Dreyer, Carl Theodor
La complessità dello sguardo
Tra i grandi maestri dell'arte cinematografica del Novecento, il regista danese Carl Theodor Dreyer fu anche uno dei più incompresi da critica e pubblico. Sempre audace nella scelta di punti di vista particolari dai quali inquadrare le singole scene, Dreyer seppe esprimere attraverso le immagini la complessità dei suoi personaggi, come in La passione di Giovanna d'Arco, un capolavoro del cinema, incentrato sull'eroina francese
Il regista danese, nato a Copenaghen nel 1889, ebbe un'infanzia e un'adolescenza inquiete, segnate dalla perdita della madre, avvenuta poco dopo la sua nascita, e dalla sua condizione di figlio illegittimo. Grande sofferenza gli procurò inoltre il fatto di non sentirsi amato dai genitori adottivi, i Dreyer.
Effettuò studi tecnici, ma spinto dal desiderio di ampliare le proprie conoscenze si avvicinò alla letteratura e all'arte. Il cinema rappresentò per lui la fuga dal clima oppressivo in cui era vissuto da ragazzo, quasi come i viaggi in pallone aerostatico cui si era dedicato per un certo periodo quando lavorava come giornalista sportivo.
Dopo le prime opere dirette in Danimarca, Svezia e Germania, Dreyer poté realizzare a Parigi nel 1927 La passione di Giovanna d'Arco. Protagonista del film è la giovane contadina che, persuasa di essere stata scelta da Dio, nel 1429 aveva combattuto vittoriosa alla testa dell'esercito francese contro gli Inglesi prima di essere catturata, giudicata da un tribunale ecclesiastico a Rouen e condannata a morire sul rogo nel 1431. Dreyer scelse di rappresentare Giovanna solo durante il processo che, pur essendo durato più di quattro mesi, il regista concentrò in un solo giorno seguendo il principio di unità di azione, spazio e tempo.
Giovanna è una giovinetta in abiti maschili che i giudici sottopongono a un interrogatorio impietoso. Per rendere con più forza la solitudine della protagonista e il contrasto con i suoi persecutori, decisi a condannarla come eretica, Dreyer oppone continuamente i primi piani minacciosi dei giudici seduti sui loro alti scranni a quelli sofferenti e ricchi di emozioni della giovane, con inquadrature riprese da tutti i punti di vista. Il film, ancora muto, possiede però il ritmo di un film parlato grazie alle incisive didascalie con le battute dei personaggi o di commento. L'identificazione tra il personaggio e l'attrice che lo interpreta (Renée Falconetti) fu totale, tanto che per la realizzazione della scena in cui si procede al taglio dei capelli di Giovanna furono veramente i capelli dell'attrice a essere tagliati.
Solo nel 1931 il regista riuscì a girare un altro film, questa volta sonoro, Vampyr, prendendo spunto da una breve novella di Joseph Sheridan Le Fanu, Carmilla (1872), la cui protagonista è una donna vampiro. Tuttavia questo tema è per Dreyer il pretesto per creare l'atmosfera inquietante in cui si svolge La strana avventura di David Gray, altro titolo con cui il film uscì in alcuni paesi.
In un villaggio situato vicino a un fiume e a un castello David Gray, il protagonista, si trova infatti ad affrontare misteriosi eventi legati alla presenza di una vecchia, ossia la diabolica donna vampiro, e dei suoi malvagi assistenti. La realtà si alterna ai sogni in questo racconto che si svolge durante una notte intrisa di magie e illuminata da un suggestivo chiarore. A rendere affascinante il racconto contribuiscono le ombre che appaiono e scompaiono e la scelta del regista di alternare continuamente le inquadrature soggettive (in cui la scena è presentata come vista da un personaggio) alle inquadrature oggettive (in cui l'obiettivo della macchina da presa segue lo sviluppo della narrazione, senza identificarsi con lo sguardo di un personaggio).
Anche questo film non fu accolto dal successo del pubblico, come le sue successive opere (tra cui Dies irae, 1943, sui processi per stregoneria del Seicento, e Ordet, "la parola", 1954, storia di uno studente di teologia che finirà per compiere un miracolo), sino all'ultima, Gertrud (1964), profondo ritratto introspettivo di una donna, che precedette di quattro anni la morte del regista, avvenuta a Copenaghen nel 1968. Vittima dell'incomprensione che ostacola gli autori più complessi e originali, Dreyer non riuscì a realizzare il progetto che più gli stava a cuore: un film su Gesù.