Di Palma, Carlo
Direttore della fotografia, nato a Roma il 17 aprile 1925. Insieme a Gianni Di Venanzo e Pasqualino De Santis fu uno dei protagonisti della rivoluzione dell'illuminazione cinematografica, effettuata mediante il ricorso alla luce riflessa e diffusa, ottenuta con lampade photo-flood. Negli anni Sessanta portò alle sue estreme conseguenze tale ricerca, soprattutto nel campo del colore, sfruttando l'uso delle lampade al quarzo. Grazie alla sua sensibilità nel trattamento dei mezzi toni di colore, si è guadagnato la fama di essere uno dei più raffinati interpreti della fotografia cinematografica del dopoguerra. Dotato di un istintivo talento per la manipolazione della luce naturale, è tra i pochi direttori della fotografia capaci di filtrare la temperatura-colore direttamente in fase di riprese. Ha fornito un contributo decisivo a un'opera memorabile dal punto di vista figurativo come Deserto rosso (1964) di Michelangelo Antonioni. Con questo film e con L'armata Brancaleone (1966) di Mario Monicelli ha vinto due Nastri d'argento; ne ha ottenuti altri due nel corso degli anni Novanta per il raffinato bianco e nero di Shadows and fog (1992; Ombre e nebbia) e per Mighty Aphrodite (1995; La dea dell'amore), entrambi di Woody Allen.
Figlio del capoofficina degli stabilimenti romani della SAFA (Società Anonima Films Attualità), D. P. crebbe nell'ambiente del cinema. Non ancora diciassettenne divenne aiuto operatore del giovane Di Venanzo e lo sostituì come assistente ai fuochi in Ossessione (1943) di Luchino Visconti. Aveva inoltre lavorato nella troupe di Massimo Terzano in Un colpo di pistola (1942) di Renato Castellani e al fianco di altri maestri italiani del bianco e nero. Alla fine della guerra tornò a lavorare come assistente con Di Venanzo e, quando quest'ultimo esordì da direttore della fotografia in Achtung! Banditi! (1951) di Carlo Lizzani, D. P. divenne operatore alla macchina. Direttore della fotografia dal 1954, mise subito in mostra una grande personalità, soprattutto attraverso il bianco e nero misterioso ed evocativo di La lunga notte del '43 (1960) di Florestano Vancini, Kapò (1960) di Gillo Pontecorvo e Divorzio all'italiana (1961) di Pietro Germi, dimostrando le enormi possibilità espressive della luce nella costruzione del carattere dei personaggi. Antonioni, per il quale aveva già lavorato in alcuni cortometraggi, gli affidò la responsabilità della fotografia nel suo primo e tormentato film a colori, Deserto rosso. Dopo una lunga fase di provini in super 8, Antonioni e D. P. realizzarono in venti settimane un film costruito sulle suggestioni del colore, caposaldo della storia della fotografia cinematografica, soprattutto per l'insolita pratica di trasfigurare la gamma cromatica dell'immagine dipingendo il colore direttamente sulle cose, perfino sugli alberi, verniciati di bianco in una celebre sequenza. Quel film diede un'enorme fama a D. P., il quale vinse due Nastri d'argento nel giro di tre anni e nel 1968 venne candidato al premio BAFTA (British Academy of Film and Television Arts) per Blow-up (1966), ancora di Antonioni. Negli anni Sessanta divenne inoltre il direttore della fotografia preferito della protagonista dei film del regista, Monica Vitti, rimettendo in auge una pratica diffusa nella Hollywood degli anni Trenta, quando le star ottenevano la totale disponibilità di un proprio operatore di fiducia. Seguì così la carriera dell'attrice, accompagnandola nella difficile transizione verso la commedia e verso il grande pubblico, da La cintura di castità (1967) di Pasquale Festa Campanile a Ti ho sposato per allegria (1967) di Luciano Salce, da La ragazza con la pistola (1968) di Monicelli a Amore mio, aiutami (1969) di Alberto Sordi, da Dramma della gelosia (tutti i particolari in cronaca) diretto nel 1970 da Ettore Scola a Ninì Tirabusciò, la donna che inventò la mossa (1970) di Marcello Fondato, da La supertestimone (1971) di Franco Giraldi a La pacifista (1970) di Miklós Jancsó. Fra il 1967 e il 1972 l'attrice non si fece mai illuminare da altri direttori della fotografia. Fu probabilmente questo legame professionale (presto divenuto anche sentimentale) che lo indusse a tentare la strada della regia: fra il 1973 e il 1976, allontanandosi dal suo lavoro di direttore della fotografia, diresse tre film costruiti intorno all'attrice, Teresa la ladra (1973), Qui comincia l'avventura (1975) e Mimì Bluette… fiore del mio giardino (1976). Dopo l'esperienza registica non gli fu agevole ritornare sui propri passi. Tra la fine degli anni Settanta e i primi Ottanta D. P. iniziò una nuova fase della carriera, ritrovando Antonioni ancora per un raffinato lavoro sul colore in Identificazione di una donna (1982). Ma la sua rinascita professionale e artistica è avvenuta principalmente fuori dai confini italiani: nel 1983, oltre alle fantasie brasiliane di Gabriela di Bruno Barreto, ha firmato le immagini di un film dai grandi valori fotografici, The black stallion returns di Robert Dalva. Il successo personale di questa performance gli ha spalancato le porte del cinema statunitense. Dalla metà degli anni Ottanta ha legato il proprio nome alle meticolose ricostruzioni in studio di Allen, per il quale ha illuminato ben dieci lungometraggi, scoprendo con occhi diversi la New York del regista, da Hannah and her sisters (1986; Hannah e le sue sorelle) a Radio days (1987), da Alice (1990) a Bullets over Broadway (1994; Pallottole su Broadway), sino ai due film con cui ha vinto i Nastri d'argento, e a Everyone says I love you (1996; Tutti dicono I love you) e Deconstructing Harry (1997; Harry a pezzi). Tra gli altri registi con i quali ha lavorato vanno ricordati Alessandro Blasetti, Elio Petri, Giuliano Montaldo, Luigi Zampa, Ugo Gregoretti, Bernardo Bertolucci. Nei film di genere si è occasionalmente firmato con lo pseudonimo Charles Brown. Anche il nipote Dario (n. a Roma 1932) ha intrapreso la carriera di direttore della fotografia.
B. Comer, Renaissance man: the artistry of Carlo Di Palma, in "American cinematographer", 1993, 1, pp. 57-60; J. Oppenheimer, 'Team Woody' fires Bullets over Broadway, in "American cinematographer", 1995, 2, pp. 66-70; E. Rudolph, Mighty Aphrodite tours Manhattan, in "American cinematographer", 1996, 2, pp. 60-64.