MATAPAN, Capo (A. T., 75-76)
È il capo più meridionale del Peloponneso. È delimitato ad ovest dal golfo di Messenia e ad est dal golfo di Laconia e si trova a 22° 28′ di longit. Greenwich e a 36°24′ di latit. nord.
La battaglia del Capo Matapan. - Il continuo susseguirsi di convogli che da Alessandria e dai porti della Cirenaica trasportavano, durante la seconda Guerra mondiale, truppe e materiali britannici in Grecia, aveva indotto il comando italiano a far compiere un'incursione nell'Egeo e al sud di Creta, con le navi più veloci guidate dalla nuova corazzata Vittorio Veneto in funzione d'incrociatore corazzato, in modo che il complesso delle unità potesse sostenere una velocità costante sulle 28 miglia orarie. La partenza dalle rispettive basi dei varî gruppi partecipanti all'incursione avvenne per alcuni la sera del 26 marzo 1941 per altri il 27 mattina. Data la vigilanza assidua organizzata dagl'Inglesi sui movimenti della flotta italiana, essi, secondo quanto rivelò il rapporto dell'amm. Cunningham all'Ammiragliato (reso noto nell'estate del 1947), conoscevano esattamente le predisposizioni di questa iniziativa. Fu disposta perciò la sorveglianza aerea a sud di Capo Spartivento, dove i varî gruppi dovevano riunirsi alla Vittorio Veneto, nonché la partenza della Divisione Orion che si trovava al Pireo e il suo appostamento presso l'isolotto di Gaudo per l'alba del 28 marzo, cioè nello stesso momento dell'arrivo delle forze italiane. L'aerodromo di Maleme venne informato, e due sommergibili si spostarono non lontano dall'entrata nell'Egeo ove doveva penetrare il gruppo Zara: Suda venne rinforzata dall'incrociatore contraereo Carlisle e vennero tenuti pronti 3 caccia e tutto il naviglio silurante greco; altri sommergibili erano stati mandati nel golfo di Taranto. Le informazioni italiane su quanto avveniva ad Alessandria si basavano invece esclusivamente sull'osservazione aerea: la città era stata sorvolata alle ore 11,30 del 27 marzo, mentre le 3 corazzate Warspite, Barham e Valiant erano tuttora in porto con la portaerei Formidable e 9 caccia. Nel pomeriggio la seconda ricognizione non fu nemmeno tentata per le avverse condizioni atmosferiche, né l'aviazione di Rodi poté sostituire quella germanica per deficiente autonomia. Evidentemente un'incursione così lontana dalle coste italiane sarebbe stata eccessivamente azzardata se la flotta non avesse avuto la sicurezza di essere accompagnata nelle ore diurne da numerosi apparecchi da combattimento: così fu stabilito che il X CAT, oltre alle ricognizioni su Alessandria e all'impiego in massa contro le navi nemiche, assicurasse la scorta della forza navale fino al meridiano di 21°, cioè fino alle coste occidentali della Grecia, e che a levante i velivoli di Rodi lo sostituissero. Questi accordi non ebbero pratica attuazione, infatti un ricognitore britannico di grande autonomia sorvolò per lungo tempo indisturbato la squadra raccolta nello Ionio e ne informò Alessandria. Così a 120 miglia da Messina essa si trovò senza scorta, scoperta dall'avversario, senza notizie delle forze corazzate nemiche e a distanza tale dai suoi obiettivi-esplorazioni in Egeo a sud di Gaudo, da dar tempo all'avversario di contromanovrare. Infatti un convoglio che si trovava al sud di Creta fu dirottato per il passo di Caso, un altro che doveva lasciare il Pireo non fu fatto partire, mentre la divisione Orion si portò, come previsto, al sud di Gaudo in attesa di congiungersi alla squadra di Alessandria, che partì dopo il tramonto per non esser vista dagli aerei. Con relazione alla situazione, che al tramonto del 27 gli era nota, il comando della Marina italiana prese la decisione di sospendere l'incursione in Egeo, ma di far continuare quella a sud di Gaudo. All'alba del 28 marzo la divisione Zara si riunì al gruppo Vittorio