CAPROTTI, Gian Giacomo de', detto Salaj (Andrea Salaino)
È menzionato per la prima volta nei quaderni di Leonardo da Vinci, ove (Richter, p. 363, n. 1458) si può leggere che il giorno di S. Maria Maddalena (cioè il 22 luglio) dell'anno 1490 era venuto ad abitare con ui un bambino di dieci anni di nome Giacomo. Dopo il 1491 non troviamo più, nei quaderni, riferimenti specifici al C. fino al 29 genn. 1494: da questa data frequenteniente, per oltre un decennio, Leonardo riprese ad annotare fatti direttamente concernenti il suo pupillo (ibid., p. 378, n. 1517 e passim), chiamandolo invariabilmente Salaj.
Il soprannome, senza ulteriori specificazioni, ebbe ampia diffusione nel Cinquecento, e s'incontra negli scritti dell'Anonimo Gaddiano nel quinto decennio del secolo, in Vasari nel 1550 e nel 1568, e in Lomazzo nel 1584 (p. 437). Questo nomignolo veniva adoperato quasi a riassumere a mo' di epiteto il carattere del giovane artista. Veramente, è anche possibile che esso derivi da un brano del Morgante pulciano, ove la parola Salaj designa il diavolo o uno dei suoi accoliti (Rajna, 1925), qualifica che calzava bene al C., come si vedrà in seguito.
Il C. era noto anche col diminutivo di Salaino, forma che, a quanto pare, fu introdotta nella letteratura dal Lomazzo (p. 666). Alcuni anni dopo il Morigia (1619) confuse Salaino con Andrea Salerno, un seguace di Cesare da Sesto, e gli diede il nome di Andrea. Il nome di Andrea Salaino trovò credito presso R. du Fresne (Trattato della pittura di Lionardo da Vinci, Paris 1651, introduzione), il quale accertò che si trattava di un allievo di Leonardo, e non di Cesare da Sesto come aveva sostenuto il Morigia. Da allora sia "Salai" (o le varianti "Salai" e "Salay") sia "Andrea Salaino" vennero adoperati indifferentemente. Oggi sappiamo però, grazie soprattutto al Caffi (1878), al Calvi (1919), e al Möller (1928) che Salai o Salaino è proprio quel Giacomo che era entrato a far parte della casa di Leonardo nel 1490.
Documenti notarili contemporanei registrano la forma corretta del nome e cognome del C. e la paternità (Gian Pietro da Oppreno, cioè Oreno, presso Monza), oltre alla notizia che l'artista morì a quarantaquattro anni, senza aver fatto testamento, a Milano nel 1524, e che sue eredi furono le sorelle Angelina e Lorenzina (Caffi, p. 95; Beltrami, 1920, docc. IX, X, XIII).
Il C. era malizioso e infido, veramente diabolico. Sin dal giorno successivo alla sua entrata in casa di Leonardo, fu accusato (e l'accusa verrà ripetuta susseguentemente con sconcertante regolarità) di aver rubato del denaro e vari altri oggetti, e venne persino colto sul fatto. L'elenco fatto da Leonardo dei furti e delle malefatte del C. - tra cui il versare vino e il rompere caraffe volutamente - continua fino all'esasperazione: "ladro, bugiardo, ostinato, ghiotto", scrive nel 1491 (Richter, p. 363, n. 1458). Sei anni dopo, il C., che era ormai diciassettenne, venne di nuovo sorpreso a rubare del denaro (ibid., p. 379, n. 1523): "Salaj ruba li soldi", è il commento laconico e rassegnato di Leonardo. Ma il C. aveva forse tratti di generosità e di lealtà che controbilanciavano i difetti del carattere: nel 1508 Leonardo annotava (ibid., p. 380, n. 1528) che egli aveva preso in prestito 13 scudi "per compiere la dota alla sorella". Era anche affascinante e di bell'aspetto. Per dirla col Vasari (p. 37) "era vaghissimo di grazia et di bellezza, avendo begli capegli, ricci et inanellati". Queste qualità positive, oltre al suo essere servizievole ("suo servitore" è l'occupazione attribuitagli nel testamento di Leonardo e in altri documenti: Beltrami, 1919, nn. 244, 241) bastavano a serbargli l'affetto di Leonardo. Il C. rimase fedele a Leonardo per molti anni, e lo seguì ovunque, a Firenze nel 1499 quando Leonardo partì da Milano, e probabilmente quando il maestro tornò a Milano nell'anno 1506, di nuovo nel 1509, e a Roma poi nel 1513. La separazione avvenne nel 1517: in quell'anno Leonardo si stabilì in Francia e il C. a Milano, in una casa chegli aveva costruito nella vigna di Leonardo fuori porta Vercellina, della quale successivamente, per lascito testamentario del maestro, ottenne una parte.
