Carlo (Carlo M.) Cipolla
Carlo M. Cipolla è stato uno degli storici più eminenti del 20° secolo. Studioso dai multiformi interessi, ha dato un contributo essenziale al rinnovamento della storia economica, non solo nel nostro Paese, grazie a un rigoroso approccio metodologico e all’apertura della disciplina su nuovi scenari quali l’istruzione e la sanità, che erano rimasti fino allora esclusi.
Carlo M. Cipolla nacque a Pavia il 15 agosto 1922 da Manlio e Bianca Bernardi. La M., abitualmente sciolta come Maria, è stata in realtà aggiunta verso la fine degli anni Quaranta per evitare esilaranti casi di omonimia, come ha raccontato lo stesso Cipolla in uno scritto autobiografico (Fortuna plus homini quam consilium valet, 1970). Dopo aver frequentato il liceo scientifico, si iscrisse alla facoltà di Scienze politiche dell’Università di Pavia dove si laureò nel 1944 con lode e ‘voto di pubblicazione’. Ad avviarlo sul sentiero della storia fu Franco Borlandi, che gli trasmise una passione che non lo abbandonò più: l’assidua frequentazione degli archivi e un’inesauribile tenacia nella ricerca di ogni indizio, anche il più minuto, che a prima vista poteva sembrare trascurabile, ma che spesso si rivelava decisivo per la soluzione dei problemi che stava affrontando.
Pochi mesi dopo la laurea ottenne una borsa di studio del governo francese che gli consentì di trascorrere un periodo di perfezionamento alla Sorbona e alla École des hautes études di Parigi dove ebbe modo di frequentare i seminari di Fernand Braudel e Lucien Febvre. Nel 1948 trascorse alcuni mesi alla London school of economics dove conobbe gli economisti britannici più reputati. Si trattò di un’esperienza che doveva influenzare in maniera decisiva il suo approccio alla storia economica.
Tornato in Italia, dopo un breve periodo trascorso nella facoltà in cui si era laureato, nel 1949 venne nominato, a soli 27 anni, professore straordinario di storia delle esplorazioni geografiche all’Università di Catania. Iniziò così una brillante carriera, continuata nell’Università Ca’ Foscari di Venezia, nell’Ateneo torinese, in quello di Pavia, nell’Istituto universitario europeo di Firenze e, infine, alla Scuola Normale Superiore di Pisa. Il suo spiccato interesse per i nuovi ambiti di ricerca che si stavano affermando soprattutto nel mondo anglosassone lo indirizzò spontaneamente verso gli Stati Uniti. Nel 1959 l’Università di California a Berkeley gli offrì una cattedra di storia economica che tenne ininterrottamente fino ai primi anni Novanta.
Dopo aver coltivato a lungo la storia della moneta, della popolazione e del trend economico in Italia fra il Medioevo e l’età moderna, si dedicò, sulla spinta del dibattito che ferveva negli Stati Uniti (ma anche in Gran Bretagna, Francia, Canada, Svezia e Germania dove fu più volte invitato come visiting professor), alla storia della tecnologia e, più tardi, quando la sua attività si concentrò di nuovo sull’Italia, alla storia economica e sociale della sanità, alla quale ha dato un contributo ineguagliabile.
Cipolla è stato membro di prestigiose istituzioni culturali come l’Accademia delle scienze di Torino, l’Economic historical society of Great Britain, l’American academy of arts and sciences di Boston, la Royal historical society inglese, l’American philosophical society di Filadelfia e l’Accademia dei Lincei. Nel 1995 è stato insignito del prestigioso premio Balzan per la storia economica. È morto a Pavia il 5 settembre 2000.
Cipolla si distinse fin dai primi passi sull’impervio terreno della storia per l’ampiezza dei suoi interessi e per l’originalità dei suoi contributi. Non aveva ancora conseguito la laurea quando pubblicò, nel 1943, un profilo di storia demografica della città di Pavia che costituisce ancora oggi un punto di riferimento per lo studio della popolazione pavese dal Medioevo al Novecento (Profilo di storia demografica della città di Pavia, «Bollettino storico pavese», 1943, 6, pp. 5-87). Quelle pagine erano il frutto di minuziose ricerche in tutti gli archivi cittadini e, secondo l’insegnamento di Borlandi, non c’era migliore introduzione alla storia dell’immersione nelle carte del passato. Faber fit in fabricando, amava ricordare ai suoi allievi.
