CARACALLA (soprannome di Bassianus, divenuto dopo l'adozione Marcus Aurelius [Severus] Antoninus)
Imperatore romano dal 211 al 217. Nacque a Lione il 4 aprile del 186 da Settimio Severo, allora governatore (legato pretoriale) della Gallia Lugdunense, e da Giulia Domna. Il suo nome doveva essere, regolarmente, Settimio; ma si trova chiamato comunemente Bassiano, come l'avo materno, sacerdote del Sole in Siria. Nel 196 Caracalla ricevette a Viminacium (Kostolac) il titolo di Cesare, portato già da Clodio Albino (v.) contro cui il padre moveva in guerra. Nello stesso tempo lasciò il nome di Bassiano e prese quello di Marco Aurelio Antonino, il nome, cioè, dell'imperatore filosofo, di cui Severo si era fatto figlio adottivo. Il senato, nel confermare il titolo, conferì a C. le insegne imperatorie e con esse la qualifica d'imperatore destinato. Due anni dopo, nel 198, durante la guerra partica, venne dai soldati proclamato Augusto e il padre lo investì dell'autorità tribunizia. Egli aveva superato appena i 12 anni. Nel titolo di Cesare gli succedette il fratello minore, Settimio Geta.
Il piccolo Augusto e il piccolo Cesare erano appassionati di giuochi e di spettacoli e gareggiavano fra loro specialmente nella corsa dei carri. Da queste rivalità si maturò a poco a poco un odio feroce che i cortigiani si davano cura di alimentare ed acuire. I due fratelli si accordarono solo nell'avversione contro Flavio Plauziano, il duro e ambizioso prefeno del pretorio, che aveva grande ascendente su Severo, e pretendeva d'imporsi alla famiglia imperiale. Per volere del padre, C. ne sposò la figlia, Plautilla (202), ma non convisse con lei che poco tempo. Qualche nube sorta fra Severo e Plauziano fu presto dissipata, ma C. ordì contro il suocero un'accusa di cospirazione, che parve inverosimile ai nemici stessi del prefetto, e lo fece uccidere al cospetto di Severo. C. e Geta si sentirono liberi, ma le loro rivalità continuarono con lo stesso vigore. In una gara di corse, i loro carri si urtarono in guisa che C. fu sbalzato a terra e si ruppe una gamba. Severo cercò di conciliarli, ma senza successo. Egli li condusse seco in Britannia (208), e li tenne con sé fino alla morte (febbraio 211). Nel 209 aveva conferito anche a Geta il titolo di Augusto.
I due fratelli entrarono a Roma, entrambi imperatori. Essi presero stanza in due parti diverse della casa imperiale, e ciascuno ebbe cura di circondarsi d'un corpo di guardia fidato. La corte imperiale era divisa in due partiti. Gli sforzi fatti dalla madre e da alcuni amici per addivenire a una rappacificazione non valsero a togliere le diffidenze e i sospetti. La tragedia fu inevitabile. C. fece trucidare il fratello fra le braccia della stessa madre (212). Ma Geta era amato dai soldati e la notizia della sua morte mise in agitazione la legione che si trovava ad Alba. Tuttavia C. riuscì ad acquietare con le promesse le milizie e quindi gli fu agevole di ridurre al silenzio anche il senato. Accordò, per altro, un'amnistia generale, concedendo a tutti gli esuli il ritorno in patria, ma non perdonò a coloro che avevano seguito le parti del fratello, che furono sterminati. Fra le vittime fu anche il giurista Emilio Papiniano. Le statue di Geta vennero abbattute e il suo nome fu eraso dai pubblici monumenti.
Per guadagnare stabilmente la fede dell'esercito, C. aumentò gli stipendî militari e fece alle truppe frequenti e vistose largizioni. Altre ne fece al popolo. Il bilancio dello stato ne fu enormemente aggravato, le entrate ordinarie divennero insufficienti ai bisogni, e una recrudescenza delle imposte ne fu la conseguenza necessaria. Le tasse di manomissione e quelle di successione furono aumentate sino al doppio, le prestazioni e le contribuzioni obbligatorie divennero più moleste e frequenti. La classe colpita di più era quella dei senatori, che fremevano d'odio contro C., chiamato da loro col nome di Taurautas, un gladiatore brutto e feroce come lui, ma erano tenuti sotto la minaccia continua delle armi. Roma, date le condizioni del bilancio, non poteva attendersi grandi opere d'utilità pubblica. L'unica notevole fu la costruzione delle sontuose Terme che vennero ingrandite ed ultimate dopo la morte di C. Nel territorio dell'Impero non venne tuttavia intermessa l'opera consueta di costruzione e di riparazione delle vie.
Il movimento di revisione del diritto continuò anche sotto questo imperatore. Fu migliorata la legislazione relativa alla schiavitù e alla successione, furono sanciti nuovi provvedimenti per la tutela dei minorenni, venne ritoccato il codice militare, e l'adulterio fu punito con estrema severità. Ma si ebbero insieme i rigori di una polizia segreta, che spiava e portava innanzi ai tribunali ogni atto che sembrasse ingiurioso alla maestà imperiale. Il provvedimento legislativo più importante del governo di C. fu la cosiddetta Constitutio Antoniniana o editto di Caracalla (v. sotto).
