CARTARI, Carlo
Nacque a Bologna il 13 luglio 1614 da Giulivo, giurista di cospicua famiglia orvietana, e da Laura Beccoli, avendo come padrino Federico Borromeo.
Venuto a Roma con la famiglia (1621), vi compì gli studi di legge sotto G. Lampugnani e vi si addottorò nel 1633, anno in cui perdette il padre. Protetto dal cardinale F. Barberini e dallo stesso pontefice Urbano VIII, fu nominato il 13 luglio 1638 viceprefetto dell'Archivio di Castel Sant'Angelo, come coadiutore e sostituto dell'ormai vecchio e malato prefetto G. B. Confalonieri, e il 30 agosto del medesimo anno ne prese possesso; nello stesso mese iniziò la compilazione di un Diarium Archivi Arcis Sancti Angeli, in cui segnalò sino all'agosto del 1677 il movimento dei documenti dati in prestito fuori dell'archivio (Arch. Segr. Vat., Indici, n. 60). Nel 1641 sposò Maria Maddalena Marabottini e l'anno successivo fu fatto avvocato concistoriale, entrando in tal modo a far parte di un collegio di alto prestigio e contemporaneamente del governo dello Studium Urbis.
Dal 1642 il C., sino ad allora prevalentemente interessato alle discipline giuridiche tradizionali nella famiglia (curò la pubblicazione di opere del padre, dello zio Muzio Cartari e di G. Coelli), cominciò a raccogliere notizie storiche e di cronaca corrente romana, italiana ed europea, corredate di documentazione originale, in una serie di volumi, destinata a divenire imponente, intitolati Effemeridi (oggi in Arch. di Stato di Roma, Fondo Cartari-Febei, bb. 73-104). Fu questa la prima manifestazione di un gusto, tutto esteriore, per le curiosità di cronaca e di storia, che avrebbe caratterizzato nei decenni seguenti la sua attività letteraria e che evidentemente era stato originato, oltre che dal clima culturale della Roma contemporanea, anche dalla frequentazione con i documenti dell'Archivio di Castello affidati alle sue cure. La coscienza archivistica che la nuova responsabilità aveva risvegliato in lui lo indusse già nel 1643 a redigere alcune "considerationi" per la costituzione e l'ordinamento di un archivio dell'università (ibid., b. 145), che venne poi realizzato nel 1652-1653; e ad iniziare assai presto, e a continuare con particolare intensità dal 1648 in poi, un nuovo "Indice generale delle scritture" dell'Archivio di Castello, in aggiunta agli inventari già redatti dal suo predecessore Confalonieri, deceduto proprio il 29 ottobre di quell'anno. In tale opera (oggi Arch. Segr. Vat., Indici, nn. 61, 62 e 63) sono regestati circa 4.300 documenti, con indicazione dell'autore, dell'oggetto dell'azione giuridica e del destinatario: dati tutti riportati anche in un indice per nomi di persona e di luogo, dal C. inteso come prezioso strumento per rintracciare notizie, dati, documenti.
L'attività archivistica del C. s'inquadrava nel più generale indirizzo di rinnovamento impresso da Urbano VIII e dal cardinal nipote F. Barberini alla politica di documentazione della S. Sede, che aveva visto la costituzione dell'Archivio Vaticano come istituzione autonoma, la creazione dell'Archivio notarile e il potenziamento dell'Archivio di Castello: un potenziamento su cui proprio il C. sarebbe tornato nel 1655, indirizzando una supplica ad Alessandro VII per indurlo a far versare in Castello il massimo numero di documenti e di "scritture" e di cui l'"Indice generale" sarebbe dovuto essere strumento (Fondo Cartari-Febei, b. 72, Giornale di Castel Sant'Angelo, cc. non num.); ma che urtò contro l'opposizione curiale, sospettosa di una eccessiva pubblicizzazione del materiale conservato (opposizione che portò più tardi, dopo il 1677, alla sospensione definitiva del lavoro di inventariazione); e a cui ostava anche la progressiva prevalenza dell'Archivio Segreto Vaticano, destinato a trasformarsi nell'unica istituzione archivistica centralizzata dello Stato pontificio.
