PROCACCINI, Carlo Antonio
PROCACCINI, Carlo Antonio. – Figlio di Ercole e della sua terza moglie Cecilia Cerva, nacque a Bologna il 13 gennaio 1571. Anche se non si dispone di notizie sulla sua formazione, è assai probabile che si sia svolta nell’ambito familiare, poiché sia il padre sia il fratello maggiore, Camillo, esercitavano la pittura, arte alla quale si dedicò principalmente anche il fratello più giovane, Giulio Cesare. Nel 1587 Carlo Antonio si trasferì insieme alla famiglia a Milano, dove è attestato nel 1590 (Besta, 1933) al seguito dello stesso Camillo, convocato in città da Pirro I Visconti Borromeo.
Nel cantiere patrocinato in quegli anni dal Visconti Borromeo, la villa e il ninfeo di Lainate, si è infatti proposto di rintracciare gli esordi del pittore (Morandotti, 2005), che nelle sale del palazzo avrebbe collaborato con Camillo e la sua bottega dipingendo scene di paesaggio esemplate sui modelli della pittura fiamminga.
Se intorno al 1598 dovrebbe datarsi il S. Francesco riceve le stimmate in una sala di villa Frisiani a Corbetta, nel Milanese, per il quale è noto un disegno preparatorio a palazzo d’Arco a Mantova (Neilson, 1999), la prima attestazione della sua attività risale al 1601, quando eseguì due Storie di s. Raimondo, oggi disperse, per S. Eustorgio a Milano. Nel 1604 gli venne saldato il quadrone con la Morte di s. Carlo Borromeo, parte della serie dedicata alla vita del santo nel Duomo milanese, che, insieme alla Madonna del Rosario a Erve, nel Bergamasco, è una delle rare prove di Carlo Antonio nella pittura di storia: a esse è stato proposto di aggiungere anche la Madonna con il Bambino e santi in collezione Borromeo a Isola Bella (Vanoli, 2011).
A fronte di queste opere che rivelano, pur nella vivacità della tavolozza, una ripresa di qualità piuttosto modesta dei moduli figurativi di Camillo, Procaccini scelse di differenziare la sua produzione da quella dei fratelli orientandola nel campo della natura morta e della pittura di paesaggio con scene sacre, poste talvolta all’interno di rigogliose ghirlande fiorite. I modelli di riferimento dell’artista per queste raffigurazioni, assai di moda nella Milano di primo Seicento, sono individuabili in Paul Brill e Jan Bruegel (Borsieri, 1619), dei quali Carlo Antonio divenne, sebbene in tono minore, un vero e proprio alter ego italiano.
Nonostante sia tuttora arduo scalare nel tempo la produzione di genere del pittore, per l’esiguo numero di opere datate e per la loro scarsa accessibilità (dove non altrimenti specificato, esse sono in raccolte private), è possibile rintracciare la sua mano in alcune prove dei fratelli: gli sono stati riconosciuti sia lo sfondo della tela con Gli apostoli al sepolcro della Vergine di Camillo, nel coro della chiesa di S. Angelo a Milano, del 1598 circa, sia la veduta a volo d’uccello nella Maddalena condotta in cielo dagli angeli, dove le figure spettano a Giulio Cesare, eseguita tra il 1605 e il 1607.
Entro il 1609 Procaccini affrescò, con aiuti, un ciclo allegorico profano in alcuni ambienti del castello Visconti di San Vito a Somma Lombardo. Nell’ampia decorazione egli diede prova di una notevole attenzione naturalistica nella resa degli animali e dei paesaggi, evidente in particolare nelle scene che gli sono riferibili con certezza sullo scalone d’onore, Le tre Grazie e Orfeo incanta gli animali. Quest’ultimo episodio presenta, inoltre, lampanti tangenze con l’incisione raffigurante Adamo nel paradiso terrestre, eseguita da Cesare Bassani su disegno dello stesso Carlo Antonio, parte dell’apparato illustrativo dell’edizione della sacra rappresentazione di Giovan Battista Andreini intitolata al progenitore, pubblicata per la prima volta a Milano nel 1613.
