CARINI (A. T., 27-28-29)
Comune agricolo della Sicilia occidentale nella provincia di Palermo, dalla quale città il capoluogo dista 15 km. verso ponente; è situato in collina a 181 m. s. m., a 4 km. dalla costa marittima, e ha 12.912 ab. (il comune, kmq. 276,86, ne conta 14.917). Fu già feudo dei Chiaramonti, dei quali conserva un bel castello che risale, forse, al sec. XII con notevoli opere d'arte fra le quali una statua, la Vergine col figlio, forse di Andrea Mancino (1500). A un km. e mezzo a NO. si trova la grotta ossifera detta del Maccagnone con avanzi umani del Paleolitico. In prossimità del mare sorgeva la distrutta città di Hyccara.
I baroni e principi di Carini. - Dagli Abate (1283-1393) il titolo di Carini passò bruscamente (26 agosto 1397) alla famiglia del catalano Ubertino La Grua milite e barone, morto nel 1410; poi allo sposo della sua unigenita, Giliberto Talamanca, grande di Spagna, con. l'ob bligo d'assumere lo stemma dei La Grua e il cognome La Grua - Talamanca. Questo nuovo casato, imparentato poi anche con i re d'Aragona e i despoti di Bisanzio, per quattro secoli mantenne il titolo di Carini, e salì per ricchezza e potenza e reputazione fra i primi del regno con titolo di principe (Madrid, 19 settembre 1622). Fra i baroni, don Pietro, o don Petruccio, spentosi nel 1535, lasciò fama d'amministratore sagace e oculato, e di cultore appassionato delle armi e degli studî; fra i principi, molti furono pretori di Palermo e deputati del Regno, e uno, don Antonino, anche consigliere di stato e presidente della Giunta di Sicilia in Napoli nel 1786. Con l'abolizione della feudalità (1812), il casato può dirsi finito in Sicilia; ché don Antonio Francesco, principe di Carini dal 16 marzo 1839 al 21 gennaio 1868, si trasferì a Parigi.
Bibl.: A. Mango di Casalgerardo, Nobiliario di Sicilia, Palermo 1912, I, p. 351 segg.; II, p. 197; F. San Martino De Spucches, La storia dei feudi e dei titoli nobiliari di Sicilia, II, Palermo 1924, p. 273 segg.
La baronessa di Carini. - Il "caso" o delitto avvenuto nel castello di Carini, in Sicilia, ove il barone don Vincenzo La Grua Talamanca avrebbe ucciso il 4 dicembre 1503 una donna della propria famiglia, ritenendola rea di rapporti intimi con un cavaliere di avverso casato, ispirò a un anonimo poeta il mirabile poemetto di questo titolo, ricostituito coi frammenti rimastici (412 versi); una strofa di esso è divenuto la patetica canzone napoletana Fenesta ca lucive. Concordi nel rilevare l'importanza del componimento, gli studiosi non vanno d'accordo sul fatto di sangue; alcuni col Salomone-Marino vedono nella vittima la figlia del barone, Caterina; altri col Pitrè pensano che fosse la moglie di lui, donna Laura.
Bibl.: G. Salomone-Marino, La bar. di C., Catania 1926; G. Pitrè, Della bar. di C., in Nuove effem. sicil., I (1870); id., Canti pop. sic., II, Palermo 1890, p. 130; L. Galante, Un poemetto sic. del Cinquecento, Catania 1909; L. Natoli, Un poemetto pop. del sec. XVI, in Atti R. Acc. sc. lett. di Palermo, s. 3ª, IX (1912).