GOLDONI, Carlo Antonio
Nacque a Livorno il 28 maggio 1822 da Pio Gustavo e Geltrude Rebucci.
La prima formazione si svolse presso il padre, titolare a Modena di un noto studio litografico. Tuttavia, fin dall'inizio il percorso professionale del G. si mostra come indissolubilmente legato alla figura del pittore modenese Adeodato Malatesta: un discepolato che con ogni probabilità fu una diretta conseguenza dei rapporti professionali tra Malatesta e Pio Gustavo, il quale già in una lettera del maggio 1839 ringraziava Malatesta per gli insegnamenti impartiti al figlio, allora diciassettenne (Lettere all'artista, 1998, p. 47).
Negli anni Quaranta i primi impegni del G. furono dunque nel campo calcografico presso la bottega del padre, che nel 1840 aveva pubblicato l'album, con testo illustrativo di Antonio Peretti, Disegno del monumento in plastica eretto nella chiesa di S. Francesco a Modena in memoria della preservazione di questa città dal cholera-morbus, eseguito da Luigi Mainoni. Già nel 1844 il G. firmò i Ritratti di modenesi illustri, lavoro litografico diretto da Malatesta destinato al Valhalla modenese a cura di Peretti, fautore, in quegli anni, con lo stesso Malatesta, di un rinnovato clima culturale che apriva la città anche a nuove tecniche e culture. Ancora negli anni 1848, 1851 e 1854 il G. collaborò con il padre ai primi tre Albi della Società di incoraggiamento per gli artisti degli Stati estensi, occupandosi delle tavole di riproduzione dei dipinti ospitati alle esposizioni triennali.
Una delle prime opere pittoriche del G. fu La prima comunione di s. Luigi Gonzaga, pala eseguita su commissione di Carlo Candrini e collocata nel settembre del 1846 nella chiesa parrocchiale di Redù, nei pressi di Nonantola.
Qualche tempo dopo Peretti (1848, p. 555) rilevò come l'ispirazione dell'autore fosse dovuta innanzitutto alle suggestioni del dipinto eseguito da Malatesta pochi anni prima, nel 1841, rappresentante La vestizione di Alfonso III (Modena, Accademia militare), che a sua volta rimandava al modello dettato dal Battesimo di Clodoveo di Giuseppe Bezzuoli, realizzato nel 1823 per la chiesa fiorentina di S. Remigio. La tela del G., come nota il Rivi (La virtù delle arti, 1998, p. 210), si poneva in realtà a metà strada tra i due dipinti, accentuando rispetto all'opera di Malatesta il senso di profondità per mezzo di un sapiente uso delle assi prospettiche poste in diagonale, e grazie anche alla soluzione compositiva di anteporre al nucleo centrale della scena due figure complementari che introducevano nello spazio del racconto. Gli assunti di Peretti, che sottolineava la necessità per i giovani artisti di scegliere "quei temi di storia che insieme conciliano la dignità dei fatti e la semplicità dei domestici affetti" (Peretti, 1848, p. 555), si traducevano nell'opera del G. in una descrizione non superficiale dell'ambiente e dei costumi, ma anche nell'attenta organizzazione delle luci, nella resa espressiva dei personaggi, nella scelta programmatica di caratterizzazione fisionomica.
Attorno al 1846 il G. dovette probabilmente eseguire il ritratto di Obizzo II d'Este, oggi all'Accademia militare di Modena, per la serie degli antenati estensi di palazzo ducale, opera in cui si legge l'adesione totale al romanticismo storico, seppure con un richiamo stereotipato di temi medioevali.
Pur riprendendo il modello compositivo dell'Azzo d'Este (Accademia militare), realizzato per la stessa serie non molti anni prima da un altro allievo di Malatesta, Luigi Asioli, il G. propose alcune significative varianti. Rese infatti visibile la fonte d'illuminazione della scena, con evidenti cesure d'ombra, e orientò il volto del protagonista direttamente verso lo spettatore, per un più marcato coinvolgimento psicologico.
