cariatide.
Non risulta che le frequenti immagini umane introdotte in funzione di sostegno di architravi e capitelli nell' architettura medievale venissero dette c. come avveniva nella Grecia antica e a Roma; ma il sentimento plastico e il gusto figurativo del tempo poté essere ugualmente sollecitato dalla conoscenza di testimonianze dell'età classica.
In modo indiretto, dunque, e non per un richiamo alla classicità, si può parlare di c. a proposito di D., riferendoci al Purgatorio (X 130-139), dove il poeta paragona i superbi, che avanzano sotto grandi pietre che li opprimono, agli elementi di sostegno di soffitti o tetti scolpiti con figure umane rattrappite in atteggiamento di sofferenza per la fatica che, in apparenza, compiono. Infatti D. non solo tace del tutto il termine di c., ma, nell'efficacissima descrizione che ci offre, puntualizza in modo inequivocabile i caratteri della mensola romantica o gotica, ricordando la figura posta a sostegno (per sostentar) e dicendo che essa ha funzione di mensola (per mensola). Inoltre sarebbe difficile pensare a un richiamo classico quando egli ci parla della posa rattrappita e quasi grottesca assunta dalla figura umana, mentre in generale le c. antiche (si pensi a quelle famose dell'Eretteo sull'Acropoli) sono immagini femminili monumentali che non tradiscono minimamente lo sforzo. È naturale perciò, anche rammentando il carattere di tutto il canto dantesco, pensare a precise e documentabili ispirazioni dalla scultura precedente o contemporanea al poeta, quella romanica, e, più specialmente, ai pulpiti di Nicola e Giovanni Pisano, dove le figure sostitutive di elementi architettonici sono rappresentate al vivo e suggeriscono quel senso di fatica apparente che D. vuoi sottolineare: la qual fa del non ver vera rancura nascere 'n chi la vede... (vv. 133-134). Ciò è già chiaramente nel Buti: " Si scolpiscono alcuna volta omini colle ginocchia al petto che paiono sostenere tutto quel carico, sicché chi li vede n'hae rancura ".
L'accento dantesco è dunque posto sulla rappresentazione plastica della sofferenza nel sopportare il gran peso, puntualizzata dall'immagine creata dallo scultore con tanta evidenza che ci procura angoscia solo a guardarla.
Questo trasferirsi dell'azione nello spettatore, fino al punto di renderlo partecipe dei sentimenti espressi, si formula in D. in modo analogo a quello che, con termine moderno, è detto Einfühlung (v. J. Schlosser-Magnino, La letteratura artistica, p. 70). Un riflesso molto probabile dei versi danteschi si può vedere nel famoso sonetto di Michelangelo: Si come per levar, donna, si pone (Rime, ediz. Girardi, 82 ss.) dove il paragone è riecheggiato non più direttamente, ma nel tono generale della lirica e persino nella scelta delle rime (cfr. V. Mariani, Poesia di Michelangelo, p. 75, e in Atti del convegno, ecc., p. 247). Nel Buonarroti, appassionato ammiratore di D., il richiamo ai versi della Commedia aumenta l'intensità del suo concetto di scultura che si fa " per via di levare ", ma riflette anche il senso di punizione e di schiavitù che aleggia in tutto il canto dantesco del Purgatorio e in Michelangelo è come il motivo dominante di tutta la sua opera. Non è da dimenticare che anche l'idea degli schiavi per la tomba di Giulio II può richiamarci alle c., per la loro collocazione nel contesto del mausoleo del pontefice; ma in tali sculture Michelangelo infonde un nuovo senso drammatico nella loro funzione di ‛ prigioni ', alcuni dei quali esprimono lo sforzo di liberarsi dai legami che li avvincono ai pilastri. Similmente D., a conclusione dello stesso canto X del Purgatorio, immagina i superbi più o meno contratti / secondo ch'avien più e meno a dosso, e per aumentare l'impressione della gravità del peso da sopportare, dice: qual più pazienza avea ne li atti, / piangendo pareo dicer: ‛ più non posso ' (vv. 136-139).