Veneto, mentre nessun velivolo, né tedesco, né di Rodi era in vista. L'amm. Jachino, comandante in capo, fece allora catapultare i velivoli delle navi: alle 6,35 quello della nave ammiraglia avvistò la divisione Orion di 4 incrociatori da 7000 t. e 8 cannoni da 152 mm. e 4 caccia della classe Tribal con rotta SE. Fu ordinato alla divisione Trieste, su 3 unità da 10.000, di aumentare la velocità a 30 nodi e inseguire l'avversario. Alle 8,12 la divisione Trieste, giunta a 22.000 m. di distanza, iniziò il fuoco con i 203 mm.; secondo la versione inglese, la divisione Orion continuò nella sua rotta con lo scopo di farsi inseguire per avvicinare l'avversario alle corazzate dell'amm. Cunningham e farlo entrare nel raggio d'azione degli aerosiluranti della portaerei Formidable che precedeva la squadra. Secondo il rapporto dell'Orion il tiro dei Trieste fu subito accurato e concentrato sul Gloucester, che cominciò a zigzagare. L'amm. Jachino, interpretando che l'intenzione nemica era quella di attirarlo sempre più lontano dalle basi italiane, ordinò la sospensione del fuoco e di invertire la rotta. Gli incrociatori inglesi imitarono la manovra mantenendosi fuori tiro, un po' spostati verso Creta, cioè rilevando le navi italiane di prora a sinistra. Ancora più a terra delle navi britanniche navigava la Vittorio Veneto, non ancora avvistata dall'ammiraglio avversario. Le navi dei due partiti navigavano perciò su tre linee parallelle inglesi in mezzo, ma alquanto arretrate, la Vittorio Veneto sulla loro dritta e i Trieste sulla sinistra. L'amm. Jachino pensò allora di prendere gli Inglesi fra due fuochi e ordinò a tutte le navi d'invertire la rotta: l'avvicinamento al nemico divenne perciò la somma delle due velocità. Alle 10,50 la Vittorio Veneto aprì il fuoco con i suoi 381. Solo allora gli Inglesi si accorsero di aver di fronte una corazzata e immediatamente invertirono la rotta, allontanandosi a tutta forza. Alle 11,18, sopraggiunti i velivoli siluranti, la Vittorio Veneto fu costretta a manovrare per evitare i siluri e a sospendere il tiro contro nave. Allontanatosi il nemico, l'amm. Jachino riprese con tutte le navi la rotta per rientrare alla base. I siluranti inseguirono, ma anche il loro attacco contro i Trieste, compiuto a mezzodì, fu senza effetto: agli aerei della Formidable si erano ora uniti quelli dell'aerodromo di Maleme a Creta, che si trovava a 75 miglia dalla squadra. La ben concepita manovra in vicinanza di Gaudo non avrebbe avuto esecuzione se l'ammiraglio fosse stato informato della posizione del grosso avversario: in complesso, essa, per deficienze esplorative, fece il giuoco del nemico.
Per tutto il pomeriggio del 28 marzo gli attachi dei bombardieri e dei siluranti non ebbero un momento di requie. Alle 15,19 la Vittorio Veneto subì l'attacco coordinato di bombardieri in quota e di tre aerosiluranti: uno di questi, giunto a 1000 metri in fiamme, mentre si inabbissava, riuscì a sganciare il suo siluro che colpì la nave presso l'elica esterna di sinistra, sfondando il locale di manovra del timone di sinistra: contemporaneamente una bomba di grosso calibro scoppiava a pochi metri dalla poppa, a dritta, con invasione di 4000 t. di acqua che produssero un lieve sbandamento della nave e un appoppamento rilevante. Il timone di sinistra rimase inutilizzato per pochi minuti e le macchine si fermarono: dopo 12 minuti solo le macchine di dritta ripresero a funzionare: e la nave, dopo due ore, poté, con successivi aumenti, raggiungere i 19 nodi. Taranto distava ancora 420 miglia. L'ammiraglio richiese il concorso dell'aviazione tedesca, che per l'ora tarda rifiutò di partire: egli dispose allora le sue navi su 5 colonne, la Vittorio Veneto al centro, seguita e preceduta da due caccia, sui fianchi una divisione di incrociatori pesanti per parte a soli 