Nello stesso anno Cipolla pubblicò un saggio (Condizioni economiche e gruppi sociali in Pavia secondo un estimo cinquecentesco, «Rivista internazionale di scienze sociali», 1943, 6, pp. 264-87) dedicato alle condizioni economiche e alla struttura sociale della sua città a metà Cinquecento. Esplorando temi ai quali gli storici dell’economia avevano prestato solo un’attenzione marginale, studiò il valore di alcune biblioteche pavesi nel 14° sec., le finanze di borghi e castelli nella Lombardia spagnola e gli aspetti socioeconomici dell’architettura di una piccola comunità della pianura lombarda.
Negli anni successivi si cimentò con temi più tradizionali – la proprietà ecclesiastica, la storia rurale, la crisi del sistema curtense, la storia della moneta – distinguendosi per l’approccio innovativo che implicava un uso rigoroso della teoria economica. Un breve articolo fu pubblicato nel 1949 sulle «Annales» con un titolo, L’économie politique au secours de l’histoire, che suonava come un manifesto destinato alla nuova generazione degli storici dell’economia. I loro predecessori avevano insistito per lo più sugli aspetti giuridici e istituzionali e sulla raccolta meticolosa (e meritoria) dei fatti, lasciando sullo sfondo il ragionamento economico. Solo con Gino Luzzatto la storia economica italiana aveva cominciato a prendere le distanze da quell’impostazione antiquata. Con il suo intervento sulla prestigiosa rivista francese, preceduto da una lusinghiera presentazione di Febvre, Cipolla si proponeva di dimostrare che lo storico dell’economia non può fare a meno degli attrezzi dell’economista non solo nell’interpretazione dell’età comporanea per la quale i dati, anche quantitativi, sono particolarmente ricchi, ma anche per i secoli più lontani che ci hanno tramandato informazioni sparse, non di rado contraddittorie e spesso molto approssimative.
Le riflessioni di quegli anni giovanili non si smarrirono per strada, ma costituirono il filo conduttore di tutta la sua opera: vennero riprese in più circostanze (in particolare in occasione della giornata di studi organizzata nel 1978 dall’Università di Venezia per celebrare il centenario della nascita di Luzzatto) e trovarono la loro rielaborazione più sistematica nella prima parte della Storia economica dell’età pre-industriale pubblicata nel 1974 dove, sotto le modeste sembianze di un manuale, riproponeva ai giovani studiosi, che si stavano allora formando, la necessità che le due caravelle – quella dello storico e quella dell’economista – tornassero a riaccostare la loro rotta. E ribadì con forza la stessa convinzione in un fondamentale volume dedicato alla metodologia storica intitolato Tra due culture. Introduzione alla storia economica, pubblicato nel 1988.
L’attenzione alla teoria non gli impedì di prendere decisamente posizione nei confronti della tendenza, sempre più diffusa fra gli studiosi d’oltreoceano, di ridurre la storia economica a un dialogo, spesso infruttuoso, fra serie statistiche e modelli teorici. Il giudizio complessivo spetta allo storico che deve tener conto dell’intera realtà.
Una volta fissati con chiarezza i criteri metodologici ai quali avrebbe ispirato la sua ricerca, Cipolla si gettò a capofitto su un argomento che avrebbe coltivato per tutta la vita. L’occasionale scoperta di un documento cinquecentesco pieno di numeri gli aprì gli occhi su un nuovo mondo. Le carte ritrovate contenevano le medie annuali dei cambi fra il ducato d’oro e la lira milanese dalla fine del Trecento all’inizio del Cinquecento. Quella che Cipolla riteneva una ‘scoperta’ era in realtà un documento già pubblicato ma, come si sa, le carte non parlano da sole; per ottenere risposte significative occorre porre le domande giuste. Una serie statistica diventa più chiara quando la si traduce in un grafico, cosa che Cipolla fece subito trovandosi di fronte a una curva che metteva in evidenza il rapido alternarsi di periodi di crescita e di stabilità dei cambi. La curiosità suscitata da quella curva lo indusse a porsi altre domande: come si muovevano i cambi delle monete di altre città, quale relazione c’era fra attività economica e svalutazione monetaria, quale legame esisteva (o non esisteva) fra le monete in circolazione nei diversi Stati? Le risposte a queste domande misero in luce le complesse interrelazioni esistenti fra emissioni monetarie, valore delle monete, congiuntura economica, commercio estero, occupazione, salari reali, andamento dei prezzi, sistemi fiscali e così via. A partire da una tessera si poteva ricostruire, attraverso un paziente lavoro fra le carte d’archivio e l’uso intelligente della teoria economica, l’intero mosaico.
