CASTELNUOVO, Carlo Cottone marchese di Villahermosa e principe di
Nacque a Palermo il 30 sett. 1756 dal principe Gaetano e dalla contessa Lucrezia Cedronio. All'interesse sociale e politico fin da giovane fu sollecitato dalla stessa attività del padre che, quale vicario, e visitatore generale dei regi "caricatori", si fece iniziatore di numerosi progetti di riforme intese alla realizzazione di un maggiore controllo da parte del governo su quei pubblici depositi di grano contro gli arbitri e le speculazioni baronali. Ma agirono sulla sua formazione in modo maggiore l'attività riformatrice del viceré Caracciolo e poi gli echi della Rivoluzione francese dell'89. A metà degli anni '90 il C. comincio a nutrire avversione contro la politica autoritaria e accentratrice del governo di Napoli, che tanto più gli appariva lesiva degli interessi della Sicilia in quanto intesa ad eliminare le tradizionali prerogative e, quindi, a rafforzare l'assolutismo, togliendo all'isola ogni garanzia autonomistica.
Successo nel 1802 al padre nel diritto di far parte del braccio baronale, partecipò al Parlamento convocato nel marzo di quell'anno (quando la famiglia reale era sul punto di ritornare nella sede di Napoli), per votare, fra l'altro, un donativo annuale di onze 150.000 per il mantenimento a Palermo della corte di un principe reale. Grande fu la delusione quando il re, partendo, nominò quale suo rappresentante nella capitale dell'isola l'ottuagenario arcivescovo D. Pignatelli.
Profittando della pace di Amiens, il C. intraprese un viaggio d'istruzione in Italia, Francia e Inghilterra, interessandosi soprattutto all'attività industriale e agli istituti filantropici, come si rileva dagli appunti del suo Giornale di viaggio (La Lumia, p. 400).
Allorché la corte borbonica fu costretta, nel 1806, a rifugiarsi per la seconda volta in Sicilia, il C. nutriva già una certa avversione verso il re, comune del resto a tutto il baronaggio isolano il quale, diversamente che nel 1798, non nascose il suo risentimento per il numeroso corteggio di favoriti, di impiegati e di funzionari che quello portò con sé dalla terraferma. Passata per di più l'isola sotto la tutela della flotta inglese operante nel Mediterraneo secondo i trattati del marzo 1808 e del maggio 1809, ed essendo state conseguentemente occupate le maggiori fortezze da nuovi stanziamenti militari inglesi, crebbero gli aggravi economici e con questi il malcontento dei Siciliani che non sapevano spiegarsi perché si dovesse spendere tanto denaro per riacquistare un Regno, che, riunito nella medesima corona, avrebbe ridotto l'isola nella dura condizione di una provincia (Balsamo, Memorie segrete..., p. 52). Tutto questo allontanò sempre più dalla corte il C., il quale negli ambienti vicini al re si ebbe pertanto la taccia di "giacobino".
Il contrasto con la Corona, che ebbe il suo punto nevralgico sul piano finanziario, divenne aperto nel Parlamento del febbraio 1810, allorché il Medici, ministro delle Finanze, propose un nuovo donativo straordinario di 360.000 onze all'anno. Fu allora presentato dal Balsamo, con l'appoggio del C. e del principe di Belmonte, un progetto che prevedeva invece una più equa ripartizione del carico tra le varie classi sociali, con l'introduzione di un'imposta unica sui beni immobili, senza alcuna distinzione di persone. Lo stesso C. chiese inoltre d'imporre alla Deputazione del Regno l'obbligo di rendere pubblico il rendiconto dei suoi atti relativi all'attuazione del nuovo sistema finanziario (ibid., pp. 55 s.).
Il C. fu ancora uno dei maggiori organizzatori della famosa "protesta" presentata alla Deputazione dei Regno contro i tre editti governativi del 14 febbr. 1811.
Questi ultimi erano di capitale importanza per l'economia dell'isola: con il primo erano stati dichiarati della Corona i beni della Chiesa e dei comuni; con il secondo essi erano stati messi in vendita, fissando financo la "lotteria"; con il terzo era stato imposto il "dazio" dell'1% sul valore di tutti i pagamenti di qualunque specie che si sarebbero fatti per pubblica o per privata scrittura. La "protesta" assunse perciò il carattere di una vera e propria dichiarazione di guerra, provocando una non meno vivace controdichiarazione. Con questa, secondo quanto era stato concordato negli ambienti della corte tra i fedelissimi del re, venne infatti affermato che con quegli editti, diversamente da come era stato ritenuto dai nemici della Corona, non sarebbero stati per niente menomati gli interessi e i tradizionali privilegi dell'isola.
Nello stesso tempo, venne disposto l'arresto dei promotori della "protesta", sicché anche il C., insieme con altri quattro dei quarantatré baroni che l'avevano sottoscritta, fu arrestato il 20 luglio 1811 e deportato a Favignana. Venne liberato il 20 genn. 1812 grazie all'intervento di lord Bentinek, che, ministro plenipotenziario dell'Inghilterra in Sicilia e comandante di tutte le forze britanniche nel Mediterraneo, era giunto nell'isola il 23 luglio.
