1606, ff. 6, 8v, 9, 38, 105, 124; 1607, ff. 5, 7; 1608, ff. 4, 7, 105, 124, 137v; 1609, ff. 8, 155; 1610, ff. 9v, 162v; 1611, f. 16v; 1612, ff. 7v, 9, 55, 57, 58, 60; 1613, ff. 6-7, 64, 66, 67, 116, 24, 215, 221; 1614, ff. 8v, 10, 89, 90, 92, 108; 1615, ff. 9, 339rv, 342; 1616, f. 6v; 1617, f. 5v; 1618, f. 8v; 1619, f. 7; Notaires, P. Blondel (vol. 2, f. 192), E. Bon (vol. 3, L 640), E. Bourgoing (vol. 1, f. 226), CI. Cherrot (vol. 6, f. 18), J. Cusin (vol. 1, f. 106), O. Dagonneau (vol. 4, f. 31 IV), P. Dassier (vol. 3, f. 115), P. de la Rue (vol. 6, f. 526), E. Dernonthouz; (vol.9, f. 3v; vol. 13, f. I; vol. 25, f. 6; vol. 27, f. 248; vol. 34, f. 178v, I. Demonthouz (vol. 1, f. 3v), P. Guillermet (vol. 1, ff. 2, 373), J. Jovenon (vol. 4, f. 283; vol. 7, f. 580), P. Jovenon (vol. 2, f. 425), B. Mantelier (vol. 3, f. 317), J. Ragueau (vol. 11, ff. 834839v; vol. 14, f. 95); J.-A. Galiffe, Notices généalogiques sur les familles genevoises…, II, Genève 1836, pp. 729-31; G.D.-J. Schotel, I. Diodati, 's Gravenhage 1844, pp. 5, 7 s., 10, 16, 83, 92, 94, 134; G. Tommasi, Sommario della storia di Lucca dall'anno MIV all'anno MDCC, a cura di C. Minutoli, Firenze 1847, p. 450; C. Eynard, Lucques et les Burlamacchi. Souvenirs de la Réforme en Italie, Genève-Paris 1848, pp. 261, 269, 322; E. De Budé, La vie de J. Diodati théologien genevois, Lausanne 1869, pp. 20 ss., 24; F. Turrettini, Notice biographique sur B. Turrettini théologien genevois du XVIII siècle, Genève 1871, pp. 5, 11, 13-19, 272 s.; J.-B.-G. Galiffe, Le refuge italien de Genève aux XVIIe et XVIIIe siècles, Genève 1881, p. 25; E. E. Salisbury, Mr. William Diodate (of New Haven from 1717 to 1751) and his Italian ancestry, (estr. da New England Historical and genealogical register, aprile 1881), pp. 5, 8, 9; G. Sforza, La patria, la famiglia e la giovinezza di papa Niccolò V. Ricerche storiche, in Atti della R. Acc. lucchese di Scienze, lettere ed arti, XXIII (1884), pp. 317, 374; M. Rosi, La Riforma religiosa e l'Italia nel sec. XVI, Catania 1892, p. 12; Le livre des Bourgeois de l'ancienne République de Genève, a cura di A.-L. Covelle, Genève 1897, p. 292; O. Grosheintz, L'Eglise italienne à Genève au temps de Calvin, Lausanne 1904, p. 59; A. Milli, G. Diodati il traduttore della Bibbia, Lausanne 1908, p. 43; A. Pascal, Da Lucca a Ginevra. Studi sulla emigrazione religiosa lucchese a Ginevra nel sec. XVI, Pinerolo 1935, pp. 29, 56 s., 69, 96, 102, 117, 119, 123, 140, 150-154, 156, 159, 165, 169 s., 179, 181, 227, 241 s., 251, 270, 283; W. Bodmer, Der Einfluss der Refugianteneinwanderung von 1550-1700 auf die schweizerische Wirtschaft, Zürich 1946, pp. 42, 49, 151; Id., Die Entwicklung der schweizerischen Textdwirtschaft im Rahmen der übrigen Industrie und Wirtschaftzweige, Zürich 1960, p. 96; M. Berengo, Nobili e mercanti nella Lucca del Cinquecento, Torino 1965, p. 448; M. Fulvio, Una famiglia lucchese: i Diodati, in Actum Luce, XII (1983), nn. 1-2, pp. 19 ss., 27-30; L. Mottu-Weber, Genève au siècle de la Réforme. Economie et Refuge, Genève 1987, pp. 251, 261, 329-332, 334, 383 s., 471 ss.