DE VINCENTIIS, Carlo
Nacque a Napoli da Giuseppe e da Annunziata Carolina Castiglione il 19 ag. 1849. Educato, per i primi anni scolastici, presso i padri barnabiti di Caravaggio, seguì i corsi universitari nell'ateneo della sua città, conseguendo a soli 22 anni la laurea in medicina e chirurgia. Assunto subito dopo da O. von Schroen all'istituto di anatomia patologica, in qualità di "preparatore", s'interessò in modo particolare ai problemi di patologia dell'apparato visivo, con risultati che, segnalati nelle sue prime pubblicazioni scientifiche, gli valsero nell'anno accademico 1875-76 l'autorizzazione a impartire un corso libero di anatomia patologica dell'occhio. Di tale periodo fu il lavoro Della struttura e genesi del calazion (in Annali di ottalmologia, IV [1875], pp. 231-239), la prima accurata ed elegante ricerca scientifica del D., che si rivelava, così, particolarmente orientato verso l'osservazione e lo studio.
Questa sua inclinazione verso la branca basilare della formazione medica non s'attenuò quando, per l'onere dei molteplici impegni assunti in qualità di assistente alla scuola libera di oculistica di M. Del Monte, di chirurgo oculista nel R. Albergo dei poveri, di dirigente del frequentatissimo ambulatorio oftalmico dell'ospedale Loreto, il D. fu costretto a rinunciare al posto di preparatore all'istituto di anatomia patologica. Egli continuò con immutata lena gli studi prediletti di patologia sotto la guida di L. Armanni all'ospedale degli Incurabili, traendo profitto dall'esperienza acquisita per un moderno indirizzo da imprimere alla scienza oftalmologica, oltre che per l'orientamento delle sue ricerche.
Pubblicati altri lavori scientifici di interesse oftalmologico, nel 1876 conseguì per titoli la libera docenza in patologia e clinica oculistica. Ottenuta l'eleggibilità al concorso per la cattedra di clinica oculistica dell'università di Modena, nel 1877 divenne professore straordinario di clinica oculistica dell'università di Palermo; ordinario nella stessa sede nel 1884, nel 1888 fu chiamato con voto unaninie della facoltà alla clinica oculistica dell'università di Napoli a succedere a R. Castorani.
Improntato il suo magistero al nuovo indirizzo scientifico da lui propugnato, l'anatomia patologica oftalmica, il D. creò una fiorente scuola e trasformò le poche, modeste stanze della vecchia clinica oculistica di Napoli in un moderno istituto di cura e di insegnamento. Le sue ricerche, originate dalla quotidiana osservazione clinica e talvolta dallo studio di particolari problemi chirurgici, ebbero tutte il pregio, oltre che della rigorosa impostazione, dell'originalità.
Dopo i primi contributi anatomici e il già ricordato lavoro sul calazion, in cui descrisse la presenza nel contesto di tale formazione di numerose cellule giganti circondate da cellule epitalioidi, il D. pubblicò numerose altre osservazioni e ricerche di patologia oculare.
Pregevoli furono i suoi studi di carattere isto-patologico di varie affezioni oftalmiche, come i processi di degenerazione ialina della sclera stafilomatosa e colloidea della cornea ulcerata, nonché di molteplici manifestazioni neoplastiche della più vasta gamma istogenetica ed elezione topografica. Non furono peraltro trascurati altri settori disciplinari, tra cui quello delle affezioni infettive e parassitarie, come il mollusco contagioso, la tarsite scrofolosa, la lebbra oculare, il sifiloma del sacco lacrimale e, più significativamente, la cisticercosi oculare nelle varietà intra- ed extrabulbare, subretinica e vitreale. Dei vari lavori pubblicati su questi argomenti si ricordano, in particolare: Contributo allo studio della lebbra oculare, in Ann. di ottalm., IX (1879), pp. 273-291; Sul glioma della retina, ibid., X (1881), pp. 342-399; Sul xantellasma, ibid., XII (1883), pp. 71 s.; Cisticerco subretinico, ibid., XVII (1888), pp. 61-67; Cisticerchi oculari, ibid., XVIII (1889), pp. 382-398; La elettricità nella diagnosi di un cisticerco subretinico estratto dalla sclera, in Lavori d. Clin. ocul. di Napoli, VI (1899), pp. 39 ss.
