STENDARDI, Carlo Antonio
– Nacque a Siena nell’agosto del 1721 da Francesco, patrizio fiorentino, che morì poco dopo la nascita del figlio, e da Urania Venturi, aristocratica senese.
All’età di vent’anni intraprese un viaggio in Oriente per cercare di migliorare la sua situazione economica, arrivando nel porto di Smirne dopo un faticoso tragitto. Dopo tre anni di difficoltà, dei quali lasciò un diario, comprendente anche un ‘capitolo geografico’ dedicato ad Antonio Fabbrini, ritornò in patria per compiere la sua educazione, dedicandosi allo studio della storia, della metafisica, della poesia e della matematica.
Per l’esperienza acquisita in precedenza, nel 1748 ottenne dal governo austriaco, essendo passata la Toscana sotto l’imperatore Francesco Stefano di Lorena, l’incarico di recarsi a Costantinopoli, con il titolo di ‘commissario di sua maestà imperiale’; doveva accompagnare schiavi turchi che si trovavano a Livorno ed eseguire alcuni delicati incarichi. In quella circostanza scrisse diverse lettere sull’amministrazione e i costumi di quel Paese per confutare la convinzione allora diffusa sul dispotismo del governo turco. Venne ben presto richiamato dal suo governo, che desiderava stipulare la pace con le reggenze barbaresche. A questo scopo, nell’ottobre del 1748 fu nominato residente ad Algeri dove, affiancato da due ‘commissari imperiali’, contribuì alla ratifica dell’accordo.
Negli anni successivi si dedicò a studi di matematica e di astronomia applicata alla nautica, compiendo diverse osservazioni e redigendo alcuni saggi raccolti postumi (Ristretto della vita..., a cura di A. Calogerà, 1765). Si distinse anche per il suo attivismo diplomatico e per l’intelligenza con la quale seppe sempre osservare e interpretare la situazione algerina.
Lo attesta ad esempio una relazione intitolata Portraits des consuls des différents puissances qui résident à Alger, inviata al suo governo l’11 ottobre 1748 da uno dei più noti diplomatici francesi nei Paesi barbareschi, André-Alexandre Lemaire. Questi lo segnalava come «jeune, mais reglé dans les moeurs et assez discret», sottolineando il suo «esprit véhément» e la sua «imagination outrée» (Bono, 2005, p. 134).
Dopo la ratifica dell’accordo, su sollecitazione del governo austriaco, Stendardi si preoccupò di estenderne le garanzie anche a favore dei porti fiamminghi di Ostenda e Newport, nelle Fiandre imperiali. Nel dicembre del 1750 fu incaricato di riscattare una ventina di sottufficiali e soldati dell’esercito austriaco, oltre che tutti gli altri sudditi dell’Impero e qualche toscano, prigionieri del bey algerino, obiettivo che riuscì a raggiungere l’anno successivo.
Una testimonianza delle sue qualità di osservatore ce la forniscono in particolare le sue relazioni sul Governo d’Algieri e sul Commercio di Algieri: nella prima individuava le cause della difficile e delicata situazione politica dell’Algeria nella sistematica usurpazione del potere esercitata da parte dei bey regnanti nei confronti del Divano, a favore del Consiglio degli alti funzionari e dei favoriti di corte. Rilevava anche come il governo non fosse in grado di controllare le aree interne; nella seconda forniva una serie di dati molto utili come termini di confronto e di conferma di notizie fornite da altre fonti coeve.
Dopo sette anni, nel marzo del 1755, tornò in Toscana in seguito alla rottura dei rapporti fra l’Impero asburgico e Algeri e la pericolosa situazione politica di quell’area. Portò con sé medaglie, iscrizioni, bassorilievi e pietre scolpite, romani, greci, arabi e punici raccolti e acquistati nei limiti delle sue possibilità economiche durante il suo soggiorno nel territorio algerino. Fece acquistare al governo toscano, per la Galleria degli Uffizi di Firenze, una pregevole raccolta di medaglie, molto lodata da Antonio Cocchi, eccellente antiquario, che venne incaricato di studiarle e classificarle. A Vienna furono invece spedite molte iscrizioni su marmi e molte piante africane.