Il primo risultato di rilievo al quale approdarono queste ricerche fu la pubblicazione nel 1952 di Mouvements monétaires dans l’État de Milan 1580-1700, dove le intricate relazioni fra moneta grossa, moneta piccola e moneta di conto venivano illustrate con esemplare chiarezza. Il passo successivo fu Le avventure della lira, pubblicato nel 1958. Nel minuscolo libro, che suscitò l’ammirazione di Luigi Einaudi, l’autore tracciava la storia monetaria della penisola dalla riforma di Carlo Magno al secondo dopoguerra. Una sintesi mirabile che resta tuttora insuperata.
Nei due decenni successivi, Cipolla scrisse solo occasionalmente di moneta, ma a partire dai primi anni Ottanta riprese l’argomento con una prospettiva più ampia di quella adottata in precedenza, affrontando ardui problemi dai quali gli storici dell’economia si erano tenuti prudentemente alla larga. Il suo interesse si appuntò su due metropoli che si prestavano a un esame particolarmente approfondito delle vicende monetarie dalla metà del Trecento all’ultimo decennio del Cinquecento. Il governo della moneta a Firenze e a Milano nei secoli XIV-XVI (1990) raccoglie tre saggi pubblicati fra il 1982 e il 1988. Il primo (Il fiorino e il quattrino. La politica monetaria a Firenze nel Trecento), dedicato alla capitale toscana, è un’acuta indagine delle vicende fiorentine nei decenni centrali del 14° sec., un periodo particolarmente critico per l’economia europea.
Si era appena concluso un lungo periodo di espansione ed era iniziata la difficile ricerca di nuovi equilibri. La città toscana ne risentì più di altre perché, oltre alle conseguenze della peste e all’inversione dell’andamento espansivo, dovette far fronte al fallimento delle maggiori banche coinvolte in imprudenti operazioni finanziarie. Tutto ciò era ben noto agli studiosi. Tuttavia, quel che nessuno aveva ancora spiegato era l’anomalia fiorentina rappresentata da una moneta singolarmente stabile in un secolo caratterizzato da guerre, crisi economiche, pestilenze e dissesti finanziari che, al contrario, avevano messo a dura prova le monete di altri centri. Attraverso una sottile analisi della congiuntura economica, dei rapporti fra i ceti sociali più folti, dei conflitti fra i gruppi economici maggiormente influenti, Cipolla concluse che una moneta stabile rispondeva meglio di una moneta erosa agli interessi di tutti i protagonisti della vita fiorentina, e in particolar modo alle Arti minori che, fra il 1343 e il 1378, ebbero un ruolo determinante nel governo della città. L’analisi di Cipolla è complessa e ramificata, tanto complessa e ramificata quanto lo era la vita di uno dei centri più ricchi del continente. Le conclusioni risultano, però, molto nette: la teoria economica non riesce mai, da sola, a spiegare perché una moneta si svaluta, si rivaluta o conserva il suo valore.
Come ha scritto Gianni Toniolo nell’introduzione alla recente ristampa de Le avventure della lira (2012), la «moneta riassume in sé, come nessun altro indice sintetico, la vita politica, economica e sociale di un popolo» (p. 8). In essa si riflettono perciò le necessità dell’erario, le pressioni dei mercanti, le rivendicazioni del popolo minuto, i conflitti tra le fazioni, la forza o la debolezza dei governi. Se non teniamo conto di tutte queste sfaccettature, ammonisce implicitamente Cipolla, il senso degli eventi ci sfugge.
