HEIDENSTAM, Carl Gustaf Verner von
Poeta svedese, nato a Olshammar presso Örebro il 6 luglio 1859: insignito del premio Nobel nel 1916. Formatore della coscienza nazioriale, creatore e suscitatore della nuova grande poesia da Fröding alla Lagerlöf, a Karlfelt, fu, nella vita spirituale svedese degli ultimi decennî, succedendo a Strindberg, la personalità di più alto rilievo. S'era incontrato in Svizzera con Strindberg, nel 1884, mentre questi stava portando i più esasperati sviluppi al suo naturalismo, e, vivendogli a fianco anche in Francia e nella fugace visita in Italia, s'era appassionato al problema sociale e alla nuova filosofia, abituandosi a considerare nella vita spregiudicatamente la realtà; ma Strindberg stesso, descrivendolo nel Författaren, mostra d'essersi reso conto della tempra diversa, decisamente individualistica, del suo spirito. Uscito da un primo momento di giovanili entusiasmi romantici, esperto - come pittore allievo di Kronberg a Roma e di Gérome a Parigi - delle nuove correnti impressionistiche nell'arte, ricco di tutte le esperienze di vita e d'arte accumulate durante un decennio di viaggi e soggiorni nei paesi mediterranei e in Oriente, H. serbò, in realtà, del naturalismo soltando la diffidenza verso le illusioni romantiche del sentimento; e, fin dalle prime opere - le liriche di Vallfart och Vandringsår (Pellegrinaggi e vagabondaggi, 1888), le prose di Från Col di Tenda till Blocksberg (1888); il romanzo turistico-orientale Endymion (1889) -, se il senso della realtà affiora nella frequente punta ironica dell'osservazione, lo spirito animatore dei suoi scritti è il sentimento perenne della ricchezza e bellezza del mondo: tanto che l'impressione che in Svezia se n'ebbe, fu, secondo Selma Lagerlöf, come dell'"improvviso schiudersi di un regno di fantasia così vario e multicolore, da sembrare quasi un regno di fiaba". Poco dopo, nello stesso anno 1889, il saggio Renässans, seguito dalla satira Pepitas bröllop (Le nozze di Pepita, 1890), segnava la rottura col realismo.
Era un generale movimento che s'andava estendendo dappertutto in Europa, ma che aveva in H. un accento particolare, più di rivendicazione etica che estetica, e non era se non un punto di partenza. Nel poema drammatico Hans Alienus (1892), che fu la prima grande opera del nuovo periodo, l'estetismo decadente del tempo è riassunto nella spettrale figura di Sardanapalo, "pallido e smunto, con un intelligente sorriso stanco sopra le labbra e con un fluido brivido di febbre che gli si accende a fiotti nella molliccia carne esangue"; e le esperienze che l'eroe attraversa sono assai più vaste, tali da comprendere in sé tutti i grandi momenti della storia dell'umanità da quello orientale a quello greco, a quello romano, a quello cristiano; e l'ansia da cui l'eroe è sospinto è una faustiana ansia che non gli lascia pace mai né tregua, rendendolo "främmande allestädes" (dappertutto un estraneo): nell'insaziabilità dei suoi desiderî la vita appare "e come una pianta vorace, che va tutta in radici e più non le resta forza per crescere ed espandersi e dar fronde e frutti"; e una sola via c'è per salvarsi, quella che Leone XIII addita in Roma all'eroe inquieto: "vivere e operare nel proprio tempo e nel proprio mondo", cercando in essi ciò che vi è d'ideale e d' eterno. La più commossa poesia di Hans Alienus è quella del suo ritorno alla patria: e nel ritorno alla patria anche H. trovò le sorgenti nuove della sua più potente ispirazione.
