CARITI (o Grazie; χάριτες, Charĭtes, Gratiae)
Divinità dell'antica Grecia, dispensatrici di tutto ciò che nella natura, nella vita e nei costumi degli uomini è grazia e bellezza. Il loro nome si faceva derivare da χαρά (gioia, ciò che dà gioia); e in realtà esso è identico a χάρις e risale egualmente alla radice χαρ. Il loro culto resulta di data antichissima presso i Greci. Già l'Iliade conosce parecclhie Cariti (per es., XIV, 267 segg.), una delle quali è fatta sposa di Efesto (XVIII, 382). A Orcomeno di Beozia, a Sparta e ad Atene, il culto delle Cariti aveva origini vetuste (cfr. Paus., IX, 35), mentre nell'isola di Paro lo si ricollegava addirittura con Minosse: a Micene, si vedevano le statue delle Cariti nel pronao dell'antico tempio di Era (Paus., II, 17, 3). Orcomeno appunto sembra essere stato il centro principale del culto più antico delle Cariti: lì pare si sia fissato il numero definitivo di esse e i loro rispettivi nomi di Aglaia, Eufrosine, Talia ('Αγλαΐα, Εὐϕροσύνη, Θαλία), significanti la gioia serena della vita che esse impersonano e dispensano. In Orcomeno si additava il santuario delle Cariti come il più antico della città; e alcune pietre, che si dicevano cadute dal cielo, si conservavano come le loro prime immagini.
In Esiodo (Theog., 907), son fatte figlie di Zeus e della dea marina Eurinome; dei poeti posteriori, Pindaro le ha celebrate in alcuni bellissimi versi della XIV Olimpica, invocandole come le dee dalle quali dipende quanto v'è di piacevole e di dolce per gli uomini e che dispensano bellezza, saggezza, fama; le dee senza il favore delle quali neppur le divinità possono godere delle danze e dei conviti; le dee che, avendo sede presso Apollo Pizio dall'arco d'oro, cantano eterne lodi al padre dell'Olimpo. Ed esse compariscono spesso nella cerchia delle divinità apollinee, specialmente presso gli Ionî, ove le troviamo di solito riunite alle Muse; e unite ad Apollo si trovano di frequente anche nelle rappresentazioni figurate. Ad Atene le Cariti erano venerate all'ingresso dell'Acropoli, insieme con Artemide ed Ermete; a Sparta, ebbero un tempio in comune coi Dioscuri; un tempio avevano anche ad Ermione e in Elide, dove le donne le invocavano insieme con Dioniso. Feste speciali a esse dedicate erano le Caritesie (Χαριτήσια), con gare musicali e poetiche.
Arte. - Si rappresentarono le Cariti come fanciulle di forme fiorenti e graziose, in atto di danzare o di cantare o di bagnarsi in qualche sorgente di fresche acque; spesso coronate di fiori, solitamente di rose e di mirti. Loro attributi furono anche l'astragalo, simbolo del giuoco lieto e sereno, il mazzo di spighe o di papaveri, o strumenti musicali. In antico, si rappresentarono vestite, come nel gruppo, probabilmente opera di Socrate, che si trovava in Atene all'ingresso dell'Acropoli, e in un antico rilievo del museo Chiaramonti in Vaticano. In seguito, specialmente a causa dell'aderire del loro culto a quello di Afrodite, esse compaiono con pochi e leggieri abiti (cfr. Orazio, Carm., I, 30, 6: solutis zonis), o addirittura nude, onde il modo di dire: αἱ Χάριτες γυμναί, specialmente nel noto motivo del gruppo delle tre fanciulle riunite e abbracciate in pose diverse (di solito, quella di mezzo vista da tergo, le altre due di faccia, con un braccio appoggiato su ciascun omero della compagna del centro, la quale poggia a sua volta il braccio sinistro sull'omero di una delle altre), come quello che si conserva in Siena cui Raffaello per il suo quadro famoso s'ispirò. (V. tavv. IX e XI
Bibl.: Preller e Robert, Griech. Myth., 4ª ed., II, Berlino 1894, p. 484 segg.; Stoll e Furtwängler, in Roscher, Lex. für griech. u. röm. Myth., I, col. 873 segg.; Escher, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., III, col. 2150 segg.