Vedi CARICATURA dell'anno: 1959 - 1994
CARICATURA
La caricatura è una forma d'arte che nasce dalla forzatura intenzionale di alcuni elementi o aspetti del soggetto per un effetto comico con intento satirico o allegorico o simbolico o puramente estetico. Può basarsi sia sulla deformazione espressiva di tratti secondo i principi dell'abnorme e del grottesco, sia sulla accentuazione manierata di atteggiamenti e di gesti, sia sull'interpretazione umoristica del contenuto, presupponendo così una padronanza dei vari elementi del comico in una cultura matura ed evoluta che abbia indagato a fondo i problemi dell'anima e della società umana.
La caricatura non va infatti confusa con forme di deformazioni espressive a sfondo magico, come ad esempio quelle dell'arte preistorica, o con vivaci caratterizzazioni naturalistiche, come quelle riscontrabili nell'arte egiziana. Perché sorga il comico, e quindi la caricatura, è necessario che l'uomo diventi il problema centrale della temperie culturale, perciò anche la raffinata arte minoicomicenea, pur con la sua visione aperta, libera, immediata, non giunse alla caricatura perché l'uomo era in essa uno dei tanti elementi del vasto quadro della natura. Non è dall'impressionismo miniaturistico e ornamentale minoico-miceneo, ma dal razionalismo organico greco che nasce la caricatura. La caricatura è una umoristica e forzata deviazione dal canone umano, dal tipo ideale, e presuppone perciò la creazione di questo canone, che fu grande merito della cultura ellenica. L'arte greca pose l'uomo al centro del suo mondo spirituale; Dedalo il primo leggendario agalmatopoiòs ne crea l'immagine e il koùros e la kòre sono i primi temi fondamentali della plastica arcaica.
Per la nascita del comico e della caricatura in arte è necessario anche un superamento di legami e di scopi religiosi e dinastici che avevano indirizzato verso forme votive, celebrative, onorarie, auliche le arti mesopotamiche e quella egiziana, che conosce soltanto espressioni satiriche in parodie di azioni umane impersonate da animali su papiri e su òstraka. L'arte greca, che trova dapprima nella decorazione del tempio, nella creazione di simulacri di culto, di ex-voti, i motivi principali e i campi ben circoscritti della sua produzione, soltanto con lo svilupparsi di un elevato artigianato e di una serie di oggetti con funzione decorativa e di uso pratico, ci darà espressioni caricaturali. Così, mentre nella letteratura la caricatura si afferma fino dalle origini per la libera funzione estetica della poesia e della parola, nell'arte figurativa si manifesta soltanto più tardi.
Nell'epos omerico il brutto trova già ad esempio una caricaturale caratterizzazione nella rappresentazione, legata a una concezione aristocratica e guerriera, dell'impudente, deforme, imbelle e ridicolo Tersite, e la bruttezza individualizzata si oppone alle descrizioni generiche del bello tipico. La vena comica scorre robusta e vivace nell'epos e nella lirica arcaica da Archiloco, a Semonide, ad Ipponatte, ad Anacreonte, nei quali possiamo cogliere molti accenti caricaturali che hanno come movente principale la satira dei costumi. La forza espressiva e il colorito espressionismo dell'arte arcaica sono documentati da creazioni demoniache basate sull'orrido, sul grottesco, sull'astratto, e non è certo incapacità di linguaggio, bensi qualità di interessi e di scopi, che non portano ancora alla caricatura. Tuttavia elementi caricaturali di una forzatura espressiva possono considerarsi gli addomi e i glutei imbottiti di danzatori e di comasti in comici atteggiamenti orgiastici, nel kòrdax e nel tiaso dionisiaco, che compaiono alla fine del VII sec. a. C. sulla ceramica corinzia, imitati poi in quella beotica, attica, laconica, calcidese. L'invettiva personale porterà Boupalos a scolpire il ritratto caricaturale del poeta Ipponatte di Efeso, che sappiamo piccolo, magro e robusto, volgendo in grottesco la bruttezza, tanto da suscitare nel poeta un odio implacabile che si manifesterà in acri versi contro l'artista. Lo spirito ionico soprattutto non manca di darci nella ceramica del VI sec. a. C. spunti colmi di sottile umorismo che han già accenti caricaturali, come il gesticolare dei pavidi Egiziani, di cui l'atticciato Eracle fa scempio nell'idria ceretana di Busiride al museo di Vienna (v. ceretane, idrie), oppure il gustosissimo profilare e gestire manierato delle tre dee nel giudizio di Paride dipinto sull'anfora pontica del museo di Monaco (v. pontici, vasi).