La nuova poesia di H. è la poesia della nordica natura pietrosa e selvosa, ove la vita è aspra e dura, ma appunto perciò - perché è lotta ogni giorno e ogni giorno conquista - la vita è anche forza che perennemente si ritempra, vittoria dello spirito, affermazione della volontà umana. In questa luce apparve a H. la sostanza più profonda, la realtà vera, lo spirito della storia del suo popolo (v. anche i saggi Modern Barbarism sul rispetto dei monumenti, 1894; Om svenskarnas lynne, Del genio degli Svedesi, 1896; Tankar och teckningar, Pensieri e schizzi, 1899). E ad evocarne le immagini volse la sua opera. Evocò la pallida e bella ed enigmatica figura di Carlo XII (Karolinerna, I soldati di Carlo XII, 1897-98), il re fanciullo che trascinò il suo popolo in un vortice di guerre senza fine e lo portò sui campi d'Europa a sbalorditive vittorie e alle più dure sconfitte. Evocò la quadrata e possente figura di Folke Filbyter (Folkungaträdet, I. Folke Filbyter, 1905): il contadino dalle forze ciclopiche e dai lunghi capelli, che lavora la terra, e nelle sue immense praterie pascolando i suoi greggi troneggia come un re; ed amplia con forza e astuzia la sua potenza; e anche quando è rimasto solo, e l'ultimo nipote che gli restava gli è stato rapito, e, nuovo re Lear della nordica campagna deserta, egli lo va cercando perdutamente in eterno pellegrinaggio affannoso, anche allora resta saldo e fermo in sé medesimo immagine squallida e grandiosa di un fondatore di dinastia, per interiore forza morale. Poi, volgendosi a tempi più cortesi e più umani, H. gli presentò accanto (Folkungaträdet, II, Bjälboarvet, L'eredità di Bjälbo, 1907) la figura di re Valdemaro: il re poeta e cavaliere, dal roseo viso e dai biondi capelli inanellati, che passa nella vita amando e cantando; ma, quando l'ora della lotta giunge, l'affrunta sereno, con la stessa incuranza con cui ha saputo vivere; e infine anche nel fondo della prigione dove il fratello Magnus vincitore lo ha rinchiuso, posto dolcemente il capo in grembo alla contessa Luitgard, l'ultima donna che lo ha amato, attende con gli occhi socchiusi accompagnandosi sul liuto, che giunga l'ora estrema del suo destino.
È una poesia che è tutta azione, movimento: realtà di vita in svolgimento. E lo stile è semplice, deciso, reciso: la parola sembra sbozzare le immagini nella pietra, in dura marcata angolosa goticità di contorni. Ma nell'impeto lirico, che in quello stile si risolve, le figure della storia s'innalzano come figure di mito. Così che le figure del mito vi si possono mescolare in un mondo poetico unico: come talvolta in Folkungaträdet; e come nelle altre novelle minori, in Sankt Göran och Draken (1900) e in Skogen susar (La foresta sussurra, 1904). Nel racconto del pellegrinaggio di Santa Brigida (Heliga Birgittas pilgrimsfärd, 1901) il mondo d'umanità severa austera, di volontarietà inflessibile e di mistica visionarietà della santa si unisce alla visione dell'Italia nell'età di Cola di Rienzo e della regina Giovanna; e l'impressione che se ne riceve è precisamente "come di quelle cattedrali gotiche" care a H., "dove le vaste pareti nude e gli alti pilastri e lo slancio delle arcate e delle vòlte sembrano un richiamo dell'anima all'assoluto e a Dio", ma nelle vetrate istoriate pare affacciarsi e riassumersi la multicolore bellezza del mondo.
Già nel primo decennio del secolo, lo spirito da cui tutta questa poesia è nata, era diventato forza viva e operante nella nuova coscienza svedese. H. raccolse ancora i suoi scritti critici e polemici (Dagar och händelser, 1909), narrò la storia svedese ai fanciulli della nuova generazione (Svenskarna och deras hövdingar, 1907-08), aggiunse ancora due drammi (När hämndgudinnorna vakna, Quando le dee della vendetta si destano, 1909; Spinnrocken, 1909); ma nella ultima polemica con Strindberg, già il titolo stesso del suo scritto (Proletärfilosofiens upplösning och fall, La disgregazione e caduta della filosofia proletaria, 1911) ha un suono di trionfo. Un momento nuovo nella poesia di H. giunse soltanto alcuni anni dopo con le nuove liriche (Nya Dikter, 1915); e le origini se ne possono rintracciare lontano in un saggio Klassicitet och Germanism del 1898. Il tono è calmo, sereno, ispirato a una grande bontà verso gli uomini e la vita. È una poesia, al di là delle tempeste, che rìchiama in certi momenti la poesia del Goethe classico. Il sentimento della patria vi è fiamma viva ancor sempre, ma vi si chiarifica in un limpido e vasto senso umano. Vi si ripete quella che è stata l'esperienza di tutte le grandi coscienze nazionali nell'età moderna: di scoprire nel sentimento di patria, nella sua sostanza più profonda, l'umana realtà.
Ediz.: Samlade Skrifter, voll. 19, Stoccolma 1909-12.
Bibl.: O. Levertin, in Diktare och Drömmare, Stoccolma 1898, e in Svensk Litteratur, Stoccolma 1908; G. Brandes, in Samlede Skrifter, III, Copenaghen 1900; R. G. Berg, in Före vallfart och vandringsår, Stoccolma 1919; id., in Litteraturbilder, II, Stoccolma 1919; F. Böök, in Stridsmän och sångare, Stoccolma 1910; in Essayer och kritiker, II, Stoccolma 1917, e in Sveriges moderna litteratur, Stoccolma 1929; A. Nilsson, in Ur diktens värld, Stoccolma 1926.