In tutte queste ricerche il D. mise in luce doti di sagace semeiologo, per l'ideazione di un procedimento basato sull'energia elettrica; di abile operatore, per i risultati ottenuti; di appassionato ricercatore, per la connessa esplorazione della "struttura fine delle uova mature di tenia saginata". Ancora, condusse studi sulle oftalmopatie di origine vascolare, sulle deformità palpebrali elefantiasiche, sull'esoftalmo con particolare riferimento alla varietà pulsante, sulla patologia dei seni paranasali con reiterate segnalazioni di mucoceli frontali ed etmoidali, sulle anomalie congenite con copiosi esempi di ectopia del cristallino, microfachia, microftalmo, ecc.... Straordinaria fu poi l'abilità del D. nell'esercizio della chirurgia, in cui destrezza e ingegnosità esecutiva erano guidate da una precisa valutazione critica delle tecniche allora adottate o proposte, spesso ispirante agevoli e utili modificazioni. Ciò risaltò massimamente nelle blefaroplastiche, a volte ideate in base alla sua sensibilità artistica e fine intuito, come la marginoplastica e lo scorrimento in toto del moncone palpebrale. Prediligeva, per sani concetti biologici, i lembi peduncolati agli innesti liberi e fra questi, se indispensabili, i trapianti "alla Wolfe", per i quali era solito preparare accuratamente favorevoli letti di accoglimento. Meticoloso e previdente, come attestava l'uso consueto del motto sartoriale "cento misure e un taglio", stupiva gli astanti con prodigi di utilizzazione contemporanea di lembi cutanei e mucosi o di rifacimento del sacco congiuntivale con ampi tratti di mucosa vulvare o prepuziale, pratica poi caduta in disuso.
Degni di menzione sono pure i suoi tentativi di cheratoplastica, effettuati sia a scopo tettonico, in casi di fistola corneale, sia per ovviare alle opacità corneali (per le quali aveva già realizzato la pupilla artificiale con la sua iridotomia "a cielo aperto", più tardi rivendicata contro K. Schloesser e P. F. Lagrange), di cui praticava l'exeresi e riparava la perdita di sostanza con l'inserimento di lamine di vetro, sulla scia di J. N. R. von Nussbaum, G. Gradenigo, E. von Hippel, ecc. Tali impianti alloplastici erano allora operati in considerazione degli insuccessi registrati dai pionieri dell'eteroplastica, tra cui l'americano Kissam, propenso a servirsi delle cornee di maiale. I risultati che ne conseguivano, per i sopraggiunti processi infettivi o per l'espulsione reattiva di quelle "finestre", non erano però migliori. Del resto, ancora per molti anni non vi sarebbero state alternative valide all'impiego di quei mezzi malsicuri, forse anche per la difficoltà, durata fin quasi ai nostri giorni, di reperire lembi di cornea sana da occhi ciechi o da occhi di cadavere, utilizzabili con maggior fiducia nei trapianti omoplastici, per i quali inoltre mancavano mezzi antisettici e conservativi adatti. Il problema terapeutico del cheratocono non poteva non attrarre il D., che già da tempo nei convegni e nelle riviste scientifiche aveva suggerito numerose soluzioni: paracentesi e compressione, iridectomia, asportazione del cristallino, causticazione chimica o termocauterizzazione apicale, tentativi di eteroplastica, ecc., tra i quali diede la preferenza alla cauterizzazione galvanica, per ottenere un buon appiattimento cicatriziale, senza soverchi rischi.
Non meno complesse questioni si agitavano in tema di correzione chirurgica della ptosi palpebrale e particolarmente della forma congenita, per cui sempre nuove tecniche erano state introdotte a non lunghi intervalli di tempo. La difficile valutazione del potere attivo delle varie formazioni muscolari da prendersi in considerazione (oggi agevolata da precise indagini elettromiografiche) per la scelta del procedimento più idoneo al singolo caso, vincolante alla massima prudenza per l'imprevedibilità dei risultati estetici e funzionali, rendeva ogni tipo d'intervento affidabile soltanto all'esperienza di pochi. Quando nel 1897 dal francese E. Motais, seguito a breve distanza di tempo dal connazionale H. Parinaud, fu pubblicato l'ingegnoso metodo di correzione (con sì scarse differenze tra le due descrizioni da giustificare l'associazione eponimica), il D. non tardò a cimentarsi con esso in un buon numero di pazienti. La sua destrezza e una certa familiarità con quel procedimento, derivata dall'averne sperimentato uno analogo sul cadavere, tre anni prima, per porre rimedio a una ptosi traumatica, gli consentirono di ottenere risultati soddisfacenti. Non mancò tuttavia di muovere alla nuova tecnica qualche appunto, che offrì ben presto occasioni per numerose modifiche.
Al pari dei più illustri contemporanei, il D. seguì con passione l'evolversi dei concetti etio-patogenetici della malattia glaucomatosa, da tempo promossi da P. e A. Demours, con il riconoscimento del fondamentale aumento della tensione endobulbare, e accolti da W. Mackenzie nel proposto sussidio della sclerotomia, che ne impedisse il danno irreparabile. Erano seguite controversie non ancora sopite sull'origine di detta ipertonia, attribuita da alcuni a una aumentata secrezione dell'umore acqueo, come sembrava dimostrare l'efficacia -almeno nelle forme acute - dell'iridectomia di F. W. E. von Graefe, da altri a un suo ostacolato deflusso da combattersi con ripetute paracentesi. L'effetto ovviamente transitorio di queste poteva solo prolungarsi per l'incarcerazione nella breccia di tessuto irideo, che, nata da un'osservazione fortuita, divenne poi tecnica di elezione. L'ipotesi della preclusa eliminazione umorale, suffragata dai risultati ottenuti con le tecniche di sclerectomia filtrante del Lagrange e di R. H. Elliot, aveva finito per raccogliere il favore della maggior parte degli oftalmologi, compreso il De Vincentiis. Questi acquisì in tal campo il merito di aver intuito, e poi dimostrato, la possibilità di ristabilire il normale decorso dell'acqueo nel canale di Schlemm, rimovendo l'impedimento circolatorio con una incisione dell'angolo irideo. Non poteva logicamente disconoscersi a tale concetto il vantaggio di un più saldo substrato anatomofunzionale nel confronto con l'artificiosa via verso gli spazi sottocongiuntivali, imposta dalle precitate tecniche filtranti, non scevre oltretutto di pericoli settici postoperatori.
