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CARBONERIA

di Renato Soriga - Enciclopedia Italiana (1930)
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CARBONERIA

Renato Soriga

. Sodalizio segreto di carattere popolare, fiorito in special modo quasi ad un tempo in tutta l'Europa latina, che dai moti del'14 a quelli del'48, additò come scopo supremo la libertà e l'indipendenza ai popoli soggetti, pur lasciando impregiudicata la classica questione della forma più conveniente di governo e di conseguenza la scelta dei mezzi più opportuni ad assicurarne l'attuazione. Sfrondata dalle leggende che ne infiorarono le origini è da ritenersi che la carboneria trasse i suoi primi impulsi dalle mene antibonapartiste, di ordine sia repubblicano sia monarchico, manifestatesi spesso di mutuo accordo nella zona alpina della Francia sulla fine del sec. XVIII e che trovarono possibilità di esplicazione dissimulando il proprio programma politico nel seno di un preesistente sodalizio artigiano sorto sui detriti del proscritto compagnonnage, che da tempo remoto si era sviluppato particolarmente nella Franca Contea con proprî riti e simboli ricavati dalla passione di Cristo, noto, sino dalla settima decade del Settecento, sotto il nome di società dei Charbonniers.

Tale esotica provenienza risulta nel modo più certo dal confronto istituito tra i più antichi catechismi francesi dell'associazione e quelli italiani, posteriori almeno di un quarantennio, per cui questi si rivelano una grossolana traduzione letterale di quelli; nonché dall'esplicita testimonianza di Pietro Colletta e d'un fedele partigiano di re Gioacchino, il generale piemontese Giuseppe Rossetti, il quale dichiarò di essersi ascritto alla carboneria sino dal 1802, quand'era di guarnigione a Gray, e che posteriormente questa setta, essendosi acclimatata nell'Italia meridionale, da pura associazione di mutuo soccorso tra i militari di bassa forza, assunse un carattere decisamente antinapoleonico, con spiccate tendenze repubblicane. A favorire la nascita di tale indirizzo politico molto ) influì dal canto suo la reazione legittimista del 1799, che disperse e ad un tempo affratellò, nel comune vincolo dell'esilio, le misere quanto esasperate vittime delle illusioni ideologiche del triennio memorabile; queste vennero, allora per la prima volta, a contatto diretto e con sé stesse e con i superstiti del vecchio partito giacobino; il quale, specie tra le file dell'esercito francese, aveva da qualche tempo iniziato una sorda agitazione contro la politica cesarea del primo Console.

Da questi oscuri contatti derivò la prima apparizione presso di noi di nuovi schemi di fratellanze segrete a contenuto nazionale indipendentista, con rituale ridotto ai minimi termini e con le più opposte finalità, che per ragioni prudenziali rimasero lungo tempo celate nell'interno delle logge militari che allora andavano ricostituendosi a tutto profitto dei nuovi dominatori. Molto probabilmente lo sfratto dei rifugiati meridionali dal territorio della Cisalpina determinò nell'Italia centrale e nel resto della penisola l'infiltrazione della nuova fratellanza, che tanto più si estese quanto più prevalse l'elemento italiano nel corpo d' occupazione che dopo la pace di Firenze si stabilì nelle Puglie e negli Abruzzi.

Tutto ciò dovette a ogni modo effettuarsi per gradi e compiersi tanto sotto l'ambigua egida degli emissarî anglo-borbonici, quanto sotto quella delle autorità francesi, che nel frattempo avevano riorganizzato la massoneria locale in vista del non lontano ricupero nel regno di Napoli, sotto gli auspici del generale Giuseppe Lechi.

Da questi torbidi elementi, dal patriottismo esasperato e dalle incomposte passioni politiche, tra cui il bisogno del nuovo si mescolava stranamente col desiderio d'un ritorno all'antico per comporsi in un oscuro impulso di emancipazione nazionale, nacque il terriccio fecondo da cui la carboneria italiana trasse vita ed alimento; di qui il suo carattere repubblicano democratico o monarchico liberale in odio al dispotismo accentratore dell'Impero francese; la sua fisionomia cattolica o semplicemente cristiana in avversione al grossolano anticlericalismo professato dal partito dei dominatori; il suo colore popolaresco e a un tempo patriottico, perché costituita in gran parte da elementi piccolo borghesi e dal basso clero, tutti pervasi da profondo attaccamento alla propria terra; e, dal concorso di quest'ultimo, certa unzione evangelica, che perdurò sino a quando il massonismo antinapoleonico delle potenze legittimiiste le diede un nuovo impulso infondendole un più specificato contenuto politico indipendentista. Non diversamente nel campo della vita e dell'arte, mentre in quello politico i principî di nazionalità e di autogoverno cominciano a vigoreggiare per tutto il vasto Impero napoleonico, intesi nel comune sforzo di comporsi in una formula unitaria.