Il C. era qualcosa di più di un semplice factotum di Leonardo. Un testimone oculare degli eventi dell'epoca, fra' Pietro da Novellara, in una lettera scritta nel 1501 a Isabella d'Este (Beltrami, 1919, n. 108), e anche l'Anonimo Gaddiano e il Lomazzo (p. 666), lo definiscono, allievo di Leonardo, e il Vasari (p. 37) riferisce che Leonardo gli aveva insegnato molto nel campo dell'arte. Ma non sappiamo assolutamente nulla della sua carriera artistica. Su questo punto le fonti cinquecentesche o tacciono o sono di una vaghezza desolante. Vi è l'offerta, evidentemente rimasta inesaudita, che il C. rivolse a Isabella d'Este nel 1505, tramite l'agente di questa Luigi Ciocche, di eseguire per lei "qualche cosa galante" (Beltrami, 1919, n. 157), ma non sappiamo che cosa avesse in mente. Probabilmente egli ebbe una qualche parte nell'esecuzione di ritratti che, a quanto riferisce fra' Pietro da Novellara, gli allievi di Leonardo stavano dipingendo nel 1501, con la partecipazione distratta e sporadica del maestro (ibid., n. 108). Questi ritratti non sono però stati identificati, come pure i dipinti, non specificati, che a detta del Vasari (p. 37) venivano attribuiti al C. a Milano e che erano stati "ritocchi" da Leonardo.
Col Seicento gli scrittori d'arte diventano più precisi - benché non credibili - circa i dipinti che essi attribuiscono al Caprotti. Morigia, nel 1619, fu il primo a dare una paternità ad opere che riteneva eseguite dall'artista da lui chiamato Andrea Salaino. Si trattava di due dipinti raffiguranti S. Girolamo penitente nella chiesa milanese di S. Girolamo, già scomparsi quando li ricordava C. Torre (1674, p. 176). Con ogni probabilità erano opere di Andrea Salerno, col quale il Morigia aveva confuso il Caprotti. Successivamente fu il padre S. Resta che, alla fine del sec. XVII, attribuì al C. la notissima copia della Vergine col Bambino e con s. Anna di Leonardo. Questa era allora collocata nella sagrestia della chiesa. di S. Celso a Milano (I. Fumagalli, Scuola di Lionardo da Vinci in Lombardia, Milano 1811, pagine non num.: copia facsimile di una lettera attribuita al Resta databile intorno al 1696), e si trova ora nella collezione della università di California a Los Angeles. La competenza ed il gusto estetico del Resta sono però oggi ampiamente screditati, e le sue informazioni non sono di per sé attendibili.
Altre opere furono aggiunte al corpus di dipinti del C. prima del Novecento. S. Latuada (Descrizione di Milano, Milano 1737, II, p. 75) gli attribuì una Sacra famiglia con s. Giovanni, oggi nella Pinacoteca di Brera, ma trattasi di opera di Cesare Magni. L. Lanzi (nella sua Storia pittorica dell'Italia, Bassano 1795-96; p. 418), oltre alla Vergine col Bambino e con s. Anna in S. Celso tratta dal cartone di Leonardo, attribuì al pittore una copia - conservata oggi alla Ambrosiana a Milano - del S. Giovanni Battista di Leonardo, al Louvre, e anche un "vivacissimo" ritratto virile, non identificato, ch'egli aveva visto a palazzo Arese, "e non molti altri pezzi". Infine, nel 1809, venne attribuita - senza motivi plausibili - al C. anche la pala d'altare con Madonna e Bambino con i ss. Pietro e Paolo della chiesa di S. Andrea alla Pusterla, trasferita in quell'anno nella Pinacoteca di Brera (Thieme-Becker).