Anche i tipi barbarici, che saranno studiati con vivo interesse naturalistico, assumeranno talvolta espressioni caricaturali, ma bisogna scendere al V sec. a. C. per trovare vere e proprie caricature che compaiono soprattutto nella ceramica attica a figure rosse. In questo elevato artigianato più liberamente si dà sfogo allo spirito comico e satirico per la gioia del banchetto a cui i vasi erano destinati, creando caricature di ubriachi, di comasti raffigurati ora nell'incerto avanzare, ora perfino nella penosa funzione dello stitico con crudo e spregiudicato verismo. Per queste caricature i pittori scelgono a protagonisti tipi di omunculi dai gracili corpi minuscoli e dai grossi testoni segnati dalla calvizie, con tratti fisionomici ben lontani dal bello tipico, di un colorito grottesco, per satireggiare l'uomo dedito ai bagordi e lontano dalla palestra. Un simile omunculo serve anche a impersonare la parodia esopica nella kỳlix del Vaticano con la volpe gesticolante e saccente dinanzi al suo sapiente interlocutore dal gran testone e dal comico pizzo appuntito.
Anche qualche servitore barbarico in scene di genere sulla ceramica attica a figure rosse unisce ai caratteri razziali l'abnorme, il grottesco con note vivacemente caricaturali, come ad esempio il nanerottolo al servizio del medico raffigurato sull'arỳballos del Pittore della Clinica (v.) al Louvre, con l'occhio ammiccante del furbo servo dal sopracciglio arcuato, il piccolo naso a ciliegia, il pizzetto aguzzo, il ciuffo sulla fronte stempiata, l'addome villoso, oppure l'altro nano, su una pelìke di Boston della metà del V sec. a. C., dal ventre prominente, dai sottili baffi spioventi di tipo asiatico, dal rado pizzo, con le grosse labbra carnose e la testa appuntita. Anche sull'olimpio Pericle scherzeranno del resto i comici, facendone la caricatura con la testa a cipolla come schinokèphalos e kephalogerètes, cioè adunatore di teste invece dell'omerico adunatore di nembi (nephelegerétes).
Il tipo del pigmeo, che nel VI sec. a. C. non ha nulla di repugnante e di comico e si distingue soltanto per le ridotte dimensioni, nel V sec. a. C. assume aspetto caricaturale con una deformazione grottesca delle membra gracili, con il corto tronco robusto, i glutei sporgenti, il grande phàllos, le grosse teste barbariche negroidi. E alla comicità del tipo si aggiunge l'umorismo caricaturale di molte scene di lotta con le insidiose aggressive rivali, le gru. La caricatura sfrutterà questi grotteschi elementi pigmeoidi conferendoli a personaggi diversi anche di parodie mitologiche, che vediamo fra l'altro comparire alla fine del V sec. a. C. sui vasi a figure nere prodotti nel santuario cabirico di Tebe in Beozia e legati all'atmosfera accesa e festosa di quel rituale misterico. Caricaturali sono, infatti, il tronfio e nerboruto Eracle pigmeoide della scena di apoteosi, come il contadinesco Odisseo e la orrida megera Circe in scene della preparazione del beveraggio magico, come altre figure di mỳstai cabirici (v. cabirici, vasi).