1000 metri ed esternamente alle divisioni le rispettive squadriglie di caccia. Alle 19,24 gli 8 velivoli siluranti che da circa un'ora seguivano la squadra fecero un primo attacco infruttuoso da circa 2800 m. Alle 19,50, su rotta nord-ovest, la squadra subì un nuovo attacco; il Pola, colpito al centro, si arrestò immediatamente con allagamento di 4 compartimenti dell'apparato motore: ogni macchinario azionato anche indirettamente da vapore (artiglierie, luce, radio) cessò di funzionare. Il comandante in capo radiosegnalò gli ordini per assumere una formazione di marcia più maneggevole per la notte e, appena venuto a conoscenza (20,18) del siluramento del Pola, ordinò a tutta la divisione Zara di retrocedere per portargli soccorso, respingendo il suggerimento del suo subordinato, amm. Cattaneo, di mandare due soli caccia. Questo fatto si è prestato a critiche, gìacché non era da ritenere impossibile l'incontro dei due incrociatori dell'amm. Cattaneo con forze inglesi, ad es. quelle combattenti presso Gaudo, dopo circa 3 ore dal siluramento. È d'altra parte strano che la divisione Zara, anziché farsi precedere dai suoi caccia, li abbia tenuti di poppa ed abbia ridotta la sua velocità. Intanto il comandante in capo della squadra britannica, a conoscenza del nuovo siluramento, inviò due squadriglie di caccia alla ricerca della flotta italiana, che procedeva, secondo le informazioni, a velocità di 13 nodi con rotta 2950 e doveva trovarsi a sole 33 miglia dalla sua nave. In realtà, la Vitiorio Veneto con la sua scorta era in rotta per 3230 e a 19 nodi di velocità: i dati tanto errati fanno comprendere come la squadra poté proseguire incolume fino a Taranto, ove giunse il 29 alle 15,30 scortata da velivoli germanici ed italiani. Mentre sulla Vittorio Veneto si emanava allo Zara l'ordine di soccorrere il Pola, l'incrociatore Orion, nave divisionaria dell'amm. Pridham-Wippell, che inseguiva la squ. 1dra italiana, alle 20,15 scopriva per mezzo del radar una nave di grandi dimensioni ferma o a lentissimo moto: la stessa scoperta feceil radar dell'Ajai alle 20,33; la sua comunicazione radio giunse sul Warspite alle z1, 11. L'amm. Cunningham, per passare vicino al bastimento segnalato, modificò la sua rotta e, dopo una nuova scoperta al radar della corazzata Valiant, che seguiva la Warspite ed aveva di poppa la Formidable e la Barham, fece accostare ad un tempo le sue navi di 400 a sinistra per correre sul relitto, ormai a sole 6 miglia. Erano le 22,25 quando inaspettatamente furono avvistati di prora a dritta due grandi incrociatori con un bastimento più piccolo di prora ad essi che fu giudicato un incrociatore leggero. Ripresa subito la linea di fila, le corazzate, mentre la Formidable si allontanava, aprirono il fuoco da circa 3600 metri. In 3 minuti prima il Fiume e poi lo Zara erano immobilizzati e in fiamme e dopo un'ora circa furono abbandonati e fatti saltare dai proprî equipaggi: i cacciatorpediniere Alfieri e Carducci furono annientati, mentre Gioberti ed Oriani con gravi avarie, morti e feriti a bordo, poterono allontanarsi e raggiungere Augusta. Anche la nave che precedeva lo zara venne data per affondata; ma essa non esisteva. Fu solo dopo la mezzanotte che il caccia Havock rintracciò il Pola, preso in un primo tempo per il Vittorio Veneto: questi non potè partecipare al combattimento per i motivi già esposti e aprì gli allagamenti. Un caccia britannico per sollecitare il salvataggio degli uomini attraccò alla nave, mentre altre unità raccoglievano quelli in mare delle altre due navi. Il Pola che stentava ad affondarsi fu finito con un siluro lanciatogli da un caccia. La battaglia di Capo Matapan era stata vinta dall'aerosilurante e dal radar.
Bibl.: A. Jachino, Gaudo e Matapan, Milano 1946; R. Bernotti, La guerra sui mari, 1939-41, I, Livorno 1948.