Data la sua particolare struttura di partito d'azione più che di pensiero, la carboneria nostrana prese ad acquistare una sua particolare efficienza dal giorno in cui alternatamente divenne la longa manus degl'Inglesi, dei Borboni, degli Asburgo d'Este nei loro innummerevoli conati di sovvertire la penisola contro la Francia imperiale. Ciò particolarmente dal 1810 o per meglio dire da quando l'insurrezione della Spagna additò ai coalizzati come un moto analogo suscitato in Italia avrebbe necessariamente prodotto il crollo dell'Impero francese, essendo la nostra penisola la chiave di vòlta dell'edificio napoleonico. Di qui l'infiltrazione della vecchia massoneria legittimista in ogni centro carbonaro, per cui il sodalizio, a sua insaputa, si trovò spesso diretto segretamente da un francomuratore, e da qui per conseguenza l'aperta ostilità di re Gioacchino contro la nuova setta, come lo provarono le feroci repressioni avvenute contro i carbonari delle Calabrie e degli Abruzzi.

Non è a credere però che al sommovimento di queste fiere regioni, tutte pervase da uno spirito combattivo degno , di quello espresso dagl'insorti spagnoli, bastasse soltanto l'indigena opposizione, poiché è cosa nota che molto si adoperarono gli emissari di lord Bentinck, come lo attesta l'offerta che a loro istigazione i carbonari meridionali fecero del regno a un membro della corona inglese (ottobre 1813) e la contemporanea relazione del conte Vincenzo Dandolo (29 novembre 1813) al viceré Eugenio sull'entità della carboneria. Questa, a suo credere, aveva sostituito parole evangeliche alle massoniche, al fine di rendere più accetto il suo intento alla piccola borghesia ed ai militari, dal soldato al capitano, ed era, infine, opera dell'oro inglese.

Da questo complesso ordine di circostanze derivò la trasformazione della carboneria italiana in un vero e proprio partito d'azione; la sua struttura più militare che civile; la rielaborazione dottrinaria dei suoi rituali; l'ampliamento della sua scala gerarchica da due a nove gradi; nonché la sua tripartita organizzazione in Vendite, Vendite madri e Alta Vendita, cui spettava la direzione suprema dell'ordine. Tale il carattere degli statuti della carboneria italiana giunti a noi, i quali, in sostanza, sono un plagio delle forme esterne della massoneria; non per nulla la chiesa cattolica, malgrado l'ostentata designazione del Cristo crocifisso a grande maestro dell'ordine, proscrisse in una sola condanna le due associazioni.

Nonostante l'editto del 4 aprile 1814 contro i carbonari, le esigenze della nuova politica italiana iniziata nei primi mesi del'15, fecero sì che re Gioacchino cercasse di conciliarsi la carboneria con le stesse arti con le quali aveva in precedenza piegato a sé i Franchi muratori. Così egli si studiò di mutarle nome e carattere, capeggiandola; ma inutilmente, poiché le riconfermate promesse degl'Inglesi e del Borbone di elargire una carta costituzionale e la liberta al Regno, non solo tolsero ogni indugio, ma favorirono la fusione dei partiti privando lo sventurato Napoleonide d'ogni ulteriore speranza di successo.

Così si passò alla restaurazione borbonica con la quale ha inizio la terza e ultima fase della fratellanza dei carbonari; fase che è la più interessante di tutte, perché la storia della setta tende a confondersi con quella dello stato nell'intento di assicurare a sé stessa stabilmente il frutto delle conquiste politiche ed economiche del decennio: da ciò nuove trame, che condussero dopo cinque anni di mal congegnati tentativi, al noto pronunciamiento del 1820, il quale, determinando lo sfacelo di quello stesso esercito che l'aveva suscitato per la sovrapposizione della gerarchia carbonara su quella militare, nonché per la prevalenza dispotica dell'Alta Vendita sulle decisioni del governo, venne a riconfermare il popolo nel suo provato lealismo verso il trono e la piccola borghesia, e il ceto dei possidenti nel suo interno dissidio con la monarchia assoluta. Di qui il persistere della richiesta d'una carta costituzionale a parte della fazione murattiana e del partito carbonaro quale unico mezzo per conciliare la sovranità del popolo con la salvezza della monarchia. Tale programma, ancora rifuggente da una plenaria concezione dell'unità della patria, perdurò fino alla svolta decisiva del 1848, così che tutti i moti politici che si succedettero prima di questa data a Napoli e in Sicilia, possono considerarsi come una applicazione costante di questa premessa.