Il 23 maggio 1846 si dispose il pagamento per due copie dei ritratti ritenuti tradizionalmente di Ludovico Lana - in realtà il Ritratto di giovinetto, tela da attribuirsi forse al pittore veronese Antonio Giarola - e di Nicolò Abbati (o Dell'Abate), commissionate al G. per arricchire la collezione dei ritratti di artisti modenesi che, secondo un'istanza di autocelebrazione, l'Accademia stava riunendo nella propria galleria, dove tuttora si conservano (Peruzzi, 1998, p. 138).
La serie, che prevedeva anche ritratti di contemporanei, comprende inoltre quello di Biagio Magnanini, presentato in un'adunanza del 13 maggio 1843 da Peretti ai colleghi accademici, assegnato al G. dall'inventario dell'Accademia del 1866, ma erroneamente attribuito a Malatesta da quello del Regio Istituto di belle arti del 1909 (Rivi, in La virtù delle arti, 1998, p. 210). L'errore si spiega anche con la perfetta aderenza allo stile del maestro che il pittore dimostrava, soprattutto in quegli anni. È certo inoltre che Malatesta lasciava compiere ai suoi collaboratori parti secondarie di opere da lui firmate; e dunque, anche di fronte alla difficoltà di una puntuale verifica documentaria in merito, per diverse opere dell'artista, bisogna considerare l'ipotesi di un intervento del G., il quale non dovette limitarsi a operazioni conservative e di restauro, pure documentate su opere di Malatesta. In una lettera al maestro del 24 nov. 1856, il G. inviò difatti anche una nota di fattura con ricevuta relativamente a operazioni di foderatura "pel quadro rappresentante la caduta di San Paolo" (Lettere all'artista, p. 111); mentre il 19 luglio 1860 scriveva di star lavorando sulla Sconfitta di Ezzelino da Romano (Modena, Galleria Estense).
Il rapporto del G. con Adeodato Malatesta non dovette sempre essere facile, nonostante il matrimonio con Claudia, sorella del maestro, avvenuto negli anni Cinquanta. Il 10 marzo 1860 scrisse con tono estremamente risentito per la nomina di Antonio Simonazzi a professore della scuola dei gessi, di importanza maggiore rispetto a quella degli elementi di figura, per la quale era incaricato come maestro lo stesso G. fin dal 21 maggio 1851 (Rivi, in Modelli d'arte e devozione, p. 263).
Per la formazione del G. una certa importanza dovette avere il viaggio a Parigi nel 1860. Dalle lettere scritte nel settembre al maestro dalla capitale francese emerge un gusto ben preciso; egli riportò al più anziano pittore le sue impressioni relative ai quadri contemporanei visti al Palais du Luxembourg, tra cui quelli di E. Delacroix, "pittore troppo variato", nei quali era dato di "vedere un miscuglio di tutte le più belle tinte della tavolozza, impiegate per dipingere tanto le carni quanto gli accessori" (Lettere all'artista, p. 126).
Nella tela eseguita pochi anni dopo il soggiorno parigino, nel 1866, per il convento delle salesiane raffigurante il Sacro Cuore di Gesù che compare alla beata Margherita Maria Alacoque, oggi nella nuova sede conventuale a Baggiovara, l'artista si mantenne nell'ambito di un misurato romanticismo, seppure aprendosi a tinte più vivaci e a un tocco più libero.
Già da qualche anno le attività didattiche e di restauro andavano soppiantando quella più propriamente artistica. Nel 1859 era stato nominato restauratore della Galleria Palatina (Rivi, in La virtù delle arti, p. 211), ma la sua attività in questo campo risale già al quinto decennio.
Nel 1866 ebbe termine il restauro sul fregio con le Storie del triumvirato realizzate da Nicolò Dell'Abate nella sala del Fuoco in palazzo comunale, che vide il G. operare a seguito del distacco di alcune porzioni di intonaco eseguito da Giovanni Rizzoli l'anno prima. Una relazione della commissione, presieduta da Malatesta, attestò a lavoro concluso la qualità del restauro del G., che eliminò i precedenti restauri a olio, intervenendo con un "abile ritocco, che bellamente si fonde col circostante colore" (Id., in Modelli d'arte e di devozione, p. 264).