Due secoli dopo a Firenze molte cose erano cambiate (come afferma Cipolla nel secondo saggio raccolto nel volume, La moneta a Firenze nel Cinquecento). L’arrivo in Europa dell’argento americano aveva alterato il rapporto fra i prezzi dei metalli preziosi provocando le incertezze che hanno sempre investito i sistemi bimetallici. Il caso volle che il granduca, al quale spettava l’ultima parola in materia monetaria, fosse Francesco de’ Medici, un personaggio tanto ostinato e puntiglioso quanto incompetente, che contribuì non poco ad aggravare le condizioni dell’economia urbana con una serie di misure inopportune e contraddittorie. Il granduca fece di tutto per complicare la situazione, ma anche politiche monetarie più sagge
difficilmente sarebbero bastate a sopperire alle crescenti difficoltà strutturali dell’economia toscana. Così nel lungo andare l’economia fiorentina proseguì nel suo processo di decadenza mentre restò salvo il mito del buongoverno della moneta toscana (Il governo della moneta a Firenze e a Milano nei secoli XIV-XVI, cit., p. 258).
Un mito, appunto, che è durato nei secoli, ma che non ha impedito un lungo declino.
Il trittico si concluse con uno studio accurato su La moneta a Milano nel Quattrocento. Monetazione argentea e svalutazione secolare. Un altro caso di scuola, più difficile da chiarire perché la documentazione superstite è meno ricca di quella fiorentina, e che tuttavia rafforza le conclusioni appena ricordate sulla complessità delle forze in gioco e lascia trasparire l’influenza dei consiglieri fiorentini di cui si circondò Francesco Sforza e del banco dei Medici che nel 1452 aveva aperto una filiale a Milano.
L’ultimo contributo alla storia monetaria (Conquistadores, pirati, mercatanti. La saga dell’argento spagnuolo, 1996) si mosse in tutt’altra direzione. L’argomento non era più la politica monetaria nei centri nevralgici dell’economia europea, bensì il tortuoso cammino dell’argento che dalle miniere centro-americane approdava in Spagna, di qui inondava l’Europa e prendeva infine la via della Cina dove il metallo bianco era l’unico mezzo di pagamento accettato per acquistare il tè, le ceramiche e gli altri prodotti offerti dal Celeste impero. Gli europei non avevano merci da offrire in cambio e, grazie alla bilancia commerciale permanentemente attiva, la Cina accumulò nel corso del tempo montagne di argento mettendo in seria difficoltà l’Occidente, finché la guerra dell’oppio non risolse il problema in modo a dir poco disinvolto. Per appropriarsi delle riserve cinesi, l’Inghilterra condusse una campagna sistematica per la diffusione dell’oppio che gli abitanti dell’Impero di mezzo, incuranti dei divieti governativi, consumavano in grandi quantità pagandolo con il metallo bianco che ritornava così nel vecchio continente. Il legame fra circuiti monetari e circuiti commerciali rintracciato da Cipolla mette in luce un singolare capitolo della globalizzazione ai suoi albori.
La storia monetaria aveva aperto a Cipolla una finestra sul mondo che diventò sempre più ampia grazie all’esperienza americana iniziata alla metà degli anni Cinquanta. Nell’Università di California entrò in contatto con storici di tutto il mondo – cinesi, indiani, europei, giapponesi, australiani. A Berkeley, ricordò più tardi, si
aprivano spiragli che mi invitavano verso più lontani orizzonti. Il primo risultato della mia nuova attività fu un piccolo libro su un grande tema, The economic history of world population. Cominciai a scriverlo quasi per gioco […] ma poi l’argomento mi prese la mano e mi piacque sempre di più man mano che andavo avanti a scriverlo […] Lo seguì Guns and sails in the early phase of European expansion […] Venne poi Clocks and culture, 1300-1700, ideale continuazione di Guns and sails (Fortuna plus homini quam consilium vale, cit.; trad. it. 1989, p. 208).