Elementi caricaturali abbondano poi naturalmente nel fertile campo del teatro comico, che si affermò ben presto in Grecia e che ebbe ugualmente tanta parte nella vita e nella cultura sul suolo italico e poi nell'ambiente romano, e l'arte figurativa riflette largamente gli aspetti più caratteristici a partire dal VI sec. a. C. quando i vasi a figure nere traggon lo spunto dai comici travestimenti animaleschi dei coreuti nella commedia antica. In Grecia il comico accanto all'elaborazione letteraria, teatrale, trova anche un'indagine filosofica e l'intensità della speculazione in tutti i campi rivela su quale fertile humus germogli la caricatura. Platone condannerà il riso come elemento perturbatore dell'anima (Rep., 388 e) conducendo alla vergogna e alla volgarità, ma lenta poi di giustificare la comicità se divertimento innocuo e opportuno (Phil., 49 e), in funzione cioè equilibratrice del serio. Aristotele ammetterà il comico se indolore e non volgare, condannando Aristofane e salvando la commedia nuova, per vedere nel riso uno sfogo equilibratore con effetti utili e filantropici di eutropìa e di eunòia, analizzando gli elementi della comicità che scaturisce dalla parodia dell'elocuzione, dal contrasto, dall'inganno e dall'inaspettato. Il concetto di invenzione, di fantasia creatrice che sta a fondamento del comico è presente in Teofrasto, che lo definisce appunto come plàsma, rispetto alla tragedia basata invece sulla storia e sul racconto di fatti avvenuti, e considerando il comico soprattutto pittura di caratteri, analisi psicologica, linguaggio popolare e specchio della vita quotidiana.
Si può dire che tutti i tipi e tutte le maschere della commedia antica, della nuova, come poi della farsa popolaresca italica, dell'atellana, del mimo e della fabula togata romana, sono altrettante caricature, sebbene cristallizzate in formule fisse tanto letterariamente che figurativamente. Nascono infatti dalla forzatura comica di tratti fisici e morali desunti dallo studio psicologico di caratteri individuali della società contemporanea, tradotti e stilizzati in tipi, e gli elementi formali che concorrono a rappresentarli sono quelli del comico caricaturale con l'esagerato profilare delle sagome ottenute sul palcoscenico con le imbottiture posticcie del ventre e dei glutei, con l'espressionistico gesticolio, con la forzatura dinamica delle pose, con la stilizzazione grottesca dei tratti del volto in maschere. Si gioca infatti sul colore esagerato, il pallore o il tono acceso per distinguere l'effeminato dal contadino, la fanciulla dalla megera ubriacona, facendo di rosso fiamma i capelli del rozzo servo; sulla calvizie, sulla deformazione del cranio aguzzo, a pera o di grosse proporzioni, arricchito da orecchie a sventola; sulla forma del naso di grottesche proporzioni, rincagnato o adunco, aquilino o grifagno, camuso o a patata; sull'aggrottamento di un sopracciglio o di ambedue, serpentine o circonflesse, virgolate o diagonali; sulla mimica delle rughe; sul taglio della barba che si appuntisce, si curva, si dirada; sul tipo dei capelli esageratamente crespi o arricciati, fluenti o rasati; sullo sguardo strabico e ammiccante. Come la letteratura con Teofrasto codifica i "caratteri" in trattati, e il teatro comico li rappresenta sulla scena, l'arte figurativa li interpreta con senso caricaturale in scene soprattutto nella ceramica dipinta, in bronzetti e in statuette fittili.
Oinochòai dall'agorà di Atene della seconda metà del V sec. a. C. con obeliaphòroi e servi riflettono i tipi della commedia del tempo di Aristofane, e anche vasi a figure rosse non mancano di qualche motivo desunto dal teatro, come una parodia di Perseo, ma soprattutto la serie dei vasi fliacici del IV sec. a. C. ci offre un colorito campionario di elementi caricaturali della farsa italiota, non solo nell'interpretazione dei soggetti con parodie mitologiche o scene di vita quotidiana, ma anche nella caratterizzazione dei singoli personaggi e nel linguaggio icastico ed espressionistico delle pose e dei gesti. Gli amori di Zeus, le avventure di Eracle, di Hermes, di Apollo, di Chirone, di Priamo, trovano raffinate formulazioni caricaturali accanto alle scene basate su servi astuti o ladri o sciocchi, vecchi babbei avari o in fregola, petulanti megere, fino alla massima vibrazione umoristica del rozzo e tremante Aiace rifugiato presso l'idolo di Atena e preso a calci dall'infuriata e orrida Cassandra nel capolavoro di Assteas, al Museo di Villa Giulia.