Delle opere attribuite al C. in passato due in particolare continuano a essergli riferite: la Vergine col Bambino e con s. Anna di S. Celso e il S. Giovanni Battista dell'Ambrosiana. Vi è stata inoltre una inflazione di nuove attribuzioni, di disegni e di dipinti (e persino di ritratti, verosimilmente dipinti da Leonardo e da suoi seguaci, che sono stati interpretati come autoritratti del Caprotti). Ma nessuna di queste attribuzioni sembra essere convincente: esse sono state avanzate da Passavant (cfr. Milanesi in Vasari, p. 60), Möller (1918 e 1928) e, lite e senza discussione, in Leonardo da Vinci. Edizione curata dalla Mostra di Leonardoda Vinci in Milano (Novara 1939, didascalie alle illustrazioni di pp. 33, 68, 78, 81, 83, 328). Sicché rimaniamo senza un corpus convincente di opere che ci permetta di individuare lo stile e l'evoluzione della personalità artistica del Caprotti.
Fonti e Bibl.: G. Vasari, Le vite... a cura di G. Milanesi, IV, Firenze 1879, pp. 37 s., 59 s.; Il codice dell'Anonimo Gaddiano, a cura di C. de Fabriczy, Firenze 1893, p. 76; G. P. Lomazzo, Trattato dell'arte de la pittura, Milano 1584, pp. 436 s., 666; P. Morigia, Nobiltà di Milano, Milano 1619, p. 459; C. Torre, Il ritratto di Milano, Milano 1674, pp. 78, 176; M. Caffi, Di alcuni maestri di arte nel sec. XV in Milano, in Arch. stor. lombardo, V (1878), pp. 95 s.; W. von Seidlitz, Leonardo da Vinci, Berlin 1909, I, p. 158; II, passim; H. Cook, Leonardo da Vinci and some copies, in The Burlington Magazine, XX (1911-1912), pp. 129 ss.; G. Calvi, Contributi alla biogr. di Leonardo da Vinci, in Arch. stor. lombardo, XLIII (1916), pp. 469 ss.; E. Möller, Zwei bisher unerkannte Bildnisse der Mona Lisa, in Monatshefte für Kunstwissenschaft, XI (1918), pp. 1 ss.; G. Calvi, Il veronome di un allievo di Leonardo: G. G. de' C. detto Salai', in Rass. d'arte, XIX (1919), pp. 138 ss.; L. Beltrami, Doc. e mem. riguardanti la vita e le opere di Leonardo da Vinci, Milano 1919, passim; Id., La vigna di Leonardo da Vinci, Milano 1920, pp. 23 ss.; P. Rajna, Appendice alla soluzione di un enigma vinciano, in IlMarzocco, 14 giugno 1925, p. 1; G. Calvi, Imanoscritti di Leonardo da Vinci, Bologna 1925, passim; E. Möller, Salai und Leonardo da Vinci, in Jahrbuch der Kunsthistor. Sammlungen in Wien, II (1928), pp. 139 ss.; W. Suida, Leonardo und sein Kreis, München 1929, pp. 227 ss.; W. R. Valentiner, Leonardo da Vinci. Loan Exhibition,Los Angeles County Museum, Los Angeles 1949, pp. 88 s., n. 35; J. P. Richter, The literary Works of Leonardo da Vinci, London 1970, II, passim; U. Thieme-F. Becker, Künstler-Lexikon, XXIX, pp. 333 s. (sub voce Salaj).