A prima vista i legami fra la storia economica della popolazione mondiale e gli argomenti sviluppati nei lavori successivi sembrano quanto mai labili, ma non è così. Il filo conduttore di The economic history of world population (1962) è costituito dall’azione congiunta di tre fattori – gli uomini, le tecniche e l’energia – che costituivano la base dello sviluppo economico e sociale in tutti i tempi e in tutti i Paesi. Per svilupparsi una società ha bisogno di una quantità crescente di energia e di ‘macchine’ capaci di trasformarla in lavoro, beni e servizi. Tanto più efficienti sono queste macchine, tanto maggiore sarà il benessere. Ma le macchine non cadono dal cielo. La tecnologia diventa quindi un fattore cruciale per lo sviluppo: il suo successo o il suo insuccesso dipendono, in ultima istanza, dall’ambiente socio-culturale di un Paese.
Questa conclusione rimandava spontaneamente a una domanda che gli storici si erano posti più volte senza però trovare una risposta soddisfacente: perché le potenze europee erano riuscite a conquistare un’indiscussa supremazia tecnologica e a mantenerla per oltre quattro secoli? La storia comparata poteva fornire qualche argomento per dipanare la matassa.
In Guns and sails in the early phase of European expansion, pubblicato nel 1964, Cipolla illustrò il processo attraverso il quale l’Occidente aveva raggiunto il primato nella produzione di armi e nel dominio degli oceani. Si trattava di una storia che si ricollegava allo sfruttamento più efficiente delle fonti di energia: quella termica nel caso dei cannoni, quella eolica nel caso dei velieri. Nel Quattrocento il vantaggio accumulato dall’Europa era ancora esiguo o forse inesistente; a partire dal secolo successivo diventò incolmabile, non tanto perché i cinesi fossero disinteressati alle armi da fuoco quanto per l’incrollabile certezza che non avevano nulla da imparare dai barbari occidentali. Anche quando si misero a imitare i cannoni, lo fecero con l’atteggiamento di chi si degnava di perfezionare una rozza tecnologia. Un trattato cinese di arte militare pubblicato nel 1624 parlava di un nuovo cannone che «poteva sfondare un muro, penetrare in una casa, spezzare una trave […] e penetrare […] in una montagna per diversi piedi» (Vele e cannoni, 1999, p. 92). I cinesi pensavano così di aver decisamente migliorato le bocche da fuoco dei loro nemici. La realtà era però molto diversa. Come scrisse qualche decennio più tardi un viaggiatore europeo, i cannoni del Celeste impero erano ancora ‘pochi e scadenti’.
Una vicenda analoga ci viene raccontata dalla storia dell’orologio, la prima macchina di precisione costruita dagli uomini. Così come non riuscì a sviluppare una tecnologia marittima e militare in grado di tener testa alle potenze del vecchio continente, la Cina non riuscì a sviluppare nuove tecnologie neppure nei settori che più si addicevano alla sua raffinata cultura. In Clocks and culture, pubblicato nel 1967, Cipolla metteva in risalto, attraverso le differenze che hanno contrassegnato le due civiltà, le cause del ritardo cinese e, nello stesso tempo, gettava una luce più vivida sul dinamismo europeo. I due libri portavano così nuovi e decisivi argomenti a sostegno della tesi di sir Joseph Needham che pochi anni prima aveva osservato:
In Europa, a differenza di quanto capitava in Cina, operarono fattori […] che favorirono l’incontro tra il sapere pratico e le formulazioni matematiche […] Indubbiamente parte della questione riguarda i movimenti sociali che resero rispettabile in Europa l’associazione tra il tecnico e il gentiluomo (Science and civilization in China, 3° vol., 1959, pp. 154-55).
Nell’incontro fra sapere pratico e formulazioni matematiche, l’istruzione ebbe un ruolo indubbio, che però non era ancora del tutto chiaro. Cipolla era convinto che non fossero in gioco soltanto l’istruzione più elevata impartita nelle università e nelle scuole di élite, e neppure l’istruzione tecnica, ma anche la capacità di leggere, scrivere e far di conto. Literacy and development in the West, pubblicato nel 1969, è stato probabilmente il primo tentativo compiuto da uno storico di rintracciare l’esile filo che univa istruzione e sviluppo. Da un certo punto di vista, questo lavoro rappresentò il naturale epilogo del ciclo aperto sette anni prima con la storia economica della popolazione mondiale e, nello stesso tempo, un ponte gettato verso nuove esplorazioni.
Nello scritto autobiografico già ricordato, Cipolla confessava di avere via via maturato la convinzione che la storia economica era concepita e praticata entro limiti troppo angusti e ciò lo induceva a spostarsi verso una storia sociale di maggior respiro quale era, per es., la storia della sanità.