Il governo toscano, pienamente soddisfatto del suo operato, lo costrinse quasi subito ad accettare l’incarico di console presso il Regno delle Due Sicilie. A Napoli ebbe anche l’opportunità di continuare a coltivare la sua passione per le antichità e per le discipline scientifiche. Dopo cinque anni, per l’aggravarsi delle sue condizioni di salute a causa dei molteplici disagi sofferti ad Algeri, riuscì a tornare in patria, dove ricevette l’incarico di provveditore all’ufficio di Sanità e di magistrato dell’Arte di cambio.
Morì a Firenze, per apoplessia, il 6 luglio 1764. Fra le sue carte fu rinvenuto l’epitaffio che aveva redatto personalmente quando ad Algeri imperversava la peste.
Fece parte dell’Accademia Colombaria e dell’Accademia fiorentina e degli Apatisti, che nella sua sede gli dedicò un elegante ritratto con una espressiva epigrafe. Partecipò in maniera attiva alle loro iniziative scrivendo discorsi apprezzati; recitava cantate, sonetti e alcuni inni da lui composti ispirati al gusto di quelli attribuiti a Orfeo, dedicati ad Agostino Lomellino (Nemillo Caramicio fra gli Arcadi) e a Pietro Metastasio. Tradusse anche in versi sciolti la tragedia Ines de Castro di Houdart de la Motte.
Opere. Ristretto della vita con alcune relazioni e dissertazioni per la maggior parte inedite di Carlo Stendardi, in Nuova raccolta d’opuscoli scientifici, e filologici, a cura di A. Calogerà, XIII, Venezia 1765, pp. 263-330. Si tratta di una raccolta postuma, di cui esiste anche un’edizione coeva – senza indicazione di luogo di pubblicazione e di data, con paginazione da IIJ a LXXXIX –, che contiene anche un profilo biografico di Stendardi redatto da Giovanni Battista Passeri. La raccolta è apparsa pure in estratto in una edizione a sé stante di gran parte degli scritti di Stendardi, fra cui Governo d’Algieri, Commercio di Algieri, Relazione della peste d’Algieri negli anni di Cristo 1752-1753 (edita in Bono, 2005, pp. 154-158), Meteore ed altri fenomeni osservati in Algieri nell’anno 1753 incominciando dall’equinozio autunnale del 1752 (per ogni mese sono indicate in maniera sintetica le condizioni climatiche e forniti i dati sulla temperature minima e massima), Relazione della tragica morte di Mehemet Pascià bey d’Algieri succeduta nel dì 11 di dicembre dell’anno 1754 (riprodotta integralmente in Appendice a Bono, 2005, pp. 153 s.), Saggio astronomico, Descrizione dei suoi viaggi al Vesuvio, Divinizzazione sopra la luce in Napoli nel 1756. Nel 1763 pubblicò a Livorno una raccolta di Inni.
Fonti e Bibl.: Paris, Archives nationales, Affaires Étrangères, Correspondance consulaire, B1, 126.
Il corrier letterario, III, Venezia 1766, pp. 592 s.; Novelle letterarie pubblicate in Firenze l’anno 1740, a cura di G. Lami, XXVII, Firenze 1766, pp. 707-714; De Angelis, S., C.A., in Biografia degli italiani illustri, a cura di E. De Tipaldo, IV, Firenze 1837, p. 505; S., C.A., in Storia della Toscana, a cura di F. Inghirani, XIV, Fiesole 1844, pp. 320 s.; S. Bono, Algeri alla metà del XVIII secolo nella testimonianza del console C.A. S., in Africa, XX (1965), pp. 250-268; Id., Lumi e corsari: Europa e Maghreb nel Settecento, Perugia 2005, pp. 132-161.