Bibl. - J. Schlosser-Magnino, La letteratura artistica, Firenze 1935; V. Mariani, Poesia di Michelangelo, Roma 1941; ID., in Atti del Convegno di studi michelangioleschi, ibid. 1966.
caribo. - Dal provenzale garip, che si trova attestato solo nelle Leys d'Amors, probabilmente derivato dall'arabo (vedi ARABISMI; per l'etimologia si vedano gli articoli del Biadene, dell'Ascoli, dello Schiaffini e soprattutto dello Spitzer, che riconnette al catalano (es)garip, " fischio di uccelli notturni "). L'uso del termine si riscontra prima di D.: secondo il Petronio (cfr. Intelligenza CCXCV " Udivi... / carribi smisurati "), indica uno strumento musicale, come lascerebbe intendere la vicinanza dei termini chitarre ', trombe ', ‛ cennamelle '; ma in questo caso appare di difficile interpretazione il valore dell'aggettivo smisurati'. Sembra avere il senso di " danza o canto " in Giacomino Pugliese Donna per vostro amore 48 " A tale convente (" patto "] / sto caribo / ben distribo [" compongo "] ". Probabilmente designò anche un particolare tipo di componimento simile al discordo (Spitzer); ‛ garibo ' è inoltre qualificato il componimento Per vui donna di cui abbiamo soltanto l'incipit in F.M. Barbieri, Dell'origine..., p. 143; e caribetto ' è detto un componimento di Meo de' Tolomei da Siena, amico di D., nel canzoniere antico Escurialense (cfr. Petrocchi, ad l., e il Dizion. del Battaglia).
Per il Flamini c. " si chiamava una qualità di musica da ballo in uso al tempo dell'Alighieri. Adattandovi le parole per rima, ne veniva fuori una speciale forma di canzone da danzare "; e " canzone a ballo " interpreta la maggior parte dei commentatori moderni, in Pg XXXI 132 l'altre tre . [donne: allegoria delle tre virtù teologali] si fero avanti, / danzando al loro angelico caribo (in rima con cibo e con tribo), " ad gratulationem et cantionem angelicam ipsarum vel ad cantum Angelorum " (Benvenuto).
Il Buti lesse ‛ garibo ' e spiegò " al loro angelico modo; ‛ garibo ' è dire ‛ garbo ', e ‛ garbo ' è lo modo "; la sua interpretazione fu accettata dal Landino e dal Vellutello e, tra i moderni, dal Monti (Prop., vol. I, parte II 129) e dal Tommaseo.
La Crusca, nell'edizione del poema del 1595, dette a c. il senso di " ballo ", precisamente " ballo in tondo " o " rigoletto "; così interpretarono il Cesari, risalendo all'etimo choreas e choribas, e il Rossetti, per il quale c., " alterato da ‛ carybos ' (ballo dei coribanti, sacerdoti di Giove) può valer danza ".
‛ Carribo ' lessero gli editori dell'Ancora per ‛ carro ', detto ‛ angelico ' perché su quel carro erano angeli. Infine il Cesari ripropone, forse a puro titolo d'inventario, la spiegazione dell'arciprete Luigi Nardi, che accostava c. a ‛ quadrivium ', " quadrivio ", chiosando: " Le altre tre, che agli atti mostravano le Virtù Teologali... si fecero danzando innanzi alle quattro loro sorelle, le Cardinali ".
Bibl. - L. Nardi, Memoria sopra alcune parole italiane e sopra la terzina di D. " Se dimostrando del più alto tribo ", in " Giornale Arcadico " XXIV (1824) 343-365; A. Paggi, Sopra la più probabile origine e significazione della voce c., in " L'Etruria " I (1851) 200-201; F. Pacchiani, Della voce c. adoperata dall'Alighieri: nuova interpretazione, in " Miscellanea Pratese di cose inedite e rare " II (1865); A. Cesari, Bellezze della Divina Commedia di D. A., Napoli 1866, 378; L. Biadene, Varietà letterarie e linguistiche, Padova 1896, 47 ss. (rec. di E.G. Parodi, in " Bull. " XI (1904) 235; C.H. Grandgent, Seven notes, in " Twenty-first annual Report of the Dante Society ", Cambridge Mass., Boston 1903 (rec. di E.G. Parodi, in " Bull. " XI [1904] 235); G.I. AscoLI, Sampogna e caribo, in " Arch. glott. ital. " XIV (1899) 346-351 (rec. di E.G. Parodi, in " Bull. " VI [1899] 251-252); A. Bonaventura, D. e la musica, Livorno 1904, 181; F. Flamini, Varia, Pagine di Critica e d'Arte, ibid. 1905 (rec. di E. G. Parodi, in " Bull. " XII [1905] 229-230); A. Schiaffini, Su denominazioni di provenienza francese di strumenti musicali, in " L'Italia dialettale " IV (1928) 224-230; L. Spitzer, Parole di D.: c., in " Lingua nostra " XV (1954) 65-66; F. Mazzoni, Il canto XXXI del Purgatorio, in Lectura Dantis Scaligera, Il Purgatorio, Firenze 1967, 1175-1176.