CARAFA, Caraffello
Figlio di Gurrello e di Cizulla de Alferiis, nacque probabilmente alla fine del secolo XIV in località imprecisata. Nell'anno 1417 il C. venne compreso da Giovanna II, regina di Napoli, che, liberatasi l'anno precedente dalla schiacciante ingerenza del marito, era tutta intenta a raccogliere intorno a sé i baroni fedeli, nella lista di uomini d'arme, fra i quali Fabrizio da Capua avrebbe potuto scegliere colui che l'avrebbe accompagnato fuori del Regno, giusto gli accordi stipulati il 17 luglio fra lui e la regina. Tre anni dopo, mentre Antonio Malizia Carafa, zio del C., era a Firenze impegnato in quella missione diplomatica dal fallimento della quale scaturì l'intervento di Alfonso d'Aragona nel Regno, il C. si trovava presso Napoli, nel campo di Muzio Attendolo Sforza, che rivoltosi contro la sovrana, dominata dal cattivo genio del gran siniscalco Sergianni Caracciolo, aveva abbracciato il partito angioino. Qui il C. accolse una sfida lanciata da Leonetto Sanseverino e l'uccise, alimentando così la sua fama di prode e cavalleresco uomo d'arme.
Il C., che dopo la venuta di Alfonso nel Regno e la sua adozione da parte della regina aveva abbracciato la causa aragonese, cui sarebbe rimasto fedele, quando il re d'Aragona, a causa del conflitto con la regina e allo scopo di recare soccorso al fratello Enrico, nel 1423 lasciò il Regno, si imbarcò con il sovrano, seguendolo poi con ogni probabilità nei suoi spostamenti e imprese. Il re, come segno di benevolenza e di gratitudine, gli concesse un feudo in Malta e una tonnara vicino Trapani nel 1430 e nel 1434 e, quando il C. era già consigliere e maggiordomo regio, la castellania di Agrigento.
Morta il 2 febbr. 1435 Giovanna II, avendo designato come suo erede Renato d'Angiò, Alfonso d'Aragona, punto rassegnato all'esclusione, inviò da Messina a Napoli il C., che si introdusse segretamente in città, abboccandosi con Raimondo Boyl, fedele dell'Aragonese. Compiuta positivamente e con celerità questa missione, il C. tornò in Sicilia, per mettere al corrente della situazione napoletana il re. Questi, constatate le buone possibilità di successo, si portò a Ponza e di nuovo inviò il C. nel Regno. Questa volta egli, giunto a Capua, caduta in mano dei filoaragonesi, non trovò consenzienti i baroni, cui aveva trasmesso l'ordine regio di impadronirsi di Gaeta; essi però si dichiararono pronti a conferire con il re. Rispedito di nuovo a Sessa Aurunca presso Giovanni Antonio Marzano il C. concordò un incontro. poi avvenuto a Ischia, con il re. Da questa riunione scaturì la constatazione della necessità di conquistare alla causa aragonese il principe di Taranto, uno dei più potenti baroni del Regno. Fu il C. che si recò a Taranto con l'incarico di convincere l'Orsini. La missione conseguì ampio successo e il principe, con 2.000 cavalli e altrettanti fanti, seguì il C. a Gaeta, ove intanto era sbarcato il re d'Aragona.
Con ogni probabilità il C. condusse con l'Aragonese tutta la settennale guerra combattuta nel Regno contro l'Angiò: certo è che dopo l'occupazione di Napoli (giugno 1442), che aveva suggellato il suo successo nella riconquista del Regno, Alfonso aveva inviato il C. nelle terre del pontefice, dal quale era stato investito del Regno nel luglio 1441, mentre egli durante la campagna autunnale dello stesso anno nelle Marche contro Francesco Sforza, vedeva volgerglisi contro anche Milano, oltre Venezia e Firenze, Genova e Bologna. Entro lo stesso anno il C. si recò come ambasciatore, insieme con Giovanni Tudisco, a Genova, che aveva tentato approcci di pace presso il sovrano. Nella città ligure furono così dai due ambasciatori poste le basi per l'accordo, poi concluso - con la partecipazione del C. - a Napoli. Per il suo apporto alle trattative il doge Raffaele Adorno, agli inizi del 1444, volle conferirgli il titolo di "conservatore della pace". Prima del febbraio dello stesso anno inoltre egli ottenne la carica di giustiziere di San Germano.
