CARDILLO
Pittori messinesi, attivi nei secoli XVI-XVII.
Francesco, nato nella seconda metà del sec. XVI, si formò probabilmente alla scuola di Antonello Riccio, di cui sposò la figlia, dalla quale ebbe tre figli. Lo storico contemporaneo Buonfiglio ne parla dicendo che abitava nella contrada Carrara presso il monastero di S. Caterina; ma non sono molte le notizie biografiche e sono scarsi i cenni sulle sue opere. Morì a Messina nel 1607 (La Farina, 1835).
Le opere ricordate, oltre a una serie di ritratti di cui non rimane più traccia, sono poche e spesso confuse con l'attività del figlio Stefano, anch'egli pittore. Sono andate perdute, a Messina, la Madonna di Monserrato che si conserva nella cappella Gonzaga (Samperi) e la Strage degli innocenti nel chiostro del Carmine, che il Susinno (p. 168) descrisse attribuendola al figlio Stefano e lodandola per la "fierezza polidoresca". Rimangono ancora una tavola nella chiesa madre di Soccorso presso Gualtieri Sicaminò (Messina), ricordata dagli storici come Natività e che raffigura invece una Madonna col Bambino incoronata da angeli tra s. Michele e s. Francesco (cronologicamente situabile alla fine del sec. XVI), e due tele più tarde: una nella chiesa madre di Castroreale, raffigurante la Pietà con Scene della Passione ai lati, e nella lunetta il Transito di s. Giuseppe - parti queste ultime ridipinte -, è firmata "Cardile alias Cardillus" e datata 1603; l'altra nella chiesa madre di Novara di Sicilia, raffigurante una Madonna con Bambino,s. Anna e s. Venera, è firmata con un cardellino con la scritta "Ego feci" e datata 1607.
L'esame di queste opere rivela una personalità inserita nella cultura pittorica messinese a cavallo tra i due secoli: Francesco infatti, senza dimostrare doti di grande originalità e alto livello qualitativo, registra, facendole proprie, le ultime tendenze polidoresche e i nuovi aggiornamenti pittorici importati da pittori locali e determinati dalla presenza di opere di più vario ambiente e orientamento. La base culturale tipicamente messinese, improntata ai caratteri del Riccio e del Guinaccia, si rivela chiaramente nella tavola conservata a Gualtieri Sicaminò, come nella più tarda tela di Castroreale, opera uniformata oltretutto al più contrito controriformismo nel motivo di semplice ed esemplare efficacia rappresentativa. Ma già in questa tela, per la maggior morbidezza del colore, e soprattutto nell'opera di Novara di Sicilia, questi elementi, caratteristici di una educazione ormai stanca e ripetitiva, vengono riassorbiti in una maniera pittorica più fusa, dove il colore, caldo e pastoso, sfalda l'impalcatura disegnativa e conferisce alle figure, che non sono prive di eleganza, un aspetto più umano e familiare, consono a un'atmosfera religiosamente meno rigorosa. Tali caratteristiche denunziano una conoscenza di modi barocceschi diffusi nell'isola nei primi anni del sec. XVII, che nel Messinese presero particolare impulso per l'attività di Antonio Catalano il Vecchio e di altri pittori ancora misconosciuti o anonimi.
La mancanza di altre opere note a Messina, oltre a quelle perdute, e la scarsa conoscenza che hanno della sua vita e della sua attività gli storici messinesi, come il Susinno, che dedica ben più ampio spazio a pittori a lui contemporanei, fa pensare che Francesco abbia operato soprattutto per l'ambiente provinciale, ove esistono opere che hanno affinità con la sua maniera.
Stefano di Francesco nacque nel 1595. È personalità problematica, e anche le opere ricordate dagli storici si rivelano di dubbia attribuzione, se la perduta Strage degli innocenti del chiostro del Carmine a Messina e contemporaneamente attribuita a lui e al padre, e se la tela con le Tentazioni di s. Francesco, datagli dal Susinno (p. 216) e dal Grano, risulta invece, in una nota scritta sul libro dei confrati dell'Oratorio dei mercanti - dove era conservata opera fiamminga, regalata da Agostino Messena, genovese, nel 1629. Comunque, il fatto che ambedue queste opere siano andate perdute non permette alcuna ipotesi critica sulla sua personalità artistica.
Una tela firmata Stefano Cardillo e datata 1666 nella chiesa madre di Novara di Sicilia è stata segnalata da una recente pubblicazione locale (U. Di Natale, Novara..., Palermo 1968, p. 169): raffigura una Madonna del Carmelo, orientata culturalmente verso l'ambiente pittorico messinese della seconda metà del sec. XVII. A parte il fatto che la firma è scarsamente leggibile, lascia perplessi, ai fini di una identificazione col Cardillo ricordato dagli storici, la data piuttosto tarda, che mostrerebbe il pittore in una fase estremamente matura della sua attività.
