CONTARINI, Carlo
Figlio di terze nozze di Domenico, del ramo contariniano di S. Polo, e Francesca Maria Balbi, nacque a Venezia il 21 maggio del 1732. Una normale carriera all'interno delle magistrature minori lo segnalò nella seconda metà dei secolo tra i più inquieti esponenti della nuova generazione patrizia, ansiosa di opporre qualche rimedio al progrediente declino della Repubblica. Giovane alle prime esperienze politiche assisté neutrale, ma attento, al tentativo dì "correzione" del 1761, quando Angelo Querini tentò di riportare a pienezza di poteri la magistratura dell'Avogaria di Comun con lo scopo di riequilibrare l'esercizio del potere all'interno dell'oligarchia dominante. Intorno al 1779 un gruppo di nobili scontenti dell'apatia e immobilismo dei vertici dello Stato cominciò ad incontrarsi, un po' pubblicamente un po' in segreto, in casa di Candiano Bollani, per progettare "riforme" nell'apparato dello Stato e nella compagine stessa dell'aristocrazia.
Giorgio Pisani diventò ben presto il leader riconosciuto di questo "partito" dai contorni un po' confusi ed ambigui, che nel giro di un biennio cercò di smuovere le morte acque della politica interna veneziana. Il Pisani e il C., che emerse ben presto come uno dei protagonisti più attivi ed irruenti della cosiddetta "congiura", si posero a capo dei diffuso malcontento della nobiltà più povera, cui fecero balenare una ristrutturazione economica e politica dello Stato a svantaggio del ristretto gruppo di grandi famiglie che, al di là dell'ampio ventaglio di cariche in cui si articolava la macchina della Repubblica, detenevano di fatto il potere, grazie soprattutto al controllo pressoché esclusivo di alcune magistrature chiave, come il Consiglio dei dieci e gli inquisitori di Stato.
Già il 5 maggio 1779 in un vibrante discorso il C. denunciò l'irreparabile dissoluzione di tutti i corpi della Repubblica e chiese l'istituzione di una nuova magistratura di "correzione" incaricata di presentare al Maggior Consiglio proposte innovative in materia di educazione dei nobili, amministrazione degli ospedali e dei luoghi pii, spese e tasse nei reggimenti di Terraferma. La proposta in questo momento venne respinta ma il 1°dicembre dello stesso anno il C. ritornò alla carica con una veemente requisitoria in Maggior Consiglio in cui illustrò l'abbandono in cui giacevano le strutture dei i lo Stato, lamentò il carovita, il lusso, le malversazioni, la confusione universale; particolarmente scandaloso, a suo parere, l'avvilimento in cui era caduta una parte del ceto nobile che ormai neppur si distingueva da qualsiasi "vil persona dei volgo". Nel frattempo Giorgio Pisani propose un vero e proprio piano di "riforme" che fece circolare in via informale tra i patrizi e che prevedeva tra l'altro assegnazione alle giovani patrizie di doti, aumento degli stipendi dei Quaranta e di altri Collegi, concessione di stipendi e donativi per alcune cariche in Terraferma e all'estero, fissazione di un'uniforme per i nobili al fine di distinguerli dai plebei. Era evidente in queste proposte il tentativo di coagulare il malcontento, l'ambizione e la sete di denaro della nobiltà più povera in un progetto di riforma dello Stato di segno nettamente reazionario e antipopolare, senza neppure alcuna concessione alle istanze della nobiltà di Terraferma da sempre esclusa dal potere politico.
Il Pisani e il C., incoraggiati da due voti favorevoli in Maggior Consiglio, ottennero alcuni effimeri successi nella primavera del 1780: il primo venne nominato procuratore di S. Marco (8 marzo), il secondo venne eletto tra i cinque correttori incaricati di presentare proposte in materia di viveri, costumi dei nobili, riforma del ministero, ma la sua elezione venne annullata con l'accusa di broglio. Il Pisani e il C. accusarono subito la Signoria di aver occultamente preparato il broglio per riversarne la responsabilità sul gruppo degli innovatori: in effetti questo episodio segnò l'inizio della rapida controffensiva dell'oligarchia dominante che già da tempo attendeva il momento opportuno per disfarsi del "partito" Pisani.
Sin dal maggio del 1780 gli inquisitori di Stato spiavano regolarmente le mosse dei Pisani e del C.: essi costituivano ormai "un partito preponderante di torbidi cittadini" che mirava "con palliate forme a promuovere delle novità turbative et alternanti l'aristocratica forma del nostro governo". Dopo lo "scandalo" del broglio elettorale il Consiglio dei dieci "consapevole anche delle ree conventicole e private adunanze di molti patrizi dei sedotto partito e della sfrenata loro licenza di parlare persino nelle pubbliche botteghe dei più essenziali pubblici affari, spogli d'ogni disciplina e riguardo", delegò agli inquisitori di Stato gli opportuni provvedimenti per rendere inoffensivi i capi di questo partito e "dare un esempio che vaglia ad incutere un giusto timore nei cittadini mal intenzionati, per contenersi nella dovuta disciplina e moderazione" (Bazzoni, pp. 30 s.).
