CARCIOFO (dall'arabo kharshūf; lat. scient. Cynara cardunculus L. var. scolymus L.; fr. artichaut; sp. alcachofa; ted. Artischocke; ingl. artichoke)
Il carciofo non fu mai trovato allo stato spontaneo e vi è ragione di ritenere che sia un prodotto della coltura e della selezione della Cynara cardunculus L. (v. cardone). Il botanico Moris dichiara infatti di aver ottenuto dalla C. cardunculus delle forme identiche alla C. scolymus. Sembra che gli antichi non conoscessero questo prodotto e che la sua diffusione abbia avuto luogo nei secoli XV e XVI (A. Targioni-Tozzetti, Cenni storici sulla introduzione di varie piante nell'agricoltura ed orticoltura toscana, Firenze 1896, pp. 43-47: ristampa). Del carciofo si mangiano, come è noto, le squame che rivestono i capolini fiorali non ancora completamente sviluppati, ovvero solo i fondi (ricettacolo). Sono di largo uso i piccoli carciofini conservati sott'olio. Sotto il nome di gobbi sono conosciuti i germogli laterali della pianta che vengono piegati e coperti di terra per imbiancarli e si mangiano cotti come i cardi.
È una delle piante alimentari più diffuse in tutta l'Italia specialmente nella regione mediterranea e la coltura riesce facile a condizione che i terreni siano profondi, soffici, arenosi. Per la moltiplicazione si staccano dalle vecchie piante in autunno i germogli bassi e si piantano in buche ben concimate alla distanza di 1 m. l'una dall'altra. Se ne conoscono razze diverse per la forma del capolino, per le brattee spinose o inermi, verdi o violette e per la maggiore o minore precocità.