Difficilmente ricostruibile, per la mancanza di opere documentate, è la personalità di un Cardillo, pittore attivo nella seconda metà del sec. XV, del quale gli storici locali affermano l'esistenza in base alla convinzione che firmasse le sue opere con un cardellino. Egli viene spesso indicato anche come Cardillol'Antico.
Susinno, Gallo, Grosso Cacopardo e La Farina (1840) gli attribuiscono concordemente due tavole nella chiesa di Montalto a Messina: una raffigurante S. Benedetto e s. Bernardo, già perduta ai tempi del Grosso Cacopardo, e una raffigurante la Visitazione, che si mantenne sull'altare fino al terremoto del 1908, quando venne ricoverata in pessime condizioni al Museo nazionale, dove tuttora si conserva. Mentre il Di Marzo pone in dubbio l'esistenza del pittore per la mancanza di documenti, il Brunelli, sia pur assegnando al nome un valore convenzionale, lo inserisce tra gli antonelliani, in base alle strette affinità che egli notava tra la Visitazione e una tavola di uguale soggetto del Giuffrè, conservata nella chiesa del Varò a Taormina.
Oggi, essendo pressoché illeggibile la tavola del Museo, sfugge qualsiasi termine di paragone per la definizione critica della personialità di questo artista, sia esso appartenuto a una famiglia Cardillo in relazione con i pittori dello stesso nome di cui è accertata l'esistenza in tempi successivi, sia che si tratti di personalità anonima, cui a posteriori sia stato dato un nome desunto dall'emblema. A questo pittore sono state attribuite (Mauceri, Brunelli e Bottari, in Introduz...., in Arch. stor. messinese, n.s., I [1934], p. 19), sull'unica base della presenza, nei dipinti, di un cardellino, una serie di opere che però sono difficilmente riconducibili a una stessa mano, poiché si situano ciascuna in un ambito culturale affatto diverso l'una dall'altra.
Sempre riportata dalle guide di Messina di G. La Farina (1840) e del Grosso Cacopardo, su una segnalazione dovuta a C. La Farina (1835) che lesse la firma "Menichello Cardili fec", è un'altra tavola proveniente dalla chiesa dell'Annunziata, oggi nei depositi del Museo nazionale di Messina. È, impossibile tuttavia ricondurla all'attività di Cardillo l'Antico, poiché è sicuramente posteriore alla metà del sec. XVI, recando nel paesaggio di sfondo la lanterna costruita su disegno del Montorsoli sul braccio di S. Raineri (porto) nel 1555. La tavola, che il Gallo attribuiva a Guinaccia, non reca più traccia di firma, essendo andata distrutta tutta la parte inferiore: essa comunque si colloca effettivamente nella cultura postpolidoresca dominata dalla personalità di Guinaccia.
Fonti e Bibl.: G. C. Buonfiglio, Messina città nobilissima [1606], Messina 1738, l. 3, p. 35; P. Samperi, Iconol. della gloriosa Vergine Maria..., Messina 1644, p. 601; F. Susinno, Le vite de' pittori messinesi [1724], Firenze 1960, pp. 168, 216; F. Hackert (Grano), Mem. de' pittori messinesi, Napoli 1792, p. 28; G. Grosso Cacopardo, Memorie dei pittori messinesi, Messina, 1821, pp. 26, 64, 102; C. La Farina, Intorno alle Belle arti e agli artisti fioriti in varie epochein Messina,Ricerche, Messina 1835, p. 12; G. La Farina, Messina e i suoimonum., Messina 1840, pp. 38, 57; C. D. Garo, Annali della città di Messina, Messina 1881, p. 101; G. Di Marzo, Di Antonello da Messina e dei suoi congiunti, Palermo 1903, p. 128; G. Borghese, Novara di Sicilia e le sue opere d'arte, in Arch. stor. mess., VII (1906), pp. 236 s.; E. Brunelli, Il vecchio Cardillo, in L'Arte, XI (1908), p. 300; P. Augella, Un pregevole polittico quattrocentesco dimenticato, in Arch. stor. mess., XIII (1909-1914), pp. 304-06; A. Salinas Columba, Terremoto di Messina. Opere d'arte recuperate, Palermo 1915, pp. 35, 42; E. Mauceri, Dipinti ined. ... nel Museo naz. di Messina, in Boll. d'arte, XIII (1919), p. 78; Id., Il Museo naz. di Messina, Roma 1929, p. 39; G. Giacomazzi Sunseri Rubino, Caccamo, Palermo 1965, p. 34; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, V, p. 585.