CAVALCABÒ (de Cavalcabobus), Carlo
Nato prima del 1375, era figlio di Giovanni, fratello di Ugolino.
Nulla conosciamo della sua giovinezza e la prima notizia che possediamo di lui e del 19 dic. 1404, giorno in cui il C., conosciuto il testo degli accordi intervenuti tra lo zio Ugolino ed Estorre Visconti, per evitare che Cremona cadesse nuovamente nelle mani dei Milanesi, si fece proclamare signore della città. Lo aiutò il giovane capitano delle truppe guelfe cremonesi, Cabrino Fondulo, il quale divise poi costantemente il potere con il C., in attesa di eliminarlo dalla scena politica.
Personalità di poeta, poco incline alla concretezza, il C. divenne facilmente succube, per ciò che si riferiva alla politica estera, di Andreasio Cavalcabò, mentre per le questioni relative alla politica interna si abbandonò ciecamente alle decisioni dell’amico Cabrino Fondulo, che perseguiva un disegno contrario ai suoi interessi.
Nel gennaio 1405 il C. fece decapitare, su istigazione di Cabrino, il capitano generale di Cremona Francesco Gazzoni, uomo fedelissimo ai Cavalcabò e in particolare a Ugolino, sotto l’accusa di aver trattato con Estorre Visconti la cessione di Cremona in cambio della libertà di Ugolino.
Dopo questa azione, che dovette alienargli una parte del favore popolare, il C. tentò di riguadagnare le posizioni perdute nella situazione interna. A questo proposito Andreasio Cavalcabò gli suggerì di impostare secondo una nuova dinamica la politica estera di Cremona, orientandola in senso antivisconteo. Nello stesso mese di gennaio iniziavano gli abboccamenti con Francesco Gonzaga, mentre ci si accordava con il signore di Lodi Giovanni Vignati, di cui il C., in maggio, sposò una figlia. Il matrimonio con la Vignati lo introdusse nel seno del partito guelfo di Lombardia, cosicché nello stesso mese di maggio fu formalmente stipulata un’alleanza tra il C., suo suocero Giovanni Vignati di Lodi, il signore di Brescia Pandolfo Malatesta e i fratelli Benzoni, che dominavano Crema. Avuta notizia della nuova lega guelfa, uno dei capi della fazione viscontea, Francesco Visconti, decise nello stesso maggio 1405 di marciare contro Lodi: in difesa di Giovanni Vignati accorsero i signori delle tre città alleate, fra cui Carlo. Le forze guelfe incentrarono i loro sforzi su Piacenza, che venne conquistata il 9 giugno e persa l’11 dello stesso mese; tuttavia la presenza dell’esercito guelfo indusse il Visconti a togliere l’assedio a Lodi.
Tra l’estate e l’autunno del 1405 il C. fu impegnato ad ingrandire la signoria territoriale della famiglia nella campagna cremonese, strappando ai suoi nemici Castelletto dei Ponzoni, Pescarolo e Piadena. Nel dicembre iniziarono per tramite di Cabrino Fondulo trattative anche con i Visconti per stipulare una tregua d’armi. L’attività diplomatica sembrò sfociare in concreti successi nel gennaio del 1406 quando, dopo lunghissime trattative, Andreasio Cavalcabò portava alla firma del C. un’alleanza offensiva di otto mesi, conclusa con il signore di Mantova, Francesco Gonzaga. Tuttavia impellenti ragioni di politica interna consigliarono il C. ad approfondire i colloqui diplomatici con Milano, donde il 13 marzo 1406 fuggiva lo zio Ugolino, tenuto prigioniero nel castello. La notizia della fuga fu trasmessa al C. da Cabrino Fondulo, nel di cui castello della Maccastorna Ugolino si era rifugiato. Con la notizia Cabrino trasmise anche alcune disposizioni in modo che gli uomini del C. potessero più facilmente arrestare Ugolino e il giorno seguente, accompagnatolo a Cremona, partecipò al suo arresto e, complice il C., lo rinchiuse nella rocca della città.
Imprigionato lo zio, il C. tentò nuovamente di raggiungere un accordo con Milano attraverso la mediazione di Andreasio: nel luglio del 1406 il C., Andreasio e Antonio Cavalcabò si recarono a Milano e riuscirono a negoziare con la corte ducale una tregua di quattro mesi. Durante il ritorno a Cremona, la domenica 25 luglio sostarono al castello della Maccastorna, dove vennero sontuosamente ospitati dal Fondulo. Giunta la notte, quest’ultimo uccise i tre ospiti e ne gettò i cadaveri nelle fosse del castello; alcuni giorni dopo si faceva proclamare signore di Cremona.
Il C. non lasciò eredi. Possediamo una sua lunga poesia, che ci è stata trasmessa dall’Arisi e dal Crescimbeni, i quali affermano, di averla tratta dal codice Isoldiano. La composizione è dedicata a Bartolomea da Matuliano, una fanciulla nobile, bella e letterata, che fu intensamente amata dal C.: i versi vogliono incitare la donna a corrispondere all’amore che egli manifesta, ma non superano l’esercitazione letteraria, dotta e stucchevole. Lo stesso si può ripetere per la risposta che Bartolomea inviò al C., nella quale fanno capolino anche noiose dissertazioni teologico-morali di dubbio effetto. Si è di fronte a residui di poesia cortese, che in certi tratti documentano una moda e una mentalità che ancora risente delle creazioni dei trovatori.
Fonti e Bibl.: A. Campo, Cremona fedeliss. città, Cremona 1585, pp. 108 s.; F. Arisi, Cremona liter., I, Parmae 1702, p. 209; G. M. Crescimbeni, Commentari, Roma 1710, II, 2, p. 130; Id., Storia della volgar poesia, Venezia 1730, II, 2, p. 227; C. Cipolla, Storia delle Signorie italiane dal 1313 al 1530, Milano 1881, I, p. 241; L. A. Minto, Cabrino Fondulo, Cremona 1896, pp. 3558; A. Cavalcabò, Un cremonese consigliere ducale di Milano, in Boll. stor. cremonese, II (1932), pp. 42-54; F. Cognasso, Il ducato visconteo da Giangaleazzo a Filippo Maria, in Storia di Milano, VI, Milano 1955, pp. 120-123.