DE DOMINICIS, Carlo
Figlio del capomastro muratore Bartolomeo e di Anna Santa Aldini da Cesena (Gargano, 1971, pp. 85 s.), nacque a Roma il 26 febbr. 1696.
Studiò all'Accademia di S. Luca dove nel 1716 vinse il primo premio nel concorso Clementino di terza classe per una "Pianta e prospetto del portone del giardino de' signori Famesi..." (cfr. I disegni di architettura dell'Arch. storico dell'Accad. di S. Luca, Roma 1974, p. 12; ill. 302).
Allo stato degli studi, sua prima commissione pubblica risulta la tomba del cardinal Bichi in S. Agata dei Goti che è possibile datare a poco dopo la morte del cardinale nel 173 anche se è stata attribuita al D. solo dopo la pubblicazione della guida del Roisecco (1750, p. 581).
II trattamento libero di questo monumento, eseguito in stucco, non suggerisce una personale simpatia dell'artista per l'idioma classicistico dell'Accademia di S. Luca. In effetti negli anni tra il 1725 e il 1733 il D. collaborò con l'architetto più anticlassico della sua generazione: Filippo Raguzzini, architetto pontificio sotto Benedetto XIII e principale esponente del rococò a Roma; la facciata della piccola chiesa di S. Filippo Neri in via Giulia è stata altematamente attribuita ora al Raguzzini ora al De Dominicis. D'altra parte la vivace decorazione muraria, così diversa dalla omamentazione sobria delle facciate dei Raguzzini, rende più credibile la possibilità che ne sia autore il De Dominicis.
Meno sicura è la natura del contributo del D. alla chiesa dei SS. Bartolomeo e Alessandro dei Bergamaschi (S. Maria della Pietà. già appartenuta allo Spedale dei Pazzi) in piazza Colonna; i lavori di rinnovamento dell'interno iniziarono nel 1728 mentre la facciata fu eseguita tra il 1729 e il '31 (Gargano, 1973, pp. 88-92).
Pur conservando lo schema cinquecentesco, essa è assai originale per il timpano mistilineo che la conclude e soprattutto per il portale "adorno di due colonne alveolate sistemate diagonalmente rispetto alla parete di fondo... coronato da timpano spezzato entro cui si inserisce un ovale con La Pietà; nell'architrave della porta è un gruppo di Teste di serafini" (Guide rionali di Roma, Rione III, Colonna, I,Roma 1980, p. 30).
L'origine di tali particolari può essere spiegata in parte dalla frequentazione, in quegli anni, del Raguzzini, ma anche come prodotto del contemporaneo risveglio di interesse verso l'opera del Borromini il cui importante trattato, Opus architectonicum, fu pubblicato per la prima volta nel 1725.
Non c'è dubbio che il capolavoro del D. è la chiesa dei SS. Celso e Giuliano la cui costruzione è documentata negli anni 1733-35 (Segui-Thoenes-Mortari, 1966). Approfittando dell'occasione di progettare una struttura completamente nuova, il D. ideò una pianta ovale trasversa, con sette cappelle radiali.
La pianta è simile solo superficialmente all'ovale trasverso usato tre quarti di secolo prima dal Bernini in S. Andrea al Quirinale: il D., aumentando la grandezza delle cappelle, corrispondenti all'asse trasversale e a quello longitudinale o rituale, accentua deliberatamente ambedue questi assi, ottenendo così una sintesi tra ovale e croce greca allungata in certo senso simile a quella spesso attuata dagli architetti dei tardo Cinquecento. D'altra parte il conservatorismo del concetto spaziale è più che spiazzato dalla sensibilità dinamica della struttura tettonica e dalla felicità dell'omamentazione applicata.
Sorgendo da alti zoccoli, le lesene del primo ordine sono collegate attraverso gli aggetti della trabeazione con le nervature della volta sovrastante. L'ampia finestratura e il ritmo dei rilievi borromineschi in stucco sulla volta e l'accentuata elevazione rinforzano l'impressione di verticalità, e danno alla chiesa quell'atmosfera di ascensione mistica tipica dei tardo barocco. Grandi coretti sono disposti al di sopra delle quattro cappelle corrispondenti agli assi diagonali: così il suono della musica doveva vieppiù contribuire a questo effetto esaltante.
L'autore degli stucchi dell'interno doveva essere tra i più esperti nel genere del suo secolo: l'incomiciatura del lavabo della sacrestia, per esempio, è caratterizzata da ricchezza ed eleganza rare a Roma. Come gli stucchi contemporanei a Napoli, le forme curvilinee concepite liberamente e l'ornamentazione vegetale mostrano un disinteresse quasi totale per le regole che allora dominavano nell'Accadernia romana per l'uso degli ordini classici.
Il prospetto della chiesa praticamente domina la stretta via del Banco di Santo Spirito sulla quale si apre; suddivisa in due piani, segue il tipo del Gesù che dominava a Roma da più di centocinquanta anni. Ma il D. reinterpretò questo prototipo sulla linea del gusto rococò, basando alcuni dei suoi motivi, come già aveva fatto altrove, su modelli borrominiani quali le facciate di S. Carlino alle Quattro Fontane e dell'oratorio dei filippini. È interessante, a questo proposito, notare che in parte egli si ispirò senza dubbio anche ad alcuni dei progetti che nel 1732 furono presentati al concorso per la facciata di S. Giovanni in Laterano, ed è significativo che il D. preferì al progetto classicheggiante del vincitore, A. Galilei, quello più idiosincratico, rococò, di Ludovico Rusconi Sassi (Hager, 1971. fig. 14).
