MASSIMO, Carlo Camillo.
– Nacque a Roma il 20 luglio 1620, primogenito dei tre figli di Giacomo Luigi e di Giulia Serlupi, e fu battezzato con il nome di Carlo. Assunse quello di Camillo nel 1640, alla morte dello zio Camillo (il primo con questo nome, detto il Cieco), che lo nominò erede universale di un ingente patrimonio (circa 250.000 scudi tra beni mobili e immobili), imponendogli con specifica clausola fidecommissaria l’acquisizione del suo nome di battesimo.
Nipote di Vincenzo Giustiniani, il M. frequentò la casa dello zio marchese sin dalla prima infanzia. Il precoce e privilegiato contatto con l’ambiente culturale che gravitava intorno al cardinale Francesco Barberini fu determinante per la sua formazione culturale e per il suo futuro di mecenate e collezionista. A 10 anni cominciò a prendere lezioni di disegno da Nicolas Poussin – il rapporto con il quale si consolidò poi in una sincera e duratura amicizia – e a venti realizzò alcune delle tavole per i Documenti d’Amore (Roma 1640) dello stesso cardinale Barberini. Alla morte di Giustiniani, nel 1637, il M. ereditò la raccolta dei rami della Galleria Giustiniana (in cui erano riprodotte molte matrici dei capolavori della collezione dello zio) insieme con l’incarico di darli alle stampe, a conferma della stima che il marchese nutriva nei confronti del M. e della sua già delineata e matura passione per l’arte (Marzocchi, «Facere bibliothecam…», p. 19).
Dopo aver ricevuto una buona educazione nelle discipline letterarie e giuridiche sotto la guida di Francesco Tozzi, Paolo Giuseppe Meronio e Filippo Camoli, il M. divenne un abituale frequentatore della casa dell’antiquario Francesco Angeloni e degli eruditi che si raccoglievano intorno al suo museo di pitture, bronzi, medaglie antiche e «oggetti peregrini d’arte e di natura» (ibid., p. 22). In quest’ambito, oltre ad appassionarsi di numismatica, conobbe Giovanni Pietro Bellori, con cui strinse un’amicizia e un sodalizio culturale che durò tutta la vita. Acquisita nel 1640 l’eredità dello zio Camillo, il M. cominciò subito a investire nell’acquisto di antichità e opere d’arte e già verso i trent’anni possedeva una dozzina di capolavori eseguiti dai tre più grandi pittori del tempo: Poussin, Diego Velázquez e Claude Gellée detto Lorrain.
Di Poussin possedeva cinque dipinti. Secondo Gardner Coates (1998, p. 113), il M., subito dopo essere entrato in possesso dell’eredità dello zio, acquistò Mida si lava nel fiume Pattolo (New York, Metropolitan Museum of art) e I pastori d’Arcadia (Chatsworth, Devonshire Collection), databili al 1627-28. L’Apollo e Dafne (Parigi, Louvre) gli fu donato dallo stesso Poussin; dunque i soli dipinti frutto di una specifica commissione furono le due tele, oggi al Louvre, datate 1647: Mosè calpesta la corona del faraone e Mosè e Aronne al cospetto del faraone (Gardner, 2001). Erano cinque anche le tele di Lorrain: Paesaggio con Argo e Io, Veduta costiera con Perseo e l’origine del corallo (Holkham Hall, Leicester Collection), Veduta costiera con Apollo e la Sibilla cumana (San Pietroburgo, Ermitage), Veduta di Delfi con processione (Chicago, Art Institute), Veduta di La Crescenza (New York, Metropolitan Museum of art). Di Velázquez il M. possedeva, invece, sei ritratti; due furono espressamente commissionati al pittore durante il suo soggiorno a Roma nel 1650: il ritratto dello stesso M. (Kingston Lacy, Bankes Collection) e quello della potente cognata di Innocenzo X, Olimpia Maidalchini, perduto. Gli altri quattro, la cui identificazione resta tuttora incerta, raffiguravano Filippo IV, la regina Maria Anna, le infante Maria Teresa e Margherita, e furono acquistati dal M. nel 1657 in Spagna.
Nel 1646, il M. fu nominato cameriere segreto e familiare di papa Innocenzo X, incarico che lo avviò a una rapida e brillante carriera ecclesiastica. Nel 1651 divenne chierico di Camera e nel dicembre 1653 fu nominato patriarca di Gerusalemme. L’anno successivo, il 16 gennaio, ricevette le «facultates» come nunzio in Spagna, dove rimase fino al 1658. La prestigiosa missione si rivelò tuttavia controproducente per le sue aspettative di carriera: preceduto dal sospetto di essere filofrancese, dati i buoni rapporti con i Barberini, al suo arrivo in Spagna il M. fu dichiarato persona non gradita e dovette aspettare più di un anno per poter accedere a corte. Una volta guadagnata la fiducia del re, anche grazie alla mediazione di Velázquez, il M. non riuscì comunque a condurre brillantemente la missione diplomatica. Alcune fonti sostengono che si inclinò con eccesso di zelo in favore della Spagna, forse per rimediare alla sua nomea di filofrancese; altri studiosi pongono piuttosto l’accento sugli screzi con l’ambasciatore veneziano a Madrid proprio nel momento in cui Alessandro VII cercava una nuova alleanza con la Serenissima (Marzocchi, «Facere bibliothecam…», pp. 41 s.). Sta di fatto che, dopo il suo rientro, il M. trascorse una sorta di esilio nel suo feudo di Roccasecca e non ebbe avanzamenti di carriera né sotto il pontificato di Alessandro VII né sotto quello di Clemente IX.
