CANTONI, Carlo
Nacque a Novellara (Reggio Emilia) il 14 ottobre del 1674 da Giovanni e da Francesca Vezzadini. Seguì nella città natale i primi studi presso il collegio impiantato dai gesuiti, ma a tredici anni dové lasciarli per fare pratica mercantesca a Brescia, dove nel frattempo si era trasferita la famiglia.
Furono anni difficili che il poeta rievocherà in versi, dove è ancora possibile rintracciare l'eco di una esperienza travagliata, tra i disagi di ordine economico e le incertezze per il futuro: anni in cui il C. dové comunque compiere la propria preparazione culturale lontano dalle scuole e dalle accademie, improntata a un fervido quanto disordinato dilettantismo. Fatto sta che dell'autodidatta egli conserverà le caratteristiche in tutta la sua vicenda letteraria, occupata dai modelli più stanchi della poesia giocosa cinque e seicentesca, volta a una riproposta dei classici in tono moraleggiante e in stile conversevole.
Da Brescia il C. si trasferì a Guastalla presso la famiglia Sartoretti, ricchi mercanti presso i quali continuò la sua pratica mercantile, e poté aspirare ad essere introdotto negli ambienti colti della cittadina gonzaghesca. Nella città governata da Antonio Gonzaga fioriva l'Accademia degli Sconosciuti, che aveva in Alessandro Pegolotti il maggiore animatore. L'attività dell'Accademia era limitata a raccolte collettive per episodi di interesse esclusivamente cittadino: ed è proprio una di queste raccolte, quella redatta in onore dell'oratore sacro Romualdo da Parma, che accoglie nel 1724 una poesia latina del C. sotto il nome accademico di "Piacevole" (della raccolta si occupava il Giornale dei letterati di Venezia, XXXVI [1724], p. 349).
Nell'ambito dell'Accademia gli incarichi del C. crebbero a cominciare da questa data, mentre, per il prestigio goduto presso gli Sconosciuti, gli giungevano aggregazioni ad altre accademie italiane: fu aggregato all'Arcadia, all'Accademia dei Muti di Reggio, ai Filodossi di Milano, ai Timidi di Mantova. Nel 1736, quando morì il Pegolotti, il C., insieme con G. Negri, ricevette dall'Accademia guastallese l'incarico di rivedere le poesie composte dai colleghi in onore del defunto.
La vita del C. si svolse prevalentemente a Guastalla. Si recava talvolta a Milano per affari e a Mantova per gli incarichi connessi alla sua mansione di faccendiere presso la famiglia Sartoretti (e vi era sempre onorevolmente accolto nell'Accademia dei Timidi), ma il viaggio più importante che dové compiere fu quello che egli fece a Vienna nel 1731 come segretario del conte di Spilimbergo, primo ministro di Giuseppe Gonzaga, succeduto nel ducato al fratello Antonio. Il ministro aveva l'incarico di sposare, come procuratore del duca, Maria Eleonora Carlotta di Schlewig-Holstein, ma per il segretario il viaggio servì soprattutto come pretesto per alcune variazioni erudite e galanti indirizzate sotto forma di due canzonette e un capitolo all'accademica "Sconosciuta" Gaetana Secchi Ronchi.
Passando per Mantova, il C. è ovviamente assalito dai ricordi virgiliani che gli sono suggeriti dal paesaggio, a Verona si intrattiene col genio di Catullo, Vicenza gli ricorda l'opera letteraria del Trissino, sulle rive del Piave gli appare lo spirito di Gaspara Stampa: "Cinto ancor di molle mirto / e di rime eccelse e vive: / amorose e vive rime, / amorose rime conte, / per cui va tuttor sublime / di Collalto il degno conte". Ma più di queste scontate fantasie piace, nel capitolo, un franco e nostalgico ripensamento dei luoghi patri lasciati per seguire oltralpe lo Spilimbergo: "Spero intanto che il ciel con fausti auspici / ricondurrà nella stagion novella / i giorni più giocondi e più felici. / E noi verrem colla real Donzella / in compagnia del gaudio e della speme / a far la patria nostra assai più bella. / E spero che verrà la pace insieme".
Il tranquillo rifugio vagheggiato dallo scrittore durante il suo viaggio a Vienna doveva ben presto tramutarsi in un teatro di guerra. Nel 1733 Francesi e Piemontesi occupavano la Lombardia e la corte di Guastalla si trasferiva a Venezia per evitare i disordini connessi alle operazioni militari. Il C. ritornerà a Guastalla nel 1736, ma lo Spilimbergo, ormai inviso a corte per l'ostilità che verso di lui nutre la duchessa, è costretto a rassegnare le proprie dimissioni nel 1739 e di lì a un anno a trasferirsi a Mantova. Lo segue il C., che nella città lombarda trova l'ambiente propizio per una attività letteraria che si intensifica, in questi ultimi anni della sua vita, nella rinnovata tranquillità di un sereno ambiente accademico. A Mantova il C. si spegneva l'8 genn. 1752.