Fra il 1972 e il 1982 lo studioso si dedicò quasi esclusivamente a questo tema facendo emergere la faccia nascosta di una storia rimasta sepolta fra le carte d’archivio a causa di una singolare disattenzione degli studiosi che le avevano sfogliate. Gli storici dell’economia e della società le avevano abbandonate al loro destino perché l’etichetta ‘sanità’ sotto la quale erano conservate (Cipolla si riferisce in particolare alle carte fiorentine) faceva pensare a documenti riguardanti la storia interna della medicina; gli storici della medicina li avevano trascurati perché quelle carte di sapore burocratico si limitavano a illustrare le condizioni igienico-sanitarie ed economico-sociali, ma nulla dicevano dello stato in cui versava la scienza medica. Cipolla si rese subito conto che quei documenti potevano squarciare il velo su una realtà a volte sfiorata, ma sostanzialmente sconosciuta. Gli studi confluiti in Contro un nemico invisibile. Epidemie e strutture sanitarie nell’Italia del Rinascimento (1986) ci raccontano molte cose (per es., le difficoltà politiche, amministrative, economiche che dovette superare la comunità di Prato per fronteggiare la peste scoppiata nell’ottobre del 1629) e illuminano da vicino l’azione di Cristoforo Ceffini, il medico al quale era stato affidato il compito di organizzare le misure sanitarie per difendersi dall’epidemia. Ne emerge una figura motivata da una profonda dedizione e da una non comune rettitudine, dotata di notevoli capacità organizzative e animata da un profondo senso di giustizia.
Il medico era uno dei pilastri sui quali poggiava l’edificio della sanità, non solo nei centri urbani, ma anche nelle comunità rurali. Un’indagine sulla disponibilità di medici nella Toscana del primo Seicento rivelò un numero sorprendentemente elevato di personale sanitario anche nelle campagne. Le conoscenze mediche dell’epoca erano limitate e spesso errate, e tuttavia, osserva Cipolla,
l’esistenza di un gruppo ben organizzato di professionisti ebbe un risultato positivo se non altro per il fatto che la loro potente organizzazione evitò alla medicina di cadere completamente nelle mani dei ciarlatani (Contro un nemico invisibile. Epidemie e strutture sanitarie nell’Italia del Rinascimento, cit., p. 323).
La peste era, a giusta ragione, la calamità più temuta. Esistevano però anche altre epidemie che, seppure meno letali, seminavano morte e panico come il tifo che si sparse a Firenze nel 1620. Dalle relazioni compilate in quella circostanza vengono alla luce le disastrose condizioni igieniche in cui versava una città ricca come la capitale toscana, una realtà tenuta ben nascosta dalle autorità che si scagliarono con veemenza contro Robert Dallington, un viaggiatore inglese che pochi anni prima, nel suo A survey of the great dukes state of Tuscany (1605), aveva timidamente accennato al degrado della città. Allargando lo sguardo al contado, la realtà si rivelava anche peggiore. In Miasmi e umori. Ecologia e condizioni sanitarie in Toscana nel Seicento, pubblicato nel 1989, Cipolla offre un’ulteriore immagine delle condizioni assai degradate nelle quali vivevano i nostri antenati, anche quelli più fortunati o, se si preferisce, meno sfortunati.
In uno studio che concluse le ricerche sulla sanità – Il burocrate e il marinaio. La ‘sanità’ toscana e le tribolazioni degli inglesi a Livorno nel XVII secolo, che vide la luce nel 1992 – entrarono in campo nuovi protagonisti, i mercanti britannici, impegnati in un lungo braccio di ferro con le autorità toscane ben decise a imporre tutte le misure previste per le navi che provenivano da Paesi nei quali si sospettava l’esistenza di qualche focolaio di peste. L’interesse economico dei mercanti è facilmente intuibile: una lunga quarantena significava perdita di tempo e di denaro. Dal canto loro, gli amministratori granducali avevano un interesse opposto. La peste non era soltanto una tragedia umana, era anche un fardello economico che pesava sulle finanze pubbliche, sui traffici che dovevano essere bruscamente interrotti, sulle attività produttive, sull’amministrazione e, non ultimo, sul capitale umano che veniva inesorabilmente impoverito a causa delle morte di migliaia di artigiani, banchieri, mercanti, burocrati, artisti, senza trascurare la manodopera indispensabile per mantenere in vita le manifatture urbane. Una ricostruzione della vita economica e sociale più aderente alla realtà non poteva prescindere da questi aspetti, e va riconosciuto a Cipolla il merito di aver rimarcato la loro importanza rinsaldando nello stesso tempo i rapporti fra la scienza medica e il complesso mondo della sanità che gli studiosi avevano tenuto fino allora separati.