Dopo l'uccisione di Geta, C. rimase a Roma poco più d'un anno. Egli si sbarazzò della moglie Plautilla, già relegata a Lipari, e lasciò alla madre la cura di regolare gli affari ordinari della cancelleria imperiale, concedendole parte in tutte le solennità e gli onori pubblici. Nella primavera del 213 egli lasciò Roma, passò nella Gallia Narbonense e di là nella Rezia per intraprendere una campagna contro gli Alamanni, popolazione che vien nominata allora per la prima volta, e che era considerata come un miscuglio di stirpi germaniche insieme collegate. In complesso quella campagna ebbe risultati favorevoli: C. vinse gli Alamanni, riuscì a inimicare i Vandali e i Marcomanni che prima erano alleati e ad assicurare il confine romano fra il Reno e il Danubio. Nella primavera del 214 C. si mise in cammino alla volta d'Oriente, ove si offriva l'opportunità di dare un colpo decisivo all'Impero partico, il nemico secolare di Roma. Traversò la Tracia, ove ottenne buoni successi contro alcuni popoli barbari, indi traversò l'Ellesponto e scese fino ad Antiochia e poi ad Alessandria. La popolazione di questa città lo aveva gratificato di motti pungenti e mordaci; C. la ripagò con una raccapricciante carneficina che non può non parere mostruosamente inadeguata alla causa. Tornato in Antiochia, C. diede inizio alla campagna contro i Parti. Chiamò a sé il re dell'Osroene, lo trattenne prigioniero e ne occupò lo stato. Rifece di Edessa una colonia romana. S'impadronì pure di Vologese, re di Armenia, ma non riuscì ad occuparne il paese. Tuttavia passò il Tigri, devastò la Media, e tornò a Edessa con l'animo di prendere la campagna ancora alla primavera. Ma l'8 di aprile del 217, mentre si recava a Carre a fare un sacrificio al dio Luno, fu ucciso dalla sua scorta, a istigazione del comandante Opellio Macrino.
C. era basso di statura, e robusto; sopportava i disagi e le fatiche della milizia. Fu tuttavia travagliato, specie negli ultimi anni, da infermità non ben note, di cui invocava la guarigione dagli dei. Da fanciullo si era mostrato buono ed affettuoso; divenne poi duro e intrattabile e si fece presto torvo e sanguinario. Prnfessò un culto sconfinato per Alessandro il Grande; gli fece alzare statue e cercò d'imitarme il portamento con l'aspetto accigliato e il capo piegato a sinistra. Il soprannome di C. gli derivò dalla veste gallica così chiamata, ch'egli prediligeva e di cui faceva larghe distribuzioni.
Bibl.: Schiller, Gesch, der röm. Kaiserzeit, I, Gotha 1883, pp. 739-55; Dessau, Prosop. imp. Rom., III, Berlino 1898, p. 203 segg.; De Ruggiero, Diz. epigr., II, pp. 104-111; P. von Rohden, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl der class. Altertumswiss., II, col. 2434 segg.
L'editto di Caracalla. - È quella costituzione, detta antoniniana, per mezzo della quale Caracalla l'anno 212 d. C. elargì la cittadinanza romana agli abitanti liberi dell'Impero che ne erano ancora privi. Di questo importante atto è rimasta nelle antiche fonti una certa eco, sebbene in parte alterata da confusioni e da errori sulla persona dell'autore. La data di promulgazione dell'editto in Roma è certamente posteriore alla morte di Geta, cioè al 1° gennaio 212; d'altro lato non può affermarsi con sicurezza se sia anteriore o posteriore all'11 luglio 212, pur considerando la grave probabilità che il primo testo conservato nel papiro di Giessen 40 sia la redazione greca dell'editto (v. sotto). In Egitto (l'unica provincia per cui si hanno dati utili allo stato attuale delle ricerche) la costituzione antoniniana fu conosciuta approssimativamente dopo il 27 ottobre 212 e in Alessandria prima del 10 febbraio 213.
Quanto alle cause che indussero l'imperatore e il consiglio imperiale alla promulgazione dell'editto, sembra che i motivi di carattere fiscale esposti sommariamente da Cassio Dione (77, 9, 5) e il fine di guadagnarsi con un atto nelle apparenze liberale degli aderenti fra i provinciali come compenso alle ostilità delle più alte classi della società romana dopo la tragica fine di Geta, non siano stati fra gli ultimi; nello stesso tempo però l'editto va ricollegato alle tendenze livellatrici della politica dei Severi, alla luce della quale la nuova concessione di Caracalla rappresenta un grande passo in avanti sulla via per cui la base vera della forza dell'Impero s'andava spostando sempre più verso i provinciali meno romanizzati, più prossimi alle frontiere.