Il Bentinck si adoperò inoltre per una conciliazione dei baroni con la Corona. Per facilitarla venne concertato che il re Ferdinando, adducendo motivi di salute, nominasse suo vicario il figlio Francesco, il quale, nella ricomposizione del governo, chiamò a fame parte anche il C. quale ministro delle Finanze. Per sollecitazione dello stesso Bentinck si cominciò anche a parlare più insistentemente della necessità di un nuovo ordinamento organico per la Sicilia. Il C. avanzò la proposta, condivisa peraltro dal Belmonte e dal Bentirick, di presentare al Parlamento un progetto di costituzione già pronto: ciò per evitare tergiversazioni e lungaggini. L'intento era, se non proprio di allargare, almeno di conservare sotto nuova forma, adeguandoli ai tempi, i tradizionali poteri del baronaggio.
Anche la parte più innovativa della costituzione, che doveva portare all'abolizione della feudalità, fu invece osteggiata e modificata dai baroni e dalla frazione del partito costituzionale che faceva capo al Belmonte con gli articoli votati la notte del 19 luglio: i beni feudali vennero trasformati in beni allodiali, assicurando al baronaggio una nuova preminenza che avrebbe arrecato una grave remora al processo di rinnovamento del paese. Si mantenne infatti una classe di proprietari latifondisti che continuarono a condurre la loro proprietà nei modi tradizionali, perpetuando di fatto i sistemi feudali. Il C. avrebbe voluto invece, con l'abolizione dell'istituto dei fidecomesso, che in Sicilia si creasse un più articolato ceto di proprietari, liberi da ogni vincolo feudale, secondo il modello inglese; egli era insomma per una riforma più radicale e quindi tale che fosse "anche incentivo alle industrie e al commercio.Ciononostante, anche in questa forma, il testo costituzionale incontrò l'opposizione dei, baroni, che fomentarono una serie di disordini, soprattutto dopo che il 9 febbr. 1813 il C., con un decreto, rendeva esecutiva la parte della costituzione riguardante l'eversione della feudalità. Di fronte all'azione sempre più pericolosa dei controrivoluzionari, che intendevano appoggiare un colpo di Stato tendente a rovesciare il principe Francesco e a rimettere sul trono Ferdinando, il C., ormai in pieno disaccordo anche con il Belmonte, fu costretto a un'alleanza sempre più salda con l'ala radicale del partito costituzionale, benché egli fosse profondamente diffidente nei confronti del sistema democratico (era convinto che "la massima parte degli uomini di una società, e particolarmente di una poco colta, o civilizzata quale è la Sicilia, sono nati per ubbidire, e lungi dal doversi mischiare, non devono quasi sapere i saggi ed utili regolamenti che si fanno per lo miglioramento del loro stato": Balsamo, Memorie segrete, p. 60, cit. in Sciacca, pp. 125 s.).
Nelle prime elezioni politiche della tarda primavera del 1813, il C. seppe garantire un'effettiva libertà nell'esercizio del voto, ma non riuscì a rafforzare la sua posizione con un cospicuo numero di deputati a lui favorevoli nella Camera dei Comuni: egli infatti, contrario alla creazione di veri e propri partiti, finì per favorire il successo di candidati del partito democratico, organizzato in modo efficiente.
La posizione del governo, già critica per la difficile situazione dell'ordine pubblico, peggiorò quando nel luglio si aprì il nuovo Parlamento. Entrato in disaccordo con i democratici e incapace di riallacciare un'alleanza con i belmontisti, il C. represse con eccessiva durezza una sommossa popolare avvenuta a Palermo il 19 luglio 1813; avrebbe voluto far sciogliere il Parlamento, ma non sorretto dal vicario né dagli Inglesi, osteggiato da una larga coalizione di avversari fu costretto a dimettersi (28 luglio 1813); fu perfino accusato di aver pagato somme a Bentinck "col fine di accattare suffragi in Londra" (La Lumia, p. 430), e invitato quindi a rendere i conti della sua amministrazione. Per alcuni mesi egli rimase nell'ombra, pur rimanendo tra i politici più influenti.
Ritornato nell'isola nell'ottobre 1813, il Bentinck destituì il ministero "realista" che faceva capo al Ferreri, sciolse il Parlamento e nella primavera del 1814 fece tenere nuove elezioni, che dettero una piena vittoria ai costituzionalisti, in maggior parte del Belmonte. Il C. già allora andava ripiegando verso posizioni sempre più conservatrici: questo suo nuovo orientamento andò accentuandosi dopo la morte del Belmonte, avvenuta a Parigi nell'ottobre 1814, e le quasi contemporanee nuove elezioni che dettero una piena vittoria ai democratici. Il C. capeggiò allora quel troncone del partito costituzionale che si accostò all'aristocrazia conservatrice, con un programma che prevedeva il rafforzamento delle prerogative del Consiglio di Stato e della Camera alta.