Nel 1647 il C. divenne decano del Collegio degli avvocati concistoriali e accentuò il suo interesse alla storia dello Studio romano e la personale partecipazione alla sua gestione; nel 1656, sulla base di una vasta documentazione soprattutto archivistica ed epigrafica, compilò e pubblicò a spese del Collegio (e si tratta di una delle sue poche opere edite) un Advocatorum Sacri Consistorii Syllabum (Romae 1656), cioè un vasto ed informato repertorio biobibliografico degli avvocati concistoriali dal XIV sec. in poi, sino ai suoi contemporanei e a se stesso (autobiografia a pp. CCLXXI-CCLXXIII; i materiali preparatori in Fondo Cartari-Febei, bb. 147, 150-154) e soprattutto fra il 1658 ed il 1665 seguì, in un vivo rapporto di collaborazione, prima con F. Borromini e poi anche con Pietro da Cortona, i lavori di costruzione della Biblioteca universitaria Alessandrina della Sapienza; mai, invece, riuscì a completare e a pubblicare una vasta opera sulle origini e la storia dell'università di Roma, il De Romano athenaeo, di cui ci rimane il materiale manoscritto e la vasta documentazione raccolta (ibid., bb. 63-67).
Una delle maggiori componenti della vocazione erudita del C., accanto all'interesse, generico e generale, per le curiosità storiche, fu quello vivissimo per le grandi personalità pubbliche, i signori, i nobili del passato e del presente, sviluppatosi nella frequentazione dei magnifici Barberini e più tardi concretatosi in una personale ambizione di nobiltà; da cui nacquero dapprima una annalistica biografia di papa Urbano VIII, sostanziata di documenti e rimasta inedita (Bibl. Apost. Vat., Barb. lat.4729, cc. 44r-55v, e Fondo Cartari-Febei, b. 190), nonché alcuni lavori di carattere genealogico-nobiliare (sulla famiglia dei conti Marsciani, in Fondo Cartari-Febei, b. 280; e su quella Della Valle, Bibl. Apost. Vaticana, Vat. lat.12.545), tipici dell'epoca, e infine una grande massa di appunti, memoriali e documenti sulla storia della propria famiglia e di se stesso, comprensiva di interessi e carriera, attività letteraria e manie collezionistiche: il tutto ritenuto degno di passare alla storia e fissato perciò nella verità infallibile della notizia scritta.
Il C. non fu soltanto un ostinato raccoglitore e regestatore di documenti, ma anche un esperto bibliografo e infine un abile riordinatore di biblioteche e bibliotecario egli stesso; si trattò di un'attività sviluppata, come pare, dopo la costruzione e la costituzione della Biblioteca Alessandrina, soprattutto nella parte più tarda della sua vita, quando il rapporto con l'Archivio di Castello si fece via via meno stretto (pur conservando la carica di prefetto egli si fece infatti dare un coadiutore). Già nel corso del 1671 il C. iniziò il riordinamento di due biblioteche private romane, quella di G. Carpani e quella del suo protettore e parente monsignor F. M. Febei; quindi nel febbraio del 1674 accettò dal cardinale P. Altieri l'incarico di provvedere all'ordinamento della biblioteca di famiglia, risultante della fusione di quattro diversi fondi, nella nuova sede ricavata nel palazzo testé costruito accanto al Gesù da G. A. de' Rossi; egli ne curò anche la disposizione materiale, la divisione per materie nel grande salone ad essa destinata, e infine la catalogazione per autori e per materie, oltre che l'inventario topografico degli stampati e dei manoscritti (Fondo Cartari-Febei, b.275); cosicché meritata sembra la lode tributata a lui e alla sua creatura da J. Mabillon e da M. Germain, che visitarono la biblioteca nel giugno del 1685 e la trovarono elegante e bene ordinata. Ancora nel 1694, mantenendo l'incarico di soprintendente della biblioteca Altieri, il C. ne pubblicava il catalogo degli opuscoli a stampa sotto il bizzarro titolo di Pallade bambina overo biblioteca delli opuscoli volanti che si conservano nel palazzo delli signori Altieri…(Roma 1694), facendolo precedere da una barocca ed arguta disquisizione sul valore delle opere di piccola mole, riscattate spesso da "rarità di materie" e da "acutezza di ingegni".
Nello stesso periodo, all'incirca dal 1665 in avanti, il C. sviluppò una fitta rete di rapporti di amicizia e di collaborazione con alcuni fra i maggiori o più noti eruditi dell'Italia di allora, da F. Ughelli a L. Iacobilli, da P. Mandosio a V. Armanni (di cui compilò anche una biografia), dal vecchio L. Allacci a F. Schelstrate, da A. Della Noce a F. A. Gualtieri, da P. Canneti ad A. Kircher, a F. Arisi, ad A. Aprosio Ventimiglia, e così via, entrando anche a far parte di numerose accademie più o meno illustri, per finire nella nuova Arcadia romana, col nome di Filemone Clario. Ma sempre il suo più diretto collaboratore fu il figlio amatissimo Antonstefano, che aveva destinato alla carriera forense ed all'antiquaria, e che gli premorì a soli trentatré anni nel 1685.