Dopo questa crisi salutare la carboneria quasi insensibilmente scomparve e con essa tutto il suo artefatto bagaglio di miti e di simboli romanzeschi per cedere il passo a un'esigua quanto eletta generazione di giovani, i quali tra breve, nel nome d'una Italia integrale, offriranno la propria esistenza sui piani di Lombardia e sugli spalti di Venezia, quasi pegno prezioso di nuovi destini.

In quanto alla carboneria dell'Italia settentrionale, sebbene se ne riscontrino tracce positive nel Canavese, a Milano e a Genova sino dagli ultimi tempi del Regno italico, è da ritenersi con qualche probabilità che queste devono essere ascritte all'azione di un altro segreto sodalizio, detto dei Filadelfi, da cui rampollò l'Adelfia e quindi la società dei Federati, che per struttura e contenuto fu l'equivalente settentrionale della carboneria del mezzodì d'Italia. Le scarse e tardive infiltrazioni di quest'ultimo tipo di setta, apparse tanto nello stato sardo quanto nella vallata padana, come risulta dal processo Maroncelli, provennero dalle Legazioni, dove le truppe di Murat lo avevano diffuso copiosamente durante la campagna del'14, se non dai porti di Genova, Venezia e Ancona.

Dopo gl'insuccessi militari del'21, il centro carbonaro d'Italia, che aveva sede a Napoli, trasmigra a Genova, quindi a Londra; di poi, verso il 1830, torna di nuovo sulle rive del Sebeto: quindi si stanzia a Parigi sotto il nome di carboneria riformata, auspici Filippo Buonarroti, Borso-Carminati e Carlo Bianco. Altri centri carbonari assai attivi, degni di nota, furono, dopo il 1830, la Corsica, l'isola di Malta, Corfù, la steasa Sicilia, nella quale visse e prosperò lungamente una forma indigena di carboneria antinapoletana, la cui azione traluce di frequente nei processi politici anteriori al'48. A ogni modo tutto ciò avvenne in sottordine, poiché, come giustamente osservava Mazzini, "coi moti del'31 venne consumato il divorzio tra la Giovane Italia e gli uomini del passato"; da ciò lo scarso valore che noi attribuiamo alla carboneria dopo questa data, pur concedendo che il 1848 fu il logico epilogo de suo più genuino programma.

Non sarà infine superfluo far osservare che il fenomeno del carbonarismo più che un prodotto indigeno fu una necessaria derivazione del clima politico europeo, troppo assetato di luce e di sole per adattarsi a vivere nelle serre calde del Congresso di Vienna: gli è perciò che noi vediamo quasi sorgere a un tempo tante consociazioni di questo carattere, quanti sono i popoli oppressi dal giogo straniero: di qui una carboneria greca, una spagnola, una portoghese, una polacca, una francese, una italiana, che non potranno essere valutate nella loro essenza se non con uno studio inteso a cogliere il ritmo ispiratore che animò l'operosità sotterranea di tutte queste ermetiche figlie di un'unica madre.

Bibl.: Per la bibliografia generale della questione cfr. le appendici agli scritti di R. M. Johnston, The Napoleonic Empire in Southern Italy, Londra 1904 e di A. Luzio, La massoneria e il risorgimento italiano, Bologna 1925. Sulla questione del compagnonnage cfr. l'opera omonima di E. Martin Saint-Léon, Parigi 1901, particolarmente alla p. 207 e segg. Circa la storia e il testo dei più antichi catechismi francesi dei Bons cousins charbonniers, cfr. gli studî di C. Godard negli Annales franc-comtoises del 1896 e del 1905, nonché la sua riedizione della Histoire de Gray, di Gatin e Besson. Riguardo ai più antichi statuti e catechismi carbonari italiani, cfr. Il carbonaro istruito, Milano 1815, quelli editi da A. Luzio nel suo Processo Pellico-Maroncelli, Milano 1903, nonché del medesimo: Giuseppe Mazzini carbonaro, Torino 1920. Su questioni particolari cfr. T. Casini, Carboneria romagnola, in Arch. emiliano del Risorgimento, 1907; F. Patetta, Dichiarazione di principi d'una Vendita di Carbonari italiani in Londra nel 1823, Torino 1916; F. Lemmi, Le società segrete nella Sicilia e l'autodifesa dell'ab. Luigi Oddo, Palermo 1920; A. Luzio, Il canonico Marentini e le sue discolpe a Carlo Felice, Torino 1923; R. Sòriga, Le Società segrete e i moti del 1820 a Napoli, Roma 1921; id., Gli inizi della Carboneria italiana, in Il Risorgimento italiano, Torino 1928.

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