Il 30 maggio del 1780 Giorgio Pisani e il C. vennero arrestati e dopo un rapido sommario processo condannati rispettivamente a cinque e a due anni di relegazione; il 29 settembre la pena venne aumentata di cinque e di tre anni perché ambedue riconosciuti colpevoli di corruzione elettorale. Giorgio Pisani venne rinchiuso nel castello di S. Fermo di Verona mentre il C., spedito nel ben più insalubre esilio di Cattaro, morì qualche mese dopo (il figlio avanzerà anche l'ipotesi di un avvelenamento).
Singolare fu il destino di questi due "riformatori" dopo la caduta della Repubblica. All'arrivo nel Veneto delle armate di Napoleone Giorgio Pisani, che gli inquisitori non erano riusciti a far trasferire intempo a Venezia, tentò un'impossibile rentrée politica, presentandosi come vittima del cessato governo e paladino delle nuove municipalità democratiche, ma incontrò subito l'ostilità dei Francesi e degli italiani filogiacobini e venne rapidamente emarginato da qualsiasi carica. Ancora più patetica ed anacronistica la vicenda post mortem del C.: caduta la Repubblica, durante i brevi mesi della municipalità democratica, i rancori dei membri del "partito" Pisani contro gli inquisitori di Stato responsabili della loro rovina si scatenarono in una pioggia di pamphlets intrisi di acri risentimenti personali malamente ammantati di ideali "democratici". Anche il figlio del C., Domenico, scese in campo con un libello dal tono fazioso e risentito in cui, dopo iI doveroso omaggio al "sommo" e "unico" Bonaparte che aveva portato la libertà sulle lagune, dipingeva il padre come un eroe dei nobili poveri e di tutto il popolo afflitto dal "dispotismo" e vittima innocente del "giogo crudele di una degenere oligarchia". Gli enormi problemi della neonata municipalità e poi l'arrivo degli Austriaci spensero rapidamente queste polemiche: resta oggi un giudizio storico che accredita al C. non impensabili velleità "democratiche", ma un coerente, anche se ormai tardivo, progetto di "restaurazione" aristocratica all'interno della vecchia costituzione della Repubblica veneta.
Fonti e Bibl.: Venezia, Bibl. Querini Stampalia, ms. cl. IV, cod. 432: Memorie della correzione 1780 scritte da Piero Franceschi segretario della medesima;Ibid., ms. cl. IV, cod. 433: Mem. stor. della correzione 1780 raccolte in XXIV lettere familiari che cominciano 5dic. 1779 e terminano 19maggio 1781 scritte... dal N.H. Giovan Mattio Balbi de Nicolò;Arch. di Stato di Venezia, M. Barbaro. Arbori de' Patritii veneti, II, p. 377; Ibid., Inquisitori di Stato, bb. 539, 1225; Istoria delle questioni promosse da un eccitamento del n.u.s. C. C., con le arringhe tutte fatte nel Maggior Consiglio l'anno 1780, Venezia 1797; Eccitamenti di un vero patriota sopra l'ultimo scritto delli fratelli Contarini q. Carlo, Venezia 1797; Giustificazione non ricercata sopra la memoria delli fratelli Contarini qu. cittadino Carlo, Venezia 1797; Memoria dei fatti e della sventura accaduta a C. C. nell'anno 1780scritta dal cittadino Domenico suo figlio e pubblicata dallo stesso in unione al di lui fratello, Venezia 1797; Risposta delli fratelli Contarini qu. Carlo all'amico della Verità e dell'Onestà, Venezia 1797; E. A. Cicogna, Saggio di bibl. veneziana, Venezia 1847, pp. 148, 400; G. Soranzo, Bibl. veneziana, Venezia 1885, pp. 38, 682, 683; A. Bazzoni, Le annotaz. degli Inquisitori di Stato di Venezia, in Arch. stor. ital., s. 3, XI (1870), 2, pp. 29-36; E. Vecchiato, G. Pisani procuratore di S. Marco, Padova 1890, passim;C. Grimaldo, G. Pisani e il suo tentativo di riforma, Venezia 1907, passim;M. Berengo, La società veneta alla fine del '700. Ricerche stor., Firenze 1956, p. 9; G. Gullino, La politica scolastica veneziana nell'età delle riforme, Venezia 1973, pp. 12, 95-98, 100-102, 104, 119.