A testimoniare le sue notevoli doti ritrattistiche, altrimenti non documentate, nel controfrontespizio dell’Adamo compare un’effigie incisa di Andreini.
Una registrazione degli Stati delle anime del 1610 consente di stabilire che Procaccini abitava allora a Milano nella parrocchia di S. Giovanni in Laterano insieme alla moglie Ippolita e ai figli Angela, Ercole e Francesco, questi ultimi due futuri pittori (Besta, 1933).
All’inizio del secondo decennio del Seicento dovrebbero situarsi la tavola con il Paradiso terrestre, esemplato su un dipinto di Jan Bruegel inviato da quel pittore a Federico Borromeo nel 1608, e il Trionfo di s. Carlo Borromeo (Morandotti, 1999), che forse segue di poco tempo la canonizzazione dell’arcivescovo milanese, avvenuta nel 1610 (altre due versioni dello stesso soggetto sono conservate nella Quadreria dell’arcivescovado di Milano e all’Istituto Gazzola di Piacenza). Al Trionfo va forse accostato il S. Giorgio e il drago della Pinacoteca Malaspina di Pavia.
Tra il 1612 e il 1615 sono documentate le tele che decorano la cappella di S. Carlo e l’altare maggiore della chiesa di S. Marta a Cannobbio, sul lago Maggiore (Gnemmi, 1997), e allo stesso periodo potrebbe risalire anche il Paesaggio con s. Margherita della Pinacoteca Ala Ponzone di Cremona, al quale, per il taglio compositivo affine, vanno forse avvicinati il Martirio di s. Stefano, il Cristo e la samaritana al pozzo (Crispo, 2003) e il Riposo in Egitto delle Trafalgar Galleries di Londra (Morandotti, 1999).
Sono invece datati al 1616 il Cristo che risana il cieco e Mercurio e le figlie di Cecrope (Longhi, 1965), ai quali si possono legare, per un’ormai quasi completa fusione delle figure nel paesaggio, le ghirlande di fiori con il Riposo durante la fuga in Egitto (Morandotti, 1999) e Cristo e la samaritana al pozzo (Dotti, 2011).
Entro il 1619 Procaccini prese parte, con i fratelli, alla decorazione dei chiostri di S. Angelo a Milano, e intorno allo stesso momento data probabilmente un’altra versione della Fuga in Egitto (Morandotti, 1999).
Intorno al 1620 collaborò, per la natura morta, alla Venere e Amore di Giulio Cesare Procaccini, di recente presso l’antiquario Didier Aaron. Negli anni più tardi della sua attività si avvalse del figlio Ercole, per le figure, in un Venere e Amore entro una ghirlanda di fiori (Crispo, 2003) e nella Flora dell’Accademia Carrara di Bergamo, alla quale è stato proposto di legare la Brocca metallica con fiori (Morandotti, 2010), la prima natura morta autonoma riferita al pittore.
Prove del maestro compaiono in numerose raccolte lombarde (Settala, Durini, Lattuada, d’Adda, Borromeo d’Angera, Pertusati, Visconti) e presso i Savoia, ed è inoltre ricordata un’intensa attività per i governatori spagnoli a Milano, a ora non rintracciata.
Non si conosce la data della morte di Procaccini, che risulta ancora vivo nel 1628 (Caprara, 1977). È molto probabile che sia avvenuta durante la peste del 1630.
Fonti e Bibl.: G.B. Andreini, L’Adamo, Milano 1613; G. Borsieri, Il supplimento della Nobiltà di Milano, Milano 1619, p. 66; C.C. Malvasia, Felsina pittrice: vite de’ pittori bolognesi (1678), I, Bologna 1841, p. 220.
