CASTELLI, Carlo Antonio
Oriundo di Varese, giunse nei primi anni del Settecento in Piemonte, dove lavorò per Antonio Bertola ottenendo nell’anno 1712 la nomina ad agrimensore e un decennio dopo (1722) a misuratore ed estimatore. Il 27 genn. 1730 fu approvato ingegnere e architetto civile dall’università di Torino, ove alternò la residenza con quella abituale a Livorno Vercellese (poi Ferraris). Dalla Camera dei conti, amministratrice dei beni ecclesiastici vacanti, ebbe vari incarichi: quale agrimensore per perizie al vescovado di Vercelli, alle abbazie di Selve e S. Genuario e alla prevostura di Desana (1716), al vescovado d’Asti (1717) e nuovamente alle abbazie di S. Genuario (1717) e Selve (1718); in qualità d’ingegnere per misure ed estimi nei feudi di Maretto e Roatto e rilievi del castello di Roatto, per disegni del castello e annessi di Verzuolo (1722), per altri estimi al vescovado di Vercelli e all’abbazia di Selve e al castello di Sangano e ispezione ai lavori di Staffarda (1723).
In tale epoca risulta più durevolmente attivo per l’abbazia di Lucedio, la quale – priva d’abate commendatario dal 1710 al ’28 – aveva nondimeno deciso un piano di riattamento e ricostruzione degli edifici a lei sottoposti. Nel 1724 fu incaricato di costruire la chiesa della Grangia di Castelmerlino (ultimata l’anno seguente), la cui pianta ottagonale ricorda quella della Madonna delle Vigne del Bertola, ma i cui esiti stilistici non configurano una personalità formata e consapevole: l’uso del mattone in vista riallaccia tuttavia l’opera al prototipo di F. Gallo. Nel 1725, per la chiesa di S. Giacomo della Grangia di Darola, il C. intervenne su una costruzione esistente trasformandone l’abside in facciata, la cui convessità contrasta con la parete piana del fondo, ed eseguendo la cappella di S. Pietro (1726). Su tali premesse ancora informi eresse nello stesso anno la chiesa dei S S. Pietro e Paolo della Grangia di Montarolo (a croce greca) più decisamente ispirata a quella del Gallo ma con inserzione d’un’abside curva e uso di paramento a vista: modesta come espressione di gusto ma significativa quale manifestazione di tendenza. Coeva è la chiesa della Grangia di Montarucco, non isolata come la precedente ma inserita fra le abitazioni e con prospetto avanzato rispetto ad esse, senza tuttavia progresso stilistico apprezzabile.
Passando nello stesso tomo di tempo a Racconigi, il C. sembrò mutuare da altri esempi e da altro clima (iuvarriano) novità d’accenti e d’impianto. Fin dal 1713 la parrocchiale di S. Maria Maggiore era stata sottoposta a riattamenti e modifiche; ma, ridotta a mano regia per la morte dell’arcivescovo di Torino, fu dal Bertola dotata d’un nuovo coro (ultimato nel ’14) e d’una sacrestia (1715).
Però, minacciando rovina il resto dell’edificio – a tre navate –, il C. fu incaricato il 30 apr. 1723 d’una perizia, in seguito alla quale presentò un disegno con le riparazioni da eseguire (18 giugno). Tale progetto di massima fu di volta in volta accresciuto, passando da una soluzione meramente conservativa ad altra ricostruttiva. In tale fase (16 apr. 1725), scelto il disegno del C. su altro esibito da L. A. Guibert, venne decisa la demolizione della chiesa (compreso il coro del Bertola) e in una campagna di lavori durata tre anni (1725-27) essa venne allungata e dotata di nuovo presbiterio e coro circolare, approvato da Iuvarra. Così concluso, l’edificio ostentò una fronte rustica (al pari delle precedenti), ma lievemente inflessa ai lati, con un guarinismo non tanto convinto quanto programmaticamente accettato e un esile e slanciato campanile. L’interno, a pianta allungata, è lontano dalla grandiosità della vicina chiesa di S. Giovanni Battista del Gallo (1719), che pure avrebbe potuto ispirargli cadenze appropriate: la sua estensione longitudinale non è sminuita tuttavia dalle otto esigue cappelle laterali (quattro per parte) che nel loro gioco ritmico ne esaltano la continuità. In più lo slancio ascendente delle paraste affiancate e la luminosità diffusa rammentano Iuvarra anche se più quale memoria astratta che come adesione convinta e fruttuosa.
Opere minori sono il progetto del campanile della cattedrale di Nizza Monferrato (1724) e la pianta per quello dei SS. Pietro e Donato a Ivrea nonché l’intervento per la ricostruzione della chiesa di S. Massimo a Collegno (1725). Sono documentati viaggi a Ivrea, Fossano, Vercelli, Asti per misure ed estimi (1723), lavori per l’arcivescovado di Torino (misura delle pietre occorrenti per le colonne del campanile di S. Giovanni), per il vescovado d’Alba (visita ai lavori della cattedrale) e per l’abbazia di Staffarda (1724-25), oltre a quelli per l’arginamento dell’Orco (1725) e la ricostruzione della chiesa di S. Rocco a San Mauro Torinese (1727-31). Dopo l’intervallo d’un decennio, il C. è documentato – fra il ’40 e il ’43 – quale “architetto delle acque” a Beinette, feudo del marchese d’Ormea, a tracciare canali d’irrigazione e successivamente a progettare la parrocchiale di S. Giacomo, poi gravemente alterata. Si ignorano il luogo e l’anno di morte.
Bibl.: A. Bonino, Miscell. artistica della prov. di Cuneo, Cuneo 1935, III, p. 179; N. Carboneri, C. A. C., architetto di S. Maria Maggiore in Racconigi, in Boll. della Soc. per gli studi stor., archcol. ed artistici nella prov. di Cuneo, XXIV (1952), 30, pp. 14-25; Id., L’archit. F. Gallo, Torino 1954, p. 109 n. 68; Id., Architettura, in Mostra del barocco piemontese (catal.), Torino 1963, I, p. 66; C. Brayda-L. Coli-D. Sesia, Ingegneri e archit. del Sei e Settecento in Piemonte, Torino 1963, p. 27; N. Carboneri, L’abbazia di Lucedio, in Atti del XIV Congr. naz. di storia dell’architettura..., Padova 1973, pp. 53-60.