In un summarium dell'8 ott. 1739 "relativo a una tassa di miglioria per il riattamento di una chiavica terminata nel chiavicone della piazza di S. Giovanni dei Fiorentini" il D., definito "architetto dell'ospedale dei pazzi", è nominato insieme ai più importanti architetti del momento, F. Fuga, F. Raguzzini e F. Rosa (M. Tafuri, S. Giovanni dei Fiorentini…, in Via Giulia..., Roma 1973, p. 230).
Dopo SS. Celso e Giuliano fu affidata al D. la costruzione (1740-44) di S. Eligio dei sellai in piazza della Gensola a Trastevere (distrutta nel 1902; Si veda la fotogr. fig. 35, in Gargano, 1973; Fasolo, 1953, fig. 3).
La pianta di questa piccola chiesa, che si può descrivere come a croce greca allungata, conferma la preferenza del D. per la pianta centrale che avesse un accenno di orientazione; è presumibile che l'interno fosse più interessante e certamente più originale che quello di SS. Celso e Giuliano. La facciata può essere considerata tra i più felici esempi di rococò romano; anche se ormai il D. non aveva più rapporti di lavoio col Raguzzini, vi sono qui chiare reminiscenze, specialmente di S. Maria della Quercia: sono infatti comuni ai due edifici la facciata convessa, l'assenza di ornamento applicato e l'uso di una cornice flessa in luogo del più normale timpano.
Nei primi due decenni di attività il D. aderì completamente al gusto rococò, ma nel 1743 pare subire un cambiamento di inclinazione perché la semplice facciata "a tempio" della piccola chiesa di S. Salvatore alle Coppelle nel suo freddo classicismo è notevolmente profetica del neoclassicismo imminente (non è da escludere, d'altra parte, la possibilità che l'aspetto della chiesa sia stato cambiato in un rifacimento posteriore ma non documentato: Gargano, 1973, p. 104 n. 117). Le commissioni che il D. ricevette dopo il 1740 furono, per la maggior parte, di poca importanza e spesso sono documentate saltuariamente o non esistono più. Tra il 1740 e il 1742, in qualità di architetto della chiesa e del convenfo di S. Maria in Via, disegnò la balaustrata della cappella della SS. Trinità (Gargano, 1973, p. 101 n. 96), e costruì case in piazza Fiammetta nonché a Tor de' Conti. Nel 1743-44 il D. provvide ai disegni per l'elegante pavimento policromo della chiesa di S. Maria della Vittoria (ibid., p. 106 nn. 133-135) e nel 1745-47 riadattò la piccola chiesa medioevale di S. Orsola ai piedi del Campidoglio (ora distrutta) al cui interno rettangolare conferi un aspetto più centralizzato usando una volta ovale e ricostruendo l'alzato della navata (come si può rilevare dalla pianta di Roma di G. B. Nolli del 1748 al n. 99). Nel 1746 con F. Ferruzzi progettò il nuovo altar maggiore di S. Francesco a Ripa, dove forse disegnò la decorazione in stucco della cappella di S. Giuseppe. L'ultimo suo lavoro documentato (1745-51) fu per la chiesa e il convento del Bambin Gesù in via Urbana, mentre è solo su basi stilistiche che gli è stata attribuita la chiesa omonima di Sezie Romano (Gargano, 1973, p. 109).
Morì a Roma il 2 ott. 1758.
Il D. ebbe una immaginazione fervida e usò intelligentemente il vocabolario decorativo del Borromini più di mezzo secolo dopo la morte dei maestro. Insieme col suo contemporaneo F. Raguzzini collaborò alla formulazione dei temi basilari del rococò romano in architettura, anche se nei suoi ultimi anni egli sembra aver rifiutato questi modi decorativi in favore di quel gusto più classicheggiante che cominciava allora ad affermarsi in Europa.
Fonti e Bibl.: G. Roisecco, Roma antica e moderna, Roma 1750, pp. 210, 213, 316, 550, 581; F. Fasolo, Del Borrominismo a Roma, I, C. D., in Quad. dell'Istituto di storia dell'archit., 1953, 4, pp. 1-6; L. Salerno, Via dei Corso, Roma 1961, pp. 202-206; V. Vichi, Le chiese minori di Roma, SS. Bartolomeo ed Alessandro dei Bergamaschi, Roma 1955, passim; G. Segui-C. Thoenes-L. Mortari, SS. Celso e Giuliano, Roma 1966, ad Indicem; P. Portoghesi, Roma barocca, Roma 1966, pp. 355 s.; H. Hager, Il modello di L. Rusconi Sassi del concorso per la facciata di S. Giovanni in Laterano..., in Commentari, XXII (1971), pp. 36 s.; M. G. Gargano, C. D., in Storia dell'arte, 1973, 17, pp. 85-112; N. A. Mallory, Roman Rococo Architecture from Clement XI to Benedict XIV, New York-London 1977, pp. 130-44; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, IX, p. 05.