In vita pochi componimenti furono dati alle stampe dall'autore: le poesie comprese nelle raccolte degli Sconosciuti, un oratorio in onore di s. Luigi Gonzaga (Le gare della virtù di s. Luigi Gonzaga, Guastalla 1727) e alcuni apologhi stampati a Milano senza il suo consenso. Nell'anno stesso della sua morte il pronipote Francesco Albertoni volle raccogliere tutte le poesie dello zio, che videro la luce a Milano, raccolte in due volumi, nel 1752. Il primo volume contiene, oltre a una lettera biografica premessa dall'Albertoni a titolo di presentazione dello scrittore, il "ritratto dell'autore" consistente in una collana di dodici sonetti, "Le glorie della padella, sproposito ditirambico", "Apologhi e altri componimenti faceti", "Parafrasi di vari componimenti faceti tolti dalle Selve del padre Tommaso Ceva", "Componimenti devoti", l'oratorio in onore di s. Luigi Gonzaga, "Componimenti per varie monacazioni", e"Lauree", "Versi nuziali"; il secondo volume delle Poesie comprende "Composizioni lugubri", e "Componimenti diversi", "L'infelicità dell'amor sensuale" tradotto dal De infelicitate terreni amoris di B. Menzini, "Componimenti scritti a vari letterati", "Traduzione del primo libro dell'Asino d'oro di Lucio Apuleio divisa in tre canti".
Anche dal semplice elenco degli argomenti ci si accorge del dilettantismo che impronta tutta la produzione del C., il quale accomuna tanti e così discordanti temi in base a una spiccata vena di improvvisatore, che trova nella fiducia di immediati strumenti espressivi le garanzie sufficienti per una prolungata esercitazione. I limiti, sin troppo evidenti, di questa letteratura, sono costituiti da una forma sempre approssimativa, per cui, lungi dal mantenersi estranea ai vizi dell'Arcadia, la poesia del C. ne accentua la superficialità e le insufficienze stilistiche: oltre al fatto che lo scrittore non sempre volle attenersi a una poesia d'occasione, satirica o encomiastica, certamente più aderente alla sua ispirazione di improvvisatore, ma volle tentare le più ardue prove di una lirica devota, ove si rendono ancora più evidenti i difetti di riflessione artistica.
Rispetto a questo genere di prove, maggiore interesse riservano altri tipi di componimenti, brevemente dettati da un impulso sincero e realizzati con una maggiore sicurezza delle proprie doti espressive, come alcuni dei sonetti autobiografici premessi alla raccolta delle poesie. È in questi casi che si scorgono le tracce di un'esistenza tutt'altro che giocosa, anzi turbata e difficile: ed è proprio questa coscienza che informa, almeno nelle prove migliori, la poesia satirica del C., quella che, prendendo di mira le mode più appariscenti, gli atteggiamenti meno spontanei, i gusti più innaturali, in una parola, i costumi più reprensibili della artificiosa civiltà settecentesca, s'inasprisce per inattesi, e non del tutto vacui, toni di risentimento morale. Certi componimenti contro gli arcadi e le poesie d'amore, contro il cicisbeismo, l'amor platonico, i giochi di società piacquero non a torto al Baretti e fanno pensare a motivi anticipatamente pariniani: solo che del Parini viene poi a mancare l'acuta sensibilità psicologica e, naturalmente, la sagacità stilistica.
A questo livello di poesia bonariamente satirica si ascrive il genere degli apologhi, mutuati da esempi classici (Fedro) e moderni (La Fontaine). Si tratta di una sessantina di componimenti in cui viene stigmatizzata la superbia e la leggerezza delle donne, l'improntitudine di medici e di legisti, la boria dei nobili e la corruzione che opera la ricchezza: temi cui talvolta viene meno il modesto impegno ideologico dello scrittore; mentre si rendono scoperti e manifesti quegli stessi modelli di scuola bernesca, eroicomica, che furono utilizzati nell'Arcadia giocosa (ac. canto agli esempi lirici di derivazione petrarchistica) e che ancora informeranno il genere satirico sino alla deviazione operata dal Parini.
Bibl.: F. S. Quadrio, Della storia e della ragione di ogni poesia, III, Milano 1752, pp. 97, 271; G. Tiraboschi, Biblioteca modenese, I, Modena 1781, p. 387; I. Affò, Storia della città e ducato di Guastalla, IV, Guastalla 1787, pp. 13, 47, 81; G. Lombardi, Storia della lett. ital. nel sec. XVIII, V, Venezia 1832, p. 111; G. Malagoli, C. C. umorista e favoleggiatore del secolo XVIII, in Giorn. stor. della letteratura ital., XXI (1893), pp. 265 ss.; G. Natali, Il Settecento, Milano 1949, ad Indicem.