Il G. restaurò anche dipinti della Galleria Estense, come l'ancona con l'Assunzione della Vergine di Giacomo e Giulio Francia o la Natività di Gesù con due figure femminili a destra e coro di angeli in lato, attribuita a Pellegrino Munari.
Soli ricordava che il G. intervenne in particolare sulla ricca cornice intagliata e dorata del dipinto (III, p. 76): la tecnica della doratura era stata sperimentata dal G., sempre secondo Soli, in età molto precoce, nel 1839, allorché si era occupato della doratura dei fregi della cappella di S. Ignazio in S. Bartolomeo a Modena; mentre Luigi Manzini ripuliva i quadri (I, p. 138). Un rapporto di collaborazione con Manzini è ricordato da Barbieri (1985) anche nel campo della scenografia, durante i lavori per il palcoscenico del teatro Comunale.
L'attività di restauro del G. fu, in parte, contestata da Giovanni Secco-Suardo, che, tuttavia, nel suo Manuale ragionato… del restauratore dei dipinti, pubblicato nel 1866, dedicava un intero paragrafo al "sistema di trasporto immaginato dal sig. Carlo Goldoni", tecnica con la quale questi aveva trasportato "lodevolmente, da una tavola impressa di gesso alla tela, un abbastanza vasto dipinto di scuola romana appartenente alla R. Pinacoteca di Modena", una "Nostra Donna in trono con angeli e santi" (p. 131).
Piuttosto scarse sono le notizie sull'attività tarda del G. che, comunque, dovette essere concentrata negli impegni didattici.
Morì a Modena il 22 ott. 1874.
Il figlio Giuseppe (nato a Modena intorno al 1850 e ivi morto il 14 genn. 1911), pittore e restauratore, seguì le orme del padre; già nel 1872, studente nella locale Accademia di belle arti, alcuni suoi saggi erano stati scelti per l'invio all'Esposizione nazionale di Milano (Rivi, in La virtù delle arti, p. 212). Nel 1875, appena un anno dopo la morte del padre, Malatesta scriveva a Giuseppe Campori perché lo sostenesse nella proposta di assunzione di Giuseppe quale restauratore della Galleria Palatina che intendeva avanzare alla direzione generale di Antichità e belle arti, ribadendo le competenze del giovane artista nel "restauro" e nel "distacco delle pitture dalla tela" qualche tempo dopo direttamente al ministero (ibid.). Ancora Malatesta informa sull'attività di Giuseppe per un noto negoziante di quadri e di antichità veneziano, e sul fatto che, qualche tempo prima, si era cimentato nel trasporto di un suo dipinto, danneggiato dall'umidità della chiesa (il S. Paolo per la parrocchiale di Concordia, poi andato distrutto). Eseguì il Ritratto di Carlo Goldoni (istituto d'arte A. Venturi), assegnabile allo stesso Giuseppe per la testimonianza fornita dall'inventario del Regio Istituto di belle arti del 1909, mentre il Prospetto delle variazioni del 1875 (inv. 3341) permette di datare con una certa sicurezza l'opera a quell'anno, a poca distanza di tempo dalla morte del Goldoni. Il dipinto entrò a febbraio in Accademia e venne collocato immediatamente nella sala degli artisti modenesi. L'attribuzione a Giuseppe è ulteriormente confermata dal riscontro stilistico con altre opere note dell'artista: il Ritratto della marchesa Adele Ricci Campori, oggi nella Raccolta d'arte della Provincia, il Ritratto del conte Benedetto Bonasi e quello di Carolina Giorgini Bonasi ora al Museo civico, e, infine, il Ritratto dell'ingegnere Cavazzuti presso l'istituto d'arte A. Venturi.
