DE ANGELIS, Carlo
Nacque a Castellabate, in provincia di Salerno, il 26 luglio 1813 da Giuseppe e da Fortunata Forziati.
Il padre, morto il 10 settembre 1833, era stato acceso carbonaro, coinvolto nelle due rivolte del Cilento del 1820-21 e del 1828. Patriota e cospiratore, educò i figli, finché visse, al culto della libertà, inculcando nei quattro giovani Francesco, Giovanni, Carlo e Pompeo, insieme a un forte amor di patria, la vocazione alla resistenza, alla congiura e alla lotta contro il governo borbonico. Sicché si può affermare che tutta la famiglia De Angelis, originaria di Trentinara, stabilitasi poi a Castellabate, partecipò attivamente alle lotte cilentane per l'indipendenza e per l'unità della patria. I quattro fratelli subirono persecuzioni, carcere ed esilio ad iniziare dal 1842 fino al 1860, quando i Borboni furono definitivamente sconfitti e scacciati da Napoli e dal Regno.
Il D. occupa un posto preminente, nella famiglia e fra i fratelli, non solo perché fu più volte processato e subì una condanna a diciannove anni di carcere, ma anche perché era il più colto politicamente, come è dimostrato dal ruolo svolto, dalle responsabilità assunte e dalle relazioni intrattenute. Inoltre, con il libro di Memorie, pubblicate postume da M. Mazziotti (Roma - Milano 1908), ci ha dato non solo un vivo quadro dell'ambiente familiare, ma soprattutto una testimonianza diretta e drammatica della lotta dei Cilento e della larga: partecipazione ad essa dei Cilentani, gli abitanti della "terra dei tristi", come la regione veniva designata nei rapporti che i rappresentanti del governo inviavano alle autorità della capitale. Scritte con stile semplice, prive di retorica patriottica o letteraria, le Memorie recano un notevole contributo alla conoscenza dei fatti e delle persone, essendo emanazione diretta di un protagonista fattosi scrittore per lasciare un ricordo della lotta politica nazionale in una piccola zona del Mezzogiorno.
Compì i primi studi nel paese nativo, proseguendoli poi a Salerno e a Napoli. In queste due città ebbe modo di conoscere i primi patrioti e congiurati, intrecciando con loro un rapporto di intesa e di collaborazione. Poi entrò subito nell'azione contro fl governo borbonico. Condannati nel 1845 il D. ed i suoi fratelli Giovanni e Francesco a tre anni di esilio correzionale, l'anno seguente venivano assolti dalla Gran Corte criminale di Salerno per insussistenza dei fatti. Il governo allora, con una mossa mirante a neutralizzarli, nominò Giovanni medico di Castellabate, il D. cassiere del comune, e Pompeo, che era sacerdote, cappellano delle dogane. Ma i fratelli continuarono, se pure con maggiore cautela, nella loro opposizione.
Il ruolo del D. nell'organizzazione cospirativa si venne intensificando tra il 1845 e il 1847. Sembra che egli tenesse i contatti tra i patrioti del Cilento e i capi del movimento residenti a Salerno e a Napoli.
Non vi sono documenti che attestino tale compito, né il D. ne accenna mai nelle Memorie; ma il modo come si muove tra la terra nativa e le città di Salerno e di Napoli, i contatti continui che tiene con Poerio e gli altri capi, inducono a supporre tale ruolo. Assunse anche incarichi militari come ufficiale della guardia nazionale; senza partecipare a vere e proprie azioni di guerriglia, risulta però impegnato nell'organizzazione dei moti insurrezionali. Nel 1847 venne incaricato dal centro napoletano di contattare i patrioti del distretto di Sant'Angelo dei Lombardi in provincia di Avellino per concordare una simultanea azione insurrezionale o, quanto meno, per indurli a sostenere i Cilentani quando l'insurrezione fosse scoppiata. Dopo la concessione della costituzione, l'intendente di Salerno A. Saliceti lo incaricò di convincere le popolazioni cilentane circa la sincerità cosfituzionale del governo. In tale occasione il D. si rivolgeva ai proprietari e possidenti di Castellabate invitandoli a "dare una somma per sollevare le famiglie degli indigenti, affinché avessero potuto anch'esse festeggiare almeno per qualche giorno la costituzione" (Memorie, p. 32).
Alla vigilia dell'insurrezione del '48 il centro cospirativo napoletano aveva deciso che la rivolta iniziasse in provincia di Salerno e partisse proprio dal Cilento (G. Candeloro, Storia dell'Italia moderna,III, 1846-1848, Milano 1960, p. 128).