Nel giugno del 1694, ormai ottantenne, il C. fu indotto (o costretto) a consegnare gli indici dell'Archivio di Castello da lui compilati e rimasti in sospeso. Morì a Roma il 12 sett. 1697.
Oltre al Syllabum e alla Pallade bambina, già ricordati, il C. pubblicò un'altra opera soltanto, una breve dissertazione su La rosa d'oro pontificia, edita a Roma nel 1681 e dedicata a rievocare origini e vicende di un uso cerimoniale pontificio. Ma inedite rimasero le sue opere di maggiore mole, ostinatamente compilate in decenni e decenni di ricerche e di spogli archivistici e bibliografici su "materie che siano curiose e dilettevoli e… che non siano state trattate da altri", come egli dichiarava nel 1684 (Fondo Cartari-Febei, b. 253, c. 145r), 0 che risultassero utili, in quanto relative alla storia patria (ibid., b. 33, lett. del 31 ag. 1672). Curiosità, diletto, rarità erano dunque, insieme con l'utilità, le molle reali del suo interesse al passato; e nell'ambito delineato dall'ultimo concetto rientravano anche, o soprattutto, le grandi imprese di carattere bibliografico e documentario, cui il C. dedicò buona parte della sua attività, gli imponenti repertori cronachistici e sistematici in cui comprese o analizzò categorie culturali e ideologiche come quelle giuridiche, e realtà istituzionali e geografiche, come quella costituita dallo Stato della Chiesa. Accanto all'erudizione, infatti, l'altra e fondamentale dimensione culturale del C. era quella costituita dal senso territoriale e giuridico della patria, dalla piccola Orvieto sino allo Stato ecclesiastico; una dimensione nella quale l'archivista era abituato a ricercare la garanzia di autenticità dei documenti, l'erudito quella della veridicità storica, il genealogista la giustificazione e la glorificazione delle prosapie, il giurista i limiti stessi della realtà; onde l'accanito interesse alla compilazione, ideologica insieme e funzionale, di prontuari e di vere e proprie enciclopedie giuriche (ibid., bb. 266, 267, 270), di una complessa Geografia genealogica istorica dello Stato temporale della Chiesa disposta in ordine alfabetico (ibid., bb. 177-182) e soprattutto del caotico Aggiuntamento di studio (ibid., bb. 183-186), ove documenti ed epigrafi si alternano a curiosità e spogli bibliografici, e gli argomenti più diversi si accavallano in un lambiccato e consapevole disordine. L'altra categoria ideologica dominante nell'oscuro ed amplissimo travaglio letterario del C. era infatti quella (generalissima al suo tempo, ma in lui veridica come un dogma) della curiosità e della meraviglia, nell'ambito della quale ogni fatto diventava notizia, ed ogni notizia fatto; onde gli inconditi diari di cui egli stesso si vantava, e soprattutto la già ricordata lunghissima serie delle Effemeridi, curate sino al 1691, alle soglie quasi della morte.
Il C. fu anche un noto collezionista di medaglie raffiguranti papi, sovrani, uomini illustri, cominciate a raccogliere nel 1651 (ibid., b.229); era una concessione al gusto antiquario e museografico del tempo, ma anche un altro sintomo della sua indomita tendenza al culto, astorico ed acritico, delle personalità presenti e passate, comunque e per qualsiasi ragione toccate dalla notorietà.
Fonti e Bibl.: L'Arch. di Stato di Roma conserva nel Fondo Cartari-Febei la maggior parte del materiale raccolto e composto dal C. o a lui relativo; si ricordano quiinoltre le sue lettere a P. Canneti in Ravenna, Bibl. Classense, ms. 652, e due volumi manoscritti sulla storia dei senatori di Roma in età medievale e moderna ora in Roma, Bibl. Angelica, mss. 1644 e 1645. Vedi inoltre su di lui: J. Mabillori-M. Germain, Museum Italicum, Luteciae Parisiorum 1687, I, pp. 55 s.; I. Carini, L'Arcadia dal 1690 al 1890, I, Roma 1891, pp. 323-326; A. Salimei, Serie cronol. dei senatori di Roma dal 1431 al 1447, in Arch. della Soc. rom. di storia patria, LIII-LV (1930-32), pp. 45, 49-53, 65, 110, 112; F. M. Ponzetti, L'archivio antico della Univ. di Roma ed il suo ordinamento, ibid., LIX (1936), pp. 270, 274-278, 284, 298; M. Del Piazzo, Ragguagli borrominiani, Roma 1968, pp, 132-150, 225, 231, 232-239.