Nel 1880 ricevette la nomina ministeriale quale aggiunto professore di disegno nell'Accademia di belle arti. Nel 1882 espose suoi dipinti, non altrimenti identificabili, alla mostra ferrarese della galleria Benvenuto Tisi, Camera rustica, valutato 200 lire, e Due buoi dal vero (Torresi, 1999, p. 78), e nel 1889 partecipò alla collettiva della Società di belle arti di Verona. Soli (I, p. 107) ricordava che nel 1884 Giuseppe eseguì un sottoquadro, con il Miracolo di s. Zita, per l'altare di S. Bartolomeo nella chiesa di S. Barbara. Nel 1886, infine, allestì e curò a Modena una mostra delle opere dell'anziano Adeodato Malatesta. All'anno successivo dovrebbe riferirsi la copia della Beata Margherita Maria Alacoque paterna che Giuseppe realizzò per la chiesa di S. Agostino. Di proprietà privata sono due nature morte firmate, già erroneamente attribuite al G. (Frigieri Leonelli); noti anche altri quadri, di soggetto sacro: Il miracolo della beata Vergine dell'Olmo per l'omonimo santuario di Montecchio e il S. Lorenzo di Gavassero, nella provincia reggiana.
Fonti e Bibl.: A. Peretti, Sulla Triennale, Modena 1844, p. 114; Id., Esposizione di belle arti in Modena. L'autunno del 1847.Lettera all'egregia e colta signora Angiolina Toschi-Fumagalli, in L'Educatore storico, 1° apr. 1848, pp. 554 s.; G. Secco-Suardo, Manuale ragionato per la parte meccanica dell'arte del restauratore dei dipinti, Milano 1866, pp. 131-133, 262; F. Asioli, C. G., in Il Panaro, 23 ott. 1874; A. Craspellani, Guida popolare di Modena e suoi dintorni, Modena 1887, p. 171; R. Pallucchini, I dipinti della Galleria Estense, Roma 1945, pp. 49, 61 n. 103; A. Barbieri, Modenesi da ricordare. Musicisti, architetti, scultori, pittori, Modena 1966, p. 126; G. Soli, Chiese di Modena…, a cura di G. Bertuzzi, Modena 1974, I, pp. 46, 107, 138; III, pp. 76, 194, 248, 392; C. Volpe, Mostra di opere restaurate secoli XIV-XIX, Modena 1980, pp. 22 s.; A. Barbieri, Arte e artisti a Modena, Modena 1985, pp. 215 s.; L. Frigieri Leonelli, Pittori modenesi dell'Ottocento, Modena 1986, p. 99; A. Ghirardi, Un percorso di lettura tra i ritratti della quadreria, in Il palazzo ducale di Modena. Sette secoli di uno spazio cittadino, a cura di A. Biondi, Modena 1987, pp. 272-275; G. Martinelli Braglia, Galleria Estense: un percorso alternativo fra arredo e parato del palazzo ducale di Modena, Modena 1993, p. 10; Id., Ottocento e Novecento a Modena nella Raccolta d'arte della Provincia, Modena 1997, p. 74; L. Peruzzi, La quadreria, in La virtù delle arti. Adeodato Malatesta e l'Accademia Atestina (catal., Vignola), a cura di D. Ferriani, Modena 1998, pp. 138, 156, 161; L. Rivi, ibid., pp. 210 s.; Id., Giuseppe Goldoni, ibid., p. 212 (con bibl.); Lettere all'artista. Testimonianze d'arte nell'Ottocento dall'epistolario di Adeodato Malatesta, a cura di L. Rivi, Modena 1998, pp. 47, 111, 123, 126; L. Rivi, Adeodato Malatesta, Modena e il pubblico dell'arte, in Modelli d'arte e di devozione. Adeodato Malatesta 1806-1891 (catal., Modena-Reggio Emilia), Milano 1998, p. 70; Id., ibid., pp. 210 s., 263 s. (con bibl.); A.P. Torresi, Giovanni Rizzoli ed altri restauratori ed artisti a Pieve nell'Otto-Novecento, Ferrara 1996, ad indicem; Id., Primo dizionario biografico dei pittori restauratori italianidal 1750 al 1950, Ferrara 1999, p. 78.