CAPRICCIO (fr. caprice)
Secondo la definizione di Michele Praetorius (1608) è una specie di fantasia improvvisata, nella quale si passa da un tema all'altro. Quindi sinonimo, in origine, di fantasia e anche di ricercare. Più tardi, col Frescobaldi e col Poglietti, si accosta anche alla canzone.
La migliore definizione è dunque quella che viene suggerita dalla parola capriccio; libertà, estrosità, stravaganza, espresse durante un periodo plurisecolare, in polifonia strumentale. Ciò comporta un trattamento tematico ricco di trasformazioni, frequenza di modulazioni ritmiche e associazione liberissima di momenti apparentemente slegati l'uno dall'altro. I capricci sono numerosi nella musica da liuto e da tastiera. I primi stampati sono: del conte Roncalli, per liuto (1594), di Francesco Stivori per strumenti varî (1599), e di Giovanni Maria Trabaci per strumenti a tastiera (1603). Attraverso il Frescobaldi, il Poglietti, il Froberger, giungiamo al capriccio, in più tempi, di G. S. Bach Sopra la partenza del suo fratello dilettissimo.
Nella musica per violino il capriccio è spesso bizzarria onomatopeica e appare in Biagio Marini nel 1629 (Capriccio che due violini suonano in quattro parti e Capriccio per sonare il violino con tre corde a modo di lira) e con Carlo Farina nel 1621 (Capriccio stravagante a quattro), nel quale s'imita la lira, il pifferino della soldatesca, la gallina, il gallo, il gatto, ecc. e si suonano note col legno ossia col dorso dell'arco. Altri autori: G. B. Vitali (1669), G. Bonaventura Viviani (1678), C. Valentini (Bizzarrie op. 1), A. Zani, Spadina, ecc. Il Marini e il Farina, che risiedevano in Germania, furono presto imitati dai Tedeschi (Verdanck, Löwe, Biber, Walter). In Francia troviamo il capriccio soltanto nel Settecento col Rebel (1713) e col Guillemain (1762) perché l'arte violinistica francese è ritardataria, rispetto alla tedesca e all'italiana.
Il capriccio violinistico del Settecento, sempre per impulso degli Italiani, prende aspetto di studio estroso e virtuosistico: Locatelli (1733); F. M. Veracini (1744); Tartini (Capricci postumi che, in realtà, non sono altro che le 17 variazioni - diminuzioni - di un adagio del Tartini, pubblicate per primo da G. B. Cartier in L'Art du violon, Parigi 1798). Seguono Francesco Cozzi, Nicola Mestrino, Rodolfo Kreutzer, Pietro Rode e finalmente Niccolò Paganini, con i suoi capricci (trascritti per pianoforte da R. Schumann nell'op. 3 e nell'opera 10). Dal Settecento in poi è spesso difficile distinguere tra scherzo e capriccio. Dopo Paganini nella musica violinistica e nella strumentale in genere, la parola capriccio ha un significato sempre più vago e sempre più difficilmente riducibile a elementi formali o tecnici (p. es., il Caprice espagnol di Rimsky-Korsakov). Capriccio, nel concerto, fu anche sinonimo di cadenza; significato derivato arbitrariamente, secondo ogni probabilità, dall'Arte del violino del Locatelli, e che ebbe corso in Germania (v. J. A. Scheibe, Der Kritische Musicus, Amburgo 1738, II, pp. 636-37).
Esiste anche il capriccio vocale: Ludovico Balbi (1586), F. Puliti (1605; specie di solfeggi senza testo), Giacomo Bonzanini (1616; a quattro voci). Inoltre: Giov. Croce, il Manenti, il Fonghetti, P.P. Sabbatini e in genere tutti gli autori di scherzi vocali (ad esempio, Monteverdi) o di ghiribizzi (E. Paganini), ecc.
Nelle arti del disegno, secondo la definizione del Baldinucci, il capriccio è opera d'arte che nasce da un'improvvisa fantasia dell'autore: in esso, cioè, l'autore non mette che un proprio svagato pensiero e una propria estrosa invenzione. Nei Capricci di varie figure che J. Callot eseguì per il principe Lorenzo de' Medici, e in cui sono compresi il frontispizio e la dedica, vi è una serie di figure isolate, o di vedute di Firenze e della sua campagna, scene campestri, contadini, pastori, danze, duelli, battaglie, aggressioni, la cui riproduzione resta generalmente nei limiti di una visione normale, per quanto realistica; e soltanto in qualche tipo stranamente camuffato, in qualche atteggiamento contorto e in un giro tondo fa la sua apparizione il genere grottesco. Nei Caprichos del Goya che comprendono gli 80 disegni del Prado a Madrid e un ugual numero di acqueforti e acquetinte, predomina la satira pungente e l'acre ironia contro i costumi corrotti, i pregiudizî, le ipocrisie e le imposture del suo tempo.
Bibl.: F. Baldinucci, Vocabolario toscano dell'arte del disegno, Firenze 1681, p. 28; J. Meder, Die Handzeichnung; ihre Technik und Entwicklung, Vienna 1919, p. 285.