Un'eco della Carta francese del 1814 intanto era giunta anche in Sicilia, dove perciò cominciarono a circolare vari progetti di riforma della costituzione del 1812 secondo lo spirito della Restaurazione, cioè togliendo alle Camere l'iniziativa legislativa che veniva riservata al governo. Con questa intenzione il re, che aveva ripreso i suoi poteri, affidò ad una commissione il compito di riformare la costituzione siciliana, nominando tra i suoi diciotto membri anche il C. (maggio 1815). Questa commissione lavorò sulla base di un documento, detto delle "trenta linee", ispirato alla Charte e sostenuto dagli ambienti di corte. Il C., benché in esso vi fossero affermazioni vicine alle sue idee, dopo un vivace scontro con il re, decise di opporvisi in quanto scorgeva nelle nuove "basi" non un progetto di riforma della costituzione del 1812, ma un tentativo di distruggerla completamente. Ma ormai le decisioni del congresso di Vienna e la partenza di re Ferdinando per Napoli avevano sancito la fine del Regno di Sicilia.
Vedendo così venir meno definitivamente ogni possibilità di attuazione del suo piano politico, il C. si ritirò da ogni pubblica attività, attendendo a privati interessi. Comunque, nel desiderio di giovare al paese promuovendo il miglioramento delle conoscenze e pratiche agrarie, secondo la tradizione iniziata dall'amico Balsamo, pensò alla fondazione di un istituto che a tal fine fornisse gli elementi necessari. In seguito non sentì neppure di partecipare alla rivoluzione del '20, malgrado fosse stato tra i primi chiamato a far parte della Giunta provvisoria. Né mai si allontanò da Palermo, dove morì il 29 dic. 1829.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Palermo, Real Segreteria, Incartamenti, busta 3404; Ibid., Fondo Fitalia, busta n. 70 (progetto di riforma della costituz. del 1812 attribuito al C.); busta n. 71 (sunto dell'abboccamento tra il C. e A'Court, intorno alla riforma della costituz. del 1512, pubbl. dal Bianco, pp. 379 s.); busta n. 77 (progetto per la riforma della costituz. di Sicilia dopo il congresso di Vienna); Ibid., Real Segreteria, Incartamenti, anni 1816-1820 (sui rifiuti opposti dal C. dopo il 1816 alla corte di Napoli); Palermo, Bibl. comunale, CXXXVI-H-52, n. 10: C. Cottone principe di Castelnuovo, Conti del pubblico patrimonio di Sicilia, Palermo 1813 (ms.); Cronica di Sicilia (Palermo), dal 2 sett. 1813 al 4 febbr. 1814; Giornale patriottico (Palermo), dal 19 nov. 1814 al 27 dic. 1816; G. Gorgone, Considerazioni di anatomia e fisiologia patologica dei risultamenti dell'autopsia cadaverica del signor C. C., principe di Villarmosa e di C., Palermo 1830; Regolamento provvisorio per l'Istituto agrario dei Colli, fondato dal principe di C., approvato da S. R. M. con decreto del 16 luglio 1847, Palermo 1847; N. Palmeri, Saggio storico e politico sulla Costituzione del Regno di Sicilia, a cura di anonimo (M. Amari), Losanna 1847 (2 ediz., con introduzione di E. Sciacca, Palermo 1972), passim;P. Balsamo, Mem. segrete sulla ist. mod. del Regno di Sicilia, Palermo 1848 (2 ediz., a cura di F. Renda, Palermo 1969), passim;I. La Lumia, C. C. principe di C., Firenze 1872; F. P. Perez, Per l'inaug. della statua di C. C. ... il 25 marzo 1873.., Palermo 1873; G. Bianco, La Sicilia durante l'occupaz. inglese, Palermo 1902, pp. 119, 176 e passim; A. Capograssi, Gli inglesi in Italia - Lord W. Bentinck, Bari 1949, pp. 196 s. e passim;R. Romeo, Il Risorg. in Sicilia, Bari 1950, pp. 126-40; J. Rosselli, Lord William Bentinck and the British occupation of Sicily, 1811-1814, Cambridge 1956, pp. 170-79 e passim;G. Falzone, Il giornalismo e le altre forme pubblicistiche in Sicilia durante il periodo napoleonico, in Annali della Facoltà di Magistero dell'univers. di Palermo, III (1961-62), pp. 94-105; F. Renda, La Sicilia nel 1812, Caltanissetta 1963, ad Ind.;E. Sciacca, Riflessi del costituzionalismo europeo in Sicilia (1812-1815), Catania 1966, ad Indicem. Per altre indicazioni sulla crisi del 1812-1815, cfr. F. Brancato, La Sicilia, in Bibliogr. del Risorg. in onore di Alberto M. Ghisalberti, II, Firenze 1972, pp. 335-38.