Si dedicò allora agli studi numismatici, tenendo un’assidua corrispondenza con valenti eruditi (Pierre Seguin, Francesco Gottifredi, Bellori), e a preparare degnamente il suo rientro a Roma con una strategica operazione immobiliare. Nel 1664 perfezionò infatti l’acquisto del palazzo alle Quattro Fontane già dei Mattei (ora Albani-Del Drago), dove provvide a sistemare la sua collezione di antichità, dipinti, sculture, monete e la sua ricca biblioteca, che rese fruibili e aperte al pubblico. L’acquisto rappresentò il coronamento della sua passione per l’antico, ma anche un modo per guadagnare visibilità e rinsaldare a Roma la sua posizione politica. I frutti dell’oculato investimento non tardarono ad arrivare: nel maggio del 1670, Clemente X lo nominò maestro di Camera e nel dicembre lo creò cardinale con il titolo di S. Maria in Domnica, espressamente creato per lui. Contemporaneamente Bellori, nominato commissario alle Antichità di Roma, avviò una stretta collaborazione con il M. al fine di impedire la dispersione e lo spoglio di preziosi beni artistici dalla città. L’impegno dei due riuscì a conquistare anche il pontefice e il cardinal nepote Paluzzo Altieri, e a evitare, per esempio, che il granduca di Toscana Cosimo III de’ Medici nel 1671 acquistasse le statue della collezione Ludovisi.
Dalla collezione Ludovisi il M. poi comprò per sé il celebre gruppo di Castore e Polluce, (Madrid, Museo nacional del Prado): in questo embrionale concetto di tutela, impedire la dispersione del patrimonio significava semplicemente, nelle stesse parole del M., che da Roma non dovesse «levarsi cosa alcuna» (Montanari, p. 44).
Anche i restanti anni di cardinalato si caratterizzarono per interventi e mediazioni culturali e artistiche: il M. riformò l’Accademia degli umoristi; per la famiglia del pontefice sovrintese ai lavori di decorazione del nuovo palazzo presso la chiesa del Gesù, facendo ottenere a Carlo Maratti, che nel 1670 lo aveva ritratto in veste di cardinale (Roma, collezione Massimo), la commissione dell’affresco con l’Allegoria della Clemenza (1673-74). Fu anche, dal 1671, protettore dell’Ordine dei trinitari (21 marzo) e dell’Ordine dei cistercensi (2 settembre).
Il M. morì a Roma il 12 sett. 1677, nel suo palazzo alle Quattro Fontane.
Fu sepolto nella tomba di famiglia nella basilica di S. Giovanni in Laterano (cappella del Ss. Crocifisso). La sua collezione fu ereditata dal fratello, Fabio Camillo (III), che ne fece redigere un inventario (pubblicato in C. M. collezionista di antichità: fonti e materiali, a cura di M. Buonocore et al., Roma 1996, pp. 91-157).
Fonti e Bibl.: F. Haskell, Patrons and painters. A study in the relations between Italian art and society in the age of the Baroque, New Haven-London 1980, pp. 114-119; V.C. Gardner Coates, Cardinal C. M., Nicolas Poussin, and Claude Lorrain: a study of Neostoic patronage in Baroque Rome, dissertazione, Univ. of Pennsylvania, 1998; T. Montanari, La politica culturale di Giovan Pietro Bellori, in L’idea del bello (catal.), Roma 2000, pp. 40, 44; V.C. Gardner Coates, A painting reserved for «Nobil Diletto»: Poussins’ «Moses and Aaron before Pharaoh» for C. M., in Gazette des beaux-arts, CXXXVIII (2001), pp. 185-202; S. Feci - L. Bortolotti, Giustiniani, Vincenzo, in Diz. biografico degli Italiani, LVII, Roma 2001, pp. 368, 374; J.L. Colomer, 1650: Velázquez alla corte pontificia. Galleria di ritratti della Roma ispanofila, in Velázquez, Bernini, Luca Giordano. Le corti del barocco (catal., Roma), a cura di F. Checa Cremades, Milano 2004, pp. 43-46; L. Beaven, Cardinal C. M. and Claude Lorrain: landscape and the construction of identity in Seicento Roma, in Storia dell’arte, n.s., XII (2005), pp. 23-36; R. Marzocchi, «Facere bibliothecam in domo». La biblioteca del cardinal C.C. II M. (1620-1677), Verona 2005, pp. 11-46; Id., Biblioteche cardinalizie: i libri del cardinale C. M. dallo studio alla libraria, in Biblioteche private in Età moderna e contemporanea. Atti del Convegno internazionale, Udine… 2004, a cura di A. Nuovo, Milano 2005, pp. 117-128; Velázquez (catal.), a cura di D. Carr, London 2006, n. 40, p. 224; Hierarchia catholica, IV, p. 203; V, p. 7.