Alla morte di Eugenio IV (23 febbr. 1447) il C. fece parte dell'ambasceria, che, capeggiata da Marino Caracciolo, fu inviata dal re ai cardinali per offrire loro la sua protezione a garanzia del corretto svolgimento del conclave. Dopo questa missione il C. si recò con Matteo Malferito a Ferrara, dove si sarebbe dovuto tenere con la partecipazione dei rappresentanti di tutte le potenze italiane un convegno per il ristabilimento della pace nella penisola. In questa città i due inviati furono raggiunti dalla notizia della morte di Filippo Maria Visconti (13 agosto), che provocò il fallimento della conferenza ed indusse i due oratori a partire, per ordine del re, alla volta di Milano, dove avrebbero dovuto rendersi conto della situazione ed offrire inoltre ai Milanesi contro Venezia l'aiuto del re d'Aragona, divenuto uno dei pretendenti al ducato.
Conseguita nell'anno successivo la carica di castellano di Castel Capuano, il C. non partecipò più ad avvenimenti di importanza pubblica. Ottenne tuttavia nel luglio del 1452 la conferma della capitaneria di Sant'Arpino, di cui - come del castello di Sessola - aveva ereditato, con il fratello Giovanni, da un altro fratello, Luigi Antonio, nel 1422, una parte; e nel 1453 la concessione di una rendita annua. Morì con ogni probabilità nel 1458 e fu sepolto in S. Domenico Maggiore a Napoli. Gli successe nella castellania di Castel Capuano il cugino Diomede ed in tutti i beni il nipote Bernardo, figlio del succitato Giovanni, già, nel 1423, coerede con lui del fratello Filippo.
Sembra senza fondamento la tradizione che lo vorrebbe, per essersi schierato, alla morte di Alfonso, contro Ferdinando d'Aragona, fuggitivo a Cipro, donde sarebbe poi tornato a Napoli un suo figlio naturale, che non ne avrebbe mai ottenuto l'eredità.
Fonti e Bibl.: N. Toppi, De origine tribunalium, II, Neapoli 1659, p. 125; B. Facio, Rerumgestarum Alphonsi regis..., in G. Gravier, Raccolta..., IV, 2, Napoli 1769, pp. 67 ss., 71 ss., 183; A. De Tummulillis, Notabilia temporum, a cura di C. Corvisieri, Roma 1990, p. 54; G. Caetani, Regesta chartarum, V, San Casciano Val di Pesa 1930, pp. 109, 169; C. D'Engenio Caracciolo, Napoli sacra, Napoli 1624, p. 281; B. Aldimari, Historia geneal. della famiglia Carafa, II, Napoli 1691, pp. 30-44; C. Minieri Riccio, Alcuni fattidi Alfonso d'Aragona, in Arch. stor. per le prov. napol., VI (1881), pp. 8, 237, 255; T. Persico, Diomede Carafa, Napoli 1899, pp. 24, 33 ss., 51 ss., 57, 59, 75; N. F. Faraglia, Storia della reginaGiovanna II d'Angiò, Lanciano 1904, pp. 80, 167 (in cui è identificato come figlio di Giov. Antonio Caracciolo); Id., Storia della lotta tra AlfonsoV d'Aragona e Renato d'Angiò, Lanciano 1908, pp. 15, 17 ss., 127; G. Deltrani, Gli Orsini di Lecce e diTaranto..., in Arch. stor. per le prov. napol., n.s., XXXVI (1956), pp. 93 s.; P. Litta, Le fam. cel. ital., s.v. Carafa, tav. XVI.