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CARLO da Motrone

di Stanislao da Campagnola - Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 20 (1977)
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CARLO da Motrone (al secolo Giusto Grotta)

Stanislao da Campagnola

Nato il 4 febbr. 1690 a Motrone (Lucca) da Mariano e da Domenica Guidi, frequentò dapprima la scuola o il gymnasium dello zio don Pellegrino Grotta, presso la parrocchia di S. Giusto. Dopo la morte del padre vestì l'abito cappuccino nel convento di Palanzana (Viterbo) il 7 nov. 1709, compiendo la formazione filosofica e teologica parte a Bagnoregio e parte a Roma, nel convento della Concezione. La sua ordinazione sacerdotale dovette avvenire verso il 1717, al termine degli studi, ma poco si sa della sua prima attività. Una cronologia sicura si può stabilire solo a partire dal 1722, da quando cioè lo troviamo quaresimalista prima nella Sabina, poi in Toscana e nella Ciociaria. Nel 1725 era tra i sei o sette addetti all'assistenza religiosa dei galeotti e del personale della flotta pontificia del porto di Civitavecchia.

Affidata ai cappuccini della provincia romana da Innocenzo XI col breve Cum nos spiritualem del 15 maggio 1684, tale cura era svolta seguendo un regolamento dettato dal tesoriere Lorenzo Corsini, il futuro Clemente XII. Appoggiandosi a un ospizio eretto sul porto presso l'ospedale di S. Barbara, essa comportava l'istruzione e l'assistenza religiosa sulle navi, sia ancorate in darsena sia in crociera, impegnate, in occasione dell'anno santo del 1725, a mantenere sicure le coste italiane, tra il Gargano, Malta, Ventotene e il Circeo, dagli attacchi barbareschi.

La permanenza di C. su quell'"inferno portatile", tra soprusi e ladronecci di ufficiali, spietatezze efferate di aguzzini e brutali violenze di forzati, non si protrasse oltre il 1726, quando, nominato guardiano del convento di Gallese, vi rinunciava pochi mesi dopo. Tra il 1733 e il '34 lo ritroviamo guardiano del convento di Farnese, ma dopo tale esperienza la sua rinuncia alle cariche fu definitiva. Tutto il suo impegno fu rivolto invece alla predicazione come missionario apostolico, in ambiti prevalentemente popolari, continuando l'opera dei confratelli Antonio da Olivadi e Angelo d'Acri e affiancando quella di Leonardo da Porto Maurizio, di Alfonso Maria de' Liguori e di Paolo della Croce, al quale fu talvolta preferito.

Sembra che C., pur continuando a tenere annualmente i suoi quaresimali soprattutto nel Lazio e in alcune isole del Tirreno (Giglio, Ischia), iniziasse la sua carriera di missionario apostolico solo dopo l'esperimento fatto sulle galere pontificie; comunque non oltre il 1726. Tale ufficio, da lui disimpegnato secondo un metodo che richiama quello di Leonardo da Porto Maurizio, richiedeva una somma di privilegi papali, connessi soprattutto con l'autorizzazione di confessare, che solo con discrezione venivano accordati. In possesso di una buona preparazione dottrinale, dotato di facile comunicativa, di vita austera in un fisico prestante e resistente alla fatica, il C. passò così, con un gruppo di collaboratori, attraverso gran parte dei paesi del Lazio e in non pochi della Toscana, dell'Umbria, del Regno di Napoli, tenendo missioni popolari, favorito dalla stima e dall'amicizia di cardinali e di vescovi; particolarmente dei cardinali Raniero Simonetti, Giacomo Oddi, Francesco Barberini, Federico Marcello Lante Della Rovere.

Non essendo pervenuto alcun suo manoscritto o stampato (il grosso volume di Parigi, Bibl. naz., H. 788, non contiene che sommari concernenti la causa di beatificazione), i titoli e i pochi frammenti delle prediche di cui disponiamo non permettono un giudizio sulla sua oratoria. A questa carenza suppliscono solo in parte le testimonianze di contemporanei, attestanti che essa, avvalendosi di un apparato coreografico-penitenziale di stampo secentesco e premendo principalmente sul timore, non ometteva di trattare del "piccolo numero di coloro che si salvano", d'inculcare l'"uniformità della morale", di inveire contro le affrettate assoluzioni penitenziali. Sollecitate, o in ogni caso raccolte, quando in Roma i cenacoli giansenisti e antigesuitici erano più che mai organizzati, tali voci potrebbero apparire viziate, se non si tenesse conto di tutto il filone rigorista e antiprobabilista della predicazione cappuccina, oltre che dell'indirizzo teologico-morale dell'Ordine. I grandi temi della Passione di Cristo, dell'eucaristia, della confessione, della Vergine, nonché la sensibilità sociale a favore degli umili (scontata, ma sempre significativa, la denuncia che i mali morali del popolo dipendono anzitutto dall'ignoranza) palesano tuttavia in lui una sostanziale fedeltà alla tradizionale predicazione cappuccina, di tipo popolare, in vigore nella prima metà del sec. XVIII.

Probabilmente proprio per questo, mutati i tempi, la sua predicazione incontrò incomprensioni e ostilità da parte dei suoi compagni di attività e dei suoi stessi discepoli che, un anno prima della morte, riuscirono a fargli interdire ogni forma di predicazione con un provvedimento mortificante, revocato tuttavia dal ministro generale Paolo da Colindres pochi mesi prima che un colpo apoplettico gli stroncasse la vita, il 28 aprile 1763, mentre predicava in Viterbo.

Il decreto d'introduzione della causa di beatificazione, firmato da Pio VI, fu pubblicato il 23 febbr. 1782.

Fonti e Bibl.: Una recens. completa delle fonti e della bibl. si ha in Mariano da Alatri, Il ven. C. da M. (1690-1763)e le sue missioni popolari, in Collectanea franciscana, XXVI(1956), pp. 251-65, 373-420.

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