Dopo aver concesso al suo aiuto U. Tailor l'esposizione dei risultati sperimentali e dei primi casi clinici in una nota del 1891, ne precisò egli stesso i particolari di esecuzione e gli effetti pratici con una più ampia casistica al XIII congresso dell'Associazione oftalmologica italiana nel 1893 (Incisione dell'angolo irideo nel glaucoma, in Ann. di ottalm., XXII [1893], pp. 540 s.). Allo scopo aveva ideato uno speciale coltellino falciforme, tuttora in uso, con cui, percorso l'intero tragitto camerulare, incideva il tessuto angolare nel settore diametralmente opposto al punto di penetrazione. Questo secondo tempo, di evidente maggior rilievo, si effettuava in realtà un po' alla cieca, non essendo possibile seguire de visu il tagliente attraverso il tratto periferico della cornea, del tutto opaco. Ciò costituì per molti motivo di perplessità, se non di scetticismo, riflesso nell'animo dell'ideatore con turbamenti, appena alleviati dall'affettuosa solidarietà dei collaboratori, tra i quali N. Scalinci, autore dello studio istologico attestante il fine pienamente raggiunto. È peraltro verosimile, come ritiene G. B. Bietti (1967), che buona parte del discredito in cui quel metodo venne a cadere, sia principalmente imputabile al suo impiego generalizzato in ogni forma di glaucoma, mentre avrebbe dovuto riservarsi solo al trattamento del tipo congenito o infantile (idroftalmo), condizione che allo stesso promotore aveva dato completa soddisfazione in una notevole serie di interventi, ampliata, a breve distanza di tempo, da altrettanto lusinghieri successi ottenuti da altri operatori. L'opinione generalmente negativa su quell'indirizzo, sminuito da alcuni alla modestia di una semplice "sclerotomia interna", prevalse, comunque, finché non fu escogitato un mezzo di visualizzazione peroperatoria delle strutture angolari: una lente a contatto, adattata a scopo gonioscopico da M. Uribe-Troncoso (Gonioscopy and its clinical applications, in American Journal of ophthalmology, VIII [1925], pp. 433-49), consentì la reintroduzione di quel metodo operatorio, sul finire del primo trentennio del nostro secolo, da parte dell'ungaro-americano O. Barkan, il cui nome è così restato legato a quello del D., ove non l'abbia del tutto sostituito. È certo comunque che all'idea geniale dell'oftalmologo italiano sono ispirate oltre la goniotomia tutte le altre metodiche, come la gonioerisi, la goniotripsi, la trabeculo- e trabeculectomia, ecc., maggiormente adottate nella moderna chirurgia antiglaucomatosa.
Una gran parte delle pubblicazioni del D., di maggior rilievo clinico e scientifico, fu raccolta in tre eleganti volumi, Lavori in oftalmologia, editi a Napoli nel 1909.Il D. fu sociodi numerose società scientifiche e nel 1901 fu nominato professore onorario dell'università di Palermo. Nel 1886 era stato nominato cavaliere e nel 1900 commendatore della Corona d'Italia.
Morì a Napoli il 14 maggio 1904.
Fonti e Bibl.: Necrol. in Bull. d. R. Accad. medica di Roma, XXX (1903-04), pp. 305-316; Ann. di ottalm., XXXIII (1904), pp. 709-719; S. Sgrosso, Grandi figure dell'oftalmologia ital. dell'800, in Boll. d'ocul., XXXIX (1960), pp. 3-22; A. Pazzini, La medicina nella storia, nell'arte, nel costume, Milano 1971, p. 804; I. Fischer, Biographisches Lex. der hervorragenden Ärzte [1880-1930], II, p. 1621. Per le notizie riguardanti la chirurgia del glaucoma, si veda: G. B. Bietti, La goniotomia nell'idroftalmo e forme apparentate, in Boll. d'ocul., XI(1961), pp. 401 ss.; Id., La terapia chirurgica del glaucoma congenito, in Atti d. XLVII Congr. d. Soc. oftalm. ital., XXI (1963), pp. 45 ss.; Id., Indirizzi chirurgici preferenziali nel glaucoma infantile e giovanile, in Conv. sul glaucoma primario, Firenze 1967, pp. 367-91.