Anche nella ceramica italiota a figure rosse non mancano note caricaturali come nella Dolonèia omerica su un cratere protolucano a Londra (v. dolone, pittore di) con i contadineschi eroi da operetta paesana con intensa vis comica, mentre un vero e proprio quadretto caricaturale di genere abbiamo in un vaso siceliota a figure rosse a Cefalù con un diffidente ed astuto venditore di tonno, dal gran testone realistico, dinanzi al povero cliente che mostra la monetina nel palmo della mano, con un sapido umorismo.
Nella parodia mitologica rientra la caricatura burlesca della nascita di Dioniso dipinta da Ktesilochos, fratello di Apelle, con Zeus in doglie dal capo fasciato, assistito dalle Ilizie.
Nel periodo ellenistico, mentre si sviluppano tutti gli elementi caricaturali propri della commedia e del mimo soprattutto attraverso la coroplastica, una elaborazione caricaturale e grottesca assumono le scene di pigmei nell'ambiente artistico alessandrino, sia per i tipi, sia per l'umorismo delle situazioni nelle tradizionali lotte con le gru e contro gli ippopotami o i coccodrilli nel festoso e brulicante sfondo nilotico, e di cui abbiamo vividi riflessi in pitture e mosaici di età romana, fra cui il raffinato mosaico policromo di Palestrina. E in Alessandria anche i tipi di barbari, di nubiani e di negri, studiati con intenso naturalismo arrivano talvolta ad inflessioni caricaturali di crudo verismo nell'esasperata forzatura dei caratteri etnici, delle tare fisiche, degli esotici atteggiamenti. Dal grottesco pigmeoide nascono i bronzetti di danzatori di Mahdià, raffinate creazioni alessandrine in cui l'intensa vibrazione espressionistica nel gesticolio delle corte membra, nell'osceno dimenamento dei corpi adiposi, arriva a un tono caricaturale.
Uno dei motivi caratteristici della caricatura antica fin dall'arcaismo fu l'attribuzione di elementi animaleschi a figure umane, dare la testa di animale all'uomo, avvicinare e confrontare un individuo a un certo animale, così come conferire aspetto umano o un'azione umana ad un essere animalesco. Nell'ambiente alessandrino Plinio ricorda l'attività del pittore Antiphilos (v.) che avrebbe anche creato la caricatura di un certo Gryllos, dando addirittura origine a un genere di pittura detto grỳlloi. Si è pensato che, poiché grỳllos significa "porco", il pittore avesse dato al ritratto del personaggio omonimo una testa porcina, sebbene il genere dei grỳlloi sia stato da altri messo in relazione tanto con le rappresentazioni fantastiche e astratte di carattere forse apotropaico, simbolico o decorativo, composte di elementi animaleschi e teste umane, note soprattutto da gemme, quanto con la danza egiziana detta gryllismòs, forse grottesca e farsesca.
Accanto al tipo di caricatura di uomo con testa animalesca, spesso asinina, anche quello di azioni umane inteipretate da esseri animaleschi, che aveva trovato formulazioni teatrali nei coreuti travestiti da animali della commedia antica, si riflette nell'arte ellenistica e può documentarsi con i quadretti pompeiani raffiguranti la epica fuga di Enea impersonata da cinocefali scimmieschi, parodistica nel tema, umoristica negli atteggiamenti.
Il tipo del pigmeo serve anche a rappresentare scene mitologiche e favolistiche, lontane dall'ambiente nilotico in cui è nato e, in genere, il tipo del nano, che costituisce sempre uno degli aspetti più comuni della caricatura di tutti i tempi, nell'arte ellenistico-romana assume appunto caratteri pigmeoidi per un più accentuato grottesco. Così un "Giudizio salomonico", forse creazione ellenistica riecheggiata in una pittura pompeiana, ha come interpreti esseri pigmeoidi vivacemente gesticolanti, caricaturali nelle pose, come umoristica è tutta la composizione per la parodia di motivi dell'iconografia delle scene storiche romane.