Non sappiamo se il D. abbia influito sulla decisione. Certo è che i Cilentani erano stati i primi nelle rivolte del 1820e del 1828, e il ricordo era sempre molto vivo anche per il sacrificio di sangue pagato. Del resto nel Cilento vi erano patrioti come C. Carducci, il D. stesso e i suoi fratelli, Leonino Vinciprova, Ulisse De Dominicis e altri, tutti della piccola borghesia radicale, che avevano un notevole Ascendente sulle popolazioni contadine della zona. Queste, fra le più sfruttate del Regno, vivevano in uno stato di perenne miseria, per cui erano sempre pronte a lottare, accogliendo le sollecitazioni dei patrioti radicali, per conquistare migliori condizioni di vita, e soprattutto ottenere l'assegnazione delle terre demaniali delle qualirivendicavano il possesso. Rivoluzione e costituzione, per loro, avevano un significato semplice e concreto: entrare in possesso delle terre che lavoravano e patire meno la fame.
Quando il 13 gennaio cominciarono a giungere le prime notizie della rivoluzione scoppiata in Sicilia, i patrioti cilentani, guidati da C. Carducci, decisero di dare fl via all'insurrezione, che ebbe inizio il 17, e con alcune piccole bande armate di Castellabate, Capaccio, Torchiara e Pollica marciarono su Vallo della Lucania. mettendo in fuga le autorità borboniche e i gendarmi della cittadina e dando vita ad un governo provvisorio. Le altre zone però, e i patrioti dei distretti di Sala e di Campagna, non si mossero, creando così un clima di incertezza e di sbandamento al punto che, quando il sovrano fece annunziare la concessione della costituzione, la notizia provocò non solo la paralisi del movimento rivoluzionario ma anche una grave lacerazione fra i patrioti, divisi tra favorevoli e contrari alla concessione sovrana.
Il D. non prese parte all'azione di Vallo della Lucania. All'annunzio della costituzione si trovava a Salerno, dove assieme agli amici e patrioti M. Pironti, M. Luciani, G. B. Bottiglieri e G. Mezzacapo organizzò subito una dimostrazione pacifica cui parteciparono alcune centinaia di persone. Mentre il corteo percorreva le strade principali venne contestato da alcuni dissidenti, ci fu uno scontro con i gendarmi, e diversi dimostranti rimasero feriti (Memorie, pp. 28 s.).
Dopo il fallimento dei moti il governo scatenò una feroce repressione, con arresti in massa di patrioti. Il D. sfuggì alla cattura rimanendo a lungo nascosto a Napoli, mentre i suoi fratelli riuscirono a raggiungere Roma dove era stata proclamata la repubblica. Il 28 sett. 1849, forse tradito da una spia, venne arrestato e rinchiuso nelle segrete della prefettura, poi in quelle di S. Francesco e di Castelnuovo. Condotto poi a Salerno nelle carceri, vi trovò il quarto fratello, Francesco, che vi era segregato fin dal luglio dell'anno precedente. Nel processo, cui i due furono sottoposti assieme a molti altri patrioti, Francesco venne prosciolto e il D. invece condannato a 19 anni di ferri.
Da quel momento iniziò, per lui come per tutti gli altri patrioti condannati, una lunga peregrinazione per i luoghi di pena: da Salerno al bagno penale di Nisida, poi a quello di Procida, a quello della darsena di Napoli, e ancora nelle carceri di S. Maria Apparente e del Carmine. In tutti i luoghi di pena nei quali veniva rinchiuso riprendeva a congiurare, tenendo viva fra i condannati la speranza nella vittoria finale. Pure gli altri tre fratelli pagarono il tributo di carcerazione alla reazione trionfante, anche se poi le loro condanne vennero commutate nella relegazione.
