cardiochirurgia
Branca della chirurgia che si occupa di intervenire sul cuore e sui grossi vasi allo scopo di correggere le alterazione congenite o acquisite o, nei casi di estrema compromissione cardiaca, di provvedere al trapianto di organo o all’impianto di protesi sostitutive.
La chirurgia cardiovascolare si è sviluppata attraverso una lunga maturazione teorica, sperimentale e clinica durata circa 50 anni. Nella sua fase iniziale essa si limitava a interventi extracardiaci, come nel caso della legatura del dotto di Botallo pervio o della resezione della coartazione aortica. Subito dopo la Seconda guerra mondiale sono state corrette con successo e con metodiche ‘a cielo coperto’, cioè a cuore chiuso e pulsante che non interrompe la sua funzione di pompa, alcune malformazioni intracardiache congenite e si sono così eseguite la valvulotomia transventricolare per la correzione della stenosi valvolare della polmonare e la chiusura di piccole pervietà del setto interatriale. Negli stessi anni ha avuto enorme diffusione la commissurotomia (➔) mitralica transatriale per la terapia chirurgica della stenosi mitralica. Per allargare l’indicazione operatoria a cardiopatie più complesse sono state impiegate tecniche per riuscire ad aprire le camere cardiache e a interrompere il passaggio di sangue attraverso di esse, allo scopo di aggredire e riparare le lesioni rese così direttamente visibili.
La chirurgia a cuore aperto ha trovato, dopo il 1950, due diverse soluzioni: la prima è rappresentata dalla possibilità di provocare un arresto circolatorio, temporaneo e reversibile, mediante ipotermia; la seconda dalla circolazione extracorporea del sangue, ottenuta sostituendo al sistema propellente e ossigenante naturale un cuore-polmone artificiale. Per correggere chirurgicamente malformazioni cardiache più complesse, si è reso necessario l’uso della circolazione extracorporea (CEC) che permette di escludere il cuore dal circolo per un lungo periodo di tempo senza rischio di anossia dei vari parenchimi. Alle soglie degli anni Sessanta sono state aggredite e corrette radicalmente e con successo quasi tutte le cardiopatie congenite, anche le più complesse. Successivamente nel decennio 1960-1970 si è sviluppata la chirurgia a cuore aperto delle valvulopatie acquisite (vizi mitralici e aortici). Dopo i primi tentativi con tecniche conservative o correttive (plastiche, anuloplastiche) che davano risultati incostanti e non duraturi, si è passati alle tecniche di sostituzione valvolare. A partire dal 1970 è iniziato il periodo della terapia chirurgica per malattie coronariche, favorito dal diffondersi degli esami coronarografici (➔ coronarografia). La rivascolarizzazione diretta del miocardio viene eseguita mediante by-pass coronarico con trapianto di vena o, preferibilmente, anastomosi di arteria mammaria interna. In pratica si impiantano uno o più ponti vascolari che saltano l’ostruzione coronarica e che portano il sangue alla parte distale dell’arteria coronaria interessata. Sono sottoposti a questo intervento pazienti con malattia ostruttiva coronarica non suscettibile di rivascolarizzazione percutanea (angioplastica, stent). Come terapia chirurgica degli esiti di infarto vengono resecati gli aneurismi del ventricolo sinistro, riparate perforazioni del setto o lesioni della valvola mitrale. Anche nel caso di gravi turbe della conduzione elettrica cardiaca (➔ aritmia) la c. può intervenire mediante l’impianto di pacemaker. Di pertinenza cardiochirurgica è anche l’impianto del cosiddetto cuore artificiale, cioè di una pompa meccanica destinata a sostituire l’azione propulsiva del cuore in caso di grave scompenso cardiocircolatorio irreversibile nell’attesa di poter eseguire un trapianto di cuore.