Nel 1995, in occasione del conferimento del premio Balzan, Ezio Raimondi ha tratteggiato la figura di Carlo Cipolla con un’immagine molto suggestiva:
Se si deve prestar fede alla saggezza franco-asburgica di Hofmannsthal, una intelligenza fuori del comune è simile a un segugio che non si lascia sviare dalla pista fino a che non abbia raggiunto la preda. Anche Cipolla deve essere considerato uno di questi segugi.
Mouvements monétaires dans l’État de Milan 1580-1700, Paris 1952.
The decline of Italy: the case of a fully matured economy, «The economic history review», 1952, 5, pp. 178-87.
Money, prices, and civilization in the mediterranean world. Fifth to seventeenth century, Princeton 1956 (trad. it. Moneta e civiltà mediterranea, Venezia 1957).
Le avventure della lira, Milano 1958, Bologna 2012.
The economic history of world population, Harmondsworth 1962 (trad. it. Uomini, tecniche, economie, Milano 1966).
Guns and sails in the early phase of European expansion, 1400-1700, London 1965 (trad. it. Velieri e cannoni d’Europa sui mari del mondo, Torino 1969; Vele e cannoni, Bologna 1999).
Clocks and culture, 1300-1700, London 1967 (trad. it. Le macchine del tempo. L’orologio e la società 1300-1700, Bologna 1996).
Literacy and development in the West, Harmondsworth 1969 (trad. it. Istruzione e sviluppo. Il declino dell’analfabetismo nel mondo occidentale, Torino 1971; Bologna 2002).
Fortuna plus homini quam consilium valet, in The historian’s workshop. Original essays by sixteen historians, ed. L.P. Curtis, New York 1970 (trad. it. in Le tre rivoluzioni e altri saggi di storia economica e sociale, Bologna 1989).
The economic decline of empires, a cura di C.M. Cipolla, London 1970.
The Fontana economic history of Europe, a cura di C.M. Cipolla, London 1972-1976 (trad. it. Storia economica d’Europa, Torino 1979-1980).
Storia economica dell’Europa pre-industriale, Bologna 1974.
Fighting the plague in the seventeenth-century Italy, Madison 1981 (trad. it. Il pestifero e contagioso morbo. Combattere la peste nell’Italia del Seicento, Bologna 2012).
Contro un nemico invisibile. Epidemie e strutture sanitarie nell’Italia del Rinascimento, Bologna 1986.
Tra due culture. Introduzione alla storia economica, Bologna 1988.
Le tre rivoluzioni e altri saggi di storia economica e sociale, Bologna 1989.
Miasmi e umori. Ecologia e condizioni sanitarie in Toscana nel Seicento, Bologna 1989.
Il governo della moneta a Milano e a Firenze nei secoli XIV-XVI, Bologna 1990.
Il burocrate e il marinaio. La ‘sanità’ toscana e le tribolazioni degli inglesi a Livorno nel XVII secolo, Bologna 1992.
J.-F. Bergier, Carlo Cipolla, historien de l’économie, «Il Politico», 1989, 1, pp. 159-64.
D. Sella, Carlo M. Cipolla, «The journal of European economic history», 2001, 1, pp. 205-208.
G. Vigo, Carlo M. Cipolla: un viaggiatore nella storia, «Rivista storica italiana», 2001, 1, pp. 151-78 (contiene la bibliografia di tutti gli scritti di Carlo M. Cipolla).
G. Vigo, Cipolla Carlo M., in Dizionario biografico degli Italiani, Istituto della Enciclopedia Italiana, 2013, www.treccani.it/enciclopedia/carlo-m-cipolla (24 luglio 2013).