In occasione delle rozze del principe ereditario Francesco duca di Calabria venne decretata una amnistia. Molti condannati venivano però liberati a condizione di lasciare il Regno e recarsi nelle Americhe. Scopo era quello di allontanare dal Regno gli elementi più pericolosi, che in tanti anni avevano dimostrato tenacia inflessibile nei propositi di sovversione. Il D. fu tra i liberati con amnistia condizionata. Il 10 genn. 1859 venne imbarcato sulla corvetta "Stromboli", a bordo della quale si trovavano già C. Poerio e altri patrioti prelevati la sera prima dal penitenziario di Montesarchio. Da Nisida lo "Stromboli" salpò per Procida, dove fu fatto un altro imbarco di ex condannati; quindi fece tappa a Santo Stefano, dove salirono a bordo S. Spaventa e L. Settembrini, con altri patrioti rinchiusi in quel penitenziario. Fra questi era anche un vecchio rivoluzionario, Michele Aletta di Monte San Giacomo, condannato due volte alla pena di morte, due volte commutata in ergastolo. Il 19 febbraio la corvetta giunse a Cadice, e qui i deportati furono trasbordati sulla nave americana "David Stewart", noleggiata dal governo di Napoli per il viaggio verso New York. In mare, gli esuli protestarono con il comandante della nave S.G. Prentiss: non erano schiavi, ma patrioti che lottavano per il proprio paese, e non intendevano affatto andare in America. Il capitano, persuaso, invertì la rotta e il 6 marzo approdò a Cork in Irlanda, sbarcandovi i deportati, che attraversarono l'Inghilterra accolti dovunque con manifestazioni di simpatia e solidarietà. A Londra il D. prese contatto con Mazzini, conobbe A. Saffi e R. Pilo, e fra gli esuli stranieri strinse rapporti con L. Kossuth e A. Ledru Rollin. Sbarcato in Francia, dopo una breve sosta a Parigi, giunse l'8 maggio 1859 a Torino, dove la popolazione era in festa per la vittoria riportata contro gli Austriaci. Saputo che a Rivoli si trovava il fratello Giovanni, vi si reco per riabbracciarlo; raggiunta poi Milano, vi si fermò per riprendere i contatti con i numerosi patrioti meridionali che vi si trovavano. Il 4 apr. 1860, scoppiata la rivoluzione in Sicilia, il D. venne chiamato a Genova per collaborare alla preparazione della spedizione garibaldina. Decisa l'operazione, venne incaricato da Garibaldi di recarsi a Firenze, per prendere contatto con F. De Blasiis e F. Berardi e per sondare l'offinione dei numerosi esuli abruzzesi li presenti. Il risultato fu negativo, e rientrò a Genova per riferire. La spedizione fu perciò rinviata; quando però ebbe luogo, il D. rimase a Genova. Giunta la notizia dell'amnistia, si affrettò a partire invece per Napoli, assieme allo Spaventa e a numerosi altri esuli; vi giunse il 16 luglio 1860, e alcuni giorni dopo partì per Salerno raggiungendo poi il Cilento dove fu accolto con grandi manifestazioni. A Castellabate organizzò subito una colonna di guardie nazionali per controllare la situazione al passaggio di Garibaldi, e con essa attraversò diversi paesi scendendo nel Vallo di Diano. Mentre si trovava a Polla gli giunse la notizia che Garibaldi, il 7 settembre, era entrato a Napoli; con la sua colonna si affrettò a raggiungere Salerno. dove incontrò i vecchi amici patrioti e Beniarnino Marciano che era stato incaricato dal Comitato di Napoli di organizzare l'insurrezione assieme ai capi patrioti del luogo, in vista dell'arrivo di Garibaldi dalla Calabria.
Sconfitti definitivamente i Borboni, il D. fu invitato ad entrare nell'amministrazione del nuovo Stato. Il 21 ott. 1860 venne nominato vicegovernatore di Campagna; nel luglio del 1861 divenne sottoprefetto di Lagonegro, e successivamente di Tempio Pausania, poi di Cotrone Bruno in provincia di Catanzaro, quindi consigliere di prefettura a Genova, e poi ancora a Bari. Rimase nell'amministrazione degli Interni fino al 1879 quando, a sua richiesta, venne collocato a riposo. Si ritirò nella casa di campagna in San Marco di Castellabate, dove riprese a scrivere le memoriesulla scorta degli appunti che aveva fissato sulla carta durante gli anni turbinosi della sua vita.
Morì in San Marco il 5 sett. 1899.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Salerno, Fondo Gran Corte Criminale, bb. 254-349 (relative ai processi politici del 1848); Ibid., Fondo Gran Corte Speciale, b. 119, vol. 15; Pozzuoli, Archivio della direzione del Bagno penale, n. 7507; Archivio privato della famiglia De Angelis (sommariamente ordinato, contiene copie di atti processuali e documenti vari riguardanti soprattutto il D.; è conservato nella casa di Paolo De Angelis in via S. Pasquale a Chiaia n. 83, Napoli); La Guida del popolo, 16 marzo 1848, p. 29; M. Mazziotti, C. Carducci ed i moti del Cilento nel 1848, 1, Roma-Milano 1909, pp. 74, 80 n., 97 n., 119 s., 123, 163; Id., La provincia di Salerno nel Risorgimento italiano, Salerno 1912, pp. 22, 24; E. Cavallo, Stralci dal 1848 rivoluzionario cilentano, Napoli 1948, pp. 39, 47 s., 53, 57; F. Della Peruta, Aspetti soc. del '48 nel Mezzogiorno, in Il 1848, a cura di G. Manacorda (Quad. di Rinascita, I), Roma 1948, p. 94; L. Cassese, Giacobini e realisti nel Vallo di Diano, in Rass. stor. salern., X (1949), 1-4 (ora in Scritti di storia meridionale, Salerno 1970, pp. 184, 228, 369); G. De Crescenzo, Diz. salernitano di storia e cultura, Salerno 1949, ad vocem; Id., L'epopea garibaldina del 1860 nelle memorie salernitane, Salerno 1960, pp. 39, 52; Diz. del Risorgimento naz., II, pp. 846 s.