B. Besta, Alcune notizie per una storia degli artisti milanesi del Seicento, in Archivio storico lombardo, LX (1933), 4, pp. 454 s.; A. Foratti, in U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXVII, Leipzig 1933, p. 414; A. Arfelli, Per la cronologia dei Procaccini (e dei figli di Bartolomeo Passarotti), in Arte antica e moderna, 1959, n. 8, pp. 457-461; R. Longhi, Un italiano sulla scia di Elsheimer, C.A. P., in Paragone, XVI (1965), 185, pp. 43 s.; M. Rosci, I quadroni di San Carlo del Duomo di Milano, Milano 1965; V. Caprara, Nuovi reperimenti intorno ai Procaccini, in Paragone, XXVIII (1977), 333, pp. 95-100; G. Bora, La pittura: dalla fine del Quattrocento all’Ottocento, in La Basilica di Sant’Eustorgio a Milano, a cura di G.A. Dell’Acqua, Milano 1984, pp. 185 s.; M.C. Rodeschini Galati, Presenze cremonesi, milanesi e cremasche (1570-1630), in I pittori bergamaschi dal XIII al XIX secolo. Il Seicento, II, Bergamo 1984, pp. 11, 30; A. Morandotti, C.A. P., in La natura morta in Italia, a cura di F. Porzio - F. Zeri, I, Milano 1989, pp. 233 s.; M. Bona Castellotti, Collezionisti a Milano nel Settecento, Firenze 1991, ad ind.; A. Morandotti, in Pittura tra Ticino e Olona. Varese e la Lombardia nord-occidentale, a cura di M. Gregori, Cinisello Balsamo 1992, pp. 261-263; D. Gnemmi, Catalogo di C.A. P. Attribuzioni documentate, in Bollettino storico per la provincia di Novara, LXXXVIII (1997), pp. 693-696; A. Morandotti, in Pittura a Milano dal Seicento al Neoclassicismo, a cura di M. Gregori, Cinisello Balsamo 1999, pp. 12-17, 235-244; N.W. Neilson, in Florilegio d’arte. Pezzi scelti dal Museo di Palazzo d’Arco in Mantova (catal.), a cura di M. Di Giampaolo, Viadana 1999, pp. 48 s.; C. Geddo, Collezionisti e mecenati a Milano tra Sei e Settecento: i Durini conti di Monza, in Artes, 2001, n. 9, ad ind.; S.A. Colombo, in Il ritratto in Lombardia da Moroni a Ceruti (catal., Varese), a cura di F. Frangi - A. Morandotti, Milano 2002, p. 132; A. Crispo, Carlo Antonio e l’eredità dei Procaccini, in Paragone, LIV (2003), 639, pp. 42-50; A. Morandotti, Milano profana nell’età dei Borromeo, Milano 2005; Id., in Fiori. Natura morta e simbolo dal Seicento a Van Gogh (catal., Forlì), a cura di D. Benati - A. Morandotti - F. Mazzocca, Milano 2010, pp. 66 s., 104-107; D. Dotti, Carlantonio P. pittore di nature morte, in Paragone, LXII (2011), 741, pp. 35-41; P. Vanoli, in Collezione Borromeo. La galleria dei quadri dell’Isola Bella, a cura di M. Natale - A. Morandotti, Cinisello Balsamo 2011, pp. 278-280; A. Crispo, Qualche proposta per C.A. P., in Parma per l’arte, XVIII (2012), 2, pp. 69-72; D. Dozio, «Gallerie di preziose pitture»: la quadreria di Ercole Visconti (1710), in Squarci d’interni. Inventari per il Rinascimento milanese, a cura di E. Rossetti, Milano 2012, p. 236; A.E. Galli - S. Monferrini, I Borromeo d’Angera. Collezionisti e mecenati nella Milano del Seicento, Milano 2012, ad ind.; A. Morandotti, Natura morta lombarda (e piemontese) delle origini. Alcuni spunti nella Fototeca Zeri, in La natura morta di Federico Zeri, a cura di A. Bacchi - F. Mambelli - E. Sambo, Ferrara 2015, pp. 65-67; P. Vanoli, Il «libro di lettere» di Gerolamo Borsieri: arte antica e moderna nella Lombardia di primo Seicento, Milano 2015, ad indicem.