Nell'ambiente romano il senso del comico, che è vivissimo, si esprime sianel campo teatrale dove, dopo la fabula palliata e togata di Nevio, di Terenzio, di Afranio, Titinio, Atta, fiorisce l'atellana con Silla e si sviluppano il mimo con Cesare e poi la pantomima e spettacoli d'arte varia durante l'Impero, sia nella letteratura con la satira basata sull'invettiva, sullo scherno, sulla beffa dall'italico Lucilio, all'ironico e sorridente Orazio, al sarcastico Giovenale, con l'epigramma pungente di Marziale, sferzando i costumi e i vizi della società contemporanea. Ma nel campo dell'arte figurativa il comico e la caricatura non dànno luogo ad espressioni originali perché quella ufficiale è volta verso particolari temi del ritratto, del rilievo storico, con prevalenti interessi celebrativi, onorari, propagandistici, illustrativi, mentre la funzione decorativa è affidata soprattutto alla tradizione ellenica. Anche gli aspetti comici e caricaturali nell'arte destinata alle classi colte e benestanti della società romana riecheggiano perciò i motivi fondamentali delle creazioni ellenistiche con il vario repertorio nilotico, con i tipi del mimo, con le fantasie grottesche, nelle pitture, nei mosaici, nelle argenterie, nella ceramica aretina, nella coroplastica, nei bronzetti, nelle gemme. Intellettualistiche creazioni di raffinato umorismo caricaturale sono, ad esempio, i bicchieri d'argento di Boscoreale con le allegoriche scene di scheletri personificanti letterati e filosofi, ma le colorite macchiette di Romani, vere caricature satiriche che si disegnano con preciso vigore nelle satire e negli epigrammi, non trovano corrispondenza nell'arte figurativa per la diversità di indirizzi e di scopi. Mentre l'arte decorativa delle classi più elevate parla un linguaggio ellenizzato, quella popolaresca si limita a qualche modesto graffito caricaturale di cittadini, gladiatori, schiavi e sfocia nell'osceno e nell'erotico. Talvolta è l'iscrizione che conferisce un contenuto caricaturale all'immagine, come ad esempio le scurrili massime riguardanti le funzioni del ventre attribuite ai serî e meditabondi Sette Sapienti greci dipinti in un ambiente delle omonime Terme ostiensi ai primi del III sec. d. C. Manca nell'arte romana un equivalente figurativo della rutilante caricatura di un Trimalchione.
La polemica religiosa, l'invettiva blasfema fan nascere la caricaturale crocifissione di un uomo a testa asinina con un giovinetto che lo venera graffita nella Domus Gelotiana del Palatino, ora nel Museo Naz. Romano, con l'iscrizione ᾿Αλεξάμενος σέβετε [= σέβεται] ϑεόν: Alessameno adora il (suo) Dio.
Ma come il comico era decaduto con Plutarco a un rigido moralismo con funzione sociale e didascalica, condannando Aristofane, e come i grammatici latini e bizantini quando si occuperanno del comico ripeteranno e rielaboreranno pedissequamente le teorie e i concetti di Aristotele e di Teofrasto, così anche la vena della comicità e quindi della caricatura si spegne nel tardo Impero sullo sfondo della crisi spirituale del mondo antico.
Bibl.: Champfleury, Histoire de la caricature antique, Parigi 1865; id., Histoire générale de la caricature, Parigi 1865-1880, in 5 vol., suppl. 1888; E. Fuchs-H. Krämer, Die Karikatur der europäischen Völker vom Altertum bis zur Neuzeit, Berlino 1901-1904, voll. 3; G. E. Rizzo, in Dedalo, VII, 1926-1927, pp. 403-418; A. Plebe, La teoria del comico da Aristotele a Plutarco, Torino 1952; id., La nascita del comico, Bari 1956; E. Romagnoli, Nel regno di Dioniso, Bologna 1953, 3a ed.; T. Massarani, Storia e fisiologia dell'arte del ridere, 1900; M. Bieber, Die Denkmäler zum Theaterwesen im Altertum, Berlino 1920; The History of the Greek and Roman Theater, Princeton 1939; G. Pasquali, Omero, il brutto e il ritratto, in Terze Pagine Stravaganti, Firenze 1942 (= Critica d'Arte, V, 1940, p. 25); H. G. Oeri, Der Typ der komischen Alten, Basilea 1948; H. Kenner, Das Theater und der Realismus in der griechischen Kunst, Vienna 1954; L. Catteruccia, Pitture vascolari italiote, Roma 1951; W. Binsfeld, Grylloi, Colonia 1956.