Per quel che riguarda l'estensione del beneficio della cittadinanza, gli studî recentissimi, in base ai nomi personali che compaiono nei documenti posteriori al 212 restituiti in gran numero dalle sabbie dell'Egitto, hanno dimostrato ormai come la concessione stessa debba considerarsi del tutto generale, in pieno accordo con l'affermazione unanime trasmessaci dall'antichità. Da questa orbita così estesa due piccoli gruppi soltanto, come tutto fa ritenere, furono esclusi: i liberti dediticii ex lege Aelia Sentia, cioè i liberti della più infima condizione, e i barbari dediticii, cioè quei gruppi barbarici capitolanti che, o incorporati nelle file dell'esercito romano o distribuiti nell'interno dell'Impero, erano privi di diritti civili e in una condizione analoga, sotto certi aspetti, a quella dei liberti ex lege Aelia Sentia. Esattamente nel senso così accennato va intesa la frase χως[ὶς] τῶν [δεδ]ειτικίων = exceptis dediticiis, ricorrente alla lin. 9 del primo testo contenuto nel papiro greco 40 di Giessen, testo che purtroppo è assai frammentario: invero delle 31 linee di scrittura che lo componevano sono rimasti soltanto i frammenti (taluni dei quali ridotti a minime proporzioni) delle prime dieci righe. In esse, dopo un preambolo di carattere religioso, si dichiara in prima persona di concedere la cittadinanza romana; a questa dichiarazione tien dietro una breve frase del tutto frammentaria in cui si accenna a voler mantenere una qualche cosa o un qualche rapporto, che ora, per lo stato del testo, non è ben determinabile; e immediatamente dopo ricorre l'inciso χωρ[ὶς] τῶν [δεδ]ειτικίων, seguito a sua volta da poche altre frasi di contenuto alquanto vago. Da questi esili resti non è agevole fissare con certezza il carattere del documento, ma data la posizione che occupa nel papiro di Giessen 40 e considerato il carattere di quest'ultimo (è una piccola raccolta di ordinanze imperiali che si susseguono in ordine cronologico) è più probabile che sia il testo greco, anche se abbreviato in più parti meno necessarie, della costitutio Antoniniana che non il testo di un editto di complemento alla costituzione stessa, concernente i barbari che si andavano stanziando entro l'Impero, come di recente si è cercato di dimostrare.
Tornando all'esame della portata dell'editto, oltre ai barbari dediticii e ai liberti ex lege Aelia Sentia, altri gruppi dopo il 212 compaiono ancora senza la cittadinanza romana, e cioè taluni fra i componenti qualche corpo speciale dell'esercito romano (equites singulares, classarii e auxiliarii), le peregrini iuris feminae di cui si parla nei diplomi rilasciati ai veterani delle coorti urbane e pretorie. Senza restringere affatto l'estensione del beneficio concesso da Caracalla, il fatto è spiegato con la circostanza che questi gruppi possono aver appartenuto o a popoli barbari indipendenti, o a quelle popolazioni abitanti sui confini, o al di là di essi, considerate estranee all'Impero, o a popolazioni sottomesse dopo l'editto, alle quali ancora non era stata concessa la cittadinanza romana, o, infine, ai Latini Juniani, che pur essendo praticamente dei liberti, dal punto di vista giuridico e politico erano considerati ancora in uno stato di soggezione personale all'antico dominus.
Un altro risultato che le ricerche più recenti hanno reso abbastanza probabile, per la meno nei riguardi di alcune provincie, è che non a tutti i nuovi cittadini sembra spettare il diritto ad entrare nella carriera politica di grado elevato e che ne fossero escluse le classi infime della popolazione provinciale. Infine va ricordato come all'indomani dell'applicazione dell'editto, specie nelle provincie orientali, sorgesse aspro il conflitto fra il diritto romano che doveva diventare il diritto privato dei novelli cittadini e i diritti locali, i quali finirono con reagire e penetrare nello stesso diritto romano particolarmente dal sec. IV in poi.
Bibl.: Griechische Papyri im Museum des Oberhessischen Geschichtsvereins zu Giessen, I, ii, Lipsia-Berlino 1910, pp. 29 segg., 43 seg.; I, iii, 1912, pp. 164-165; V. Capocci, La "Constitutio Antoniniana", in Memor. d. R. Acc. d. Lincei, Class. sc. mor. stor. e filol., s. 6ª, I, Roma 1925, fasc. 1°; G. Segrè, in Studi in onore di S. Perozzi, Palermo 1925, pp. 155-216; E. Bickermann, Das Edikt des Kaisers Caracalla in P. Giess. 40. (Inauguraldissertation), Berlino 1926; A. Segrè, in Rivista di Filologia, n. s., IV (1926), pp. 471-487; G. De Sanctis, ivi, pp. 488-500; I. Vogt, in Gnomon, III (1927), pp. 328-333; R. Laqueur, in Schriften der Giessener Hochschule, 1927, p. 15 segg.; P. M. Meyer, Zeitschrift der Savigny Stiftung für Rechtgeschichte, Röm. Abt., XLVIII (1928), pp. 595-97.