CAPM (Capital Asset Pricing Model)
CAPM (Capital Asset Pricing Model) Modello che spiega il meccanismo di determinazione del prezzo sul mercato dei capitali, in particolare sui mercati azionari. Fu proposto indipendentemente e quasi contemporaneamente dagli studiosi W.F. Sharpe (1964), J. Lintner (1965) e J. Mossin (1966), pur se al solo Sharpe venne per questo conferito il Nobel per l’Economia nel 1990.
Il modello si basa largamente su risultati della teoria del portafoglio ottenuti da H.M. Markowitz e J. Tobin negli anni 1950. Si ipotizza che gli investitori, nel comporre il proprio portafoglio, abbiano a disposizione n titoli a rendimento aleatorio e uno non rischioso, che condividano le medesime informazioni sulle prospettive di rendimento futuro degli stessi, e che le loro scelte si basino unicamente su due parametri del rendimento: valore atteso (➔), EP, e varianza (➔), σ2P, o scarto quadratico (➔), σP, considerati come sintesi delle due caratteristiche di maggior importanza del rendimento: profittabilità e rischiosità. Ogni investitore cerca di raggiungere il miglior compromesso fra la massimizzazione del valore atteso e la minimizzazione della varianza. Tale scelta dipende dalla sua avversione al rischio (➔ rischio p): investitori maggiormente avversi al rischio cercheranno di contenere la varianza, sacrificando le aspettative di profitto; al contrario, investitori poco avversi al rischio punteranno su alti rendimenti attesi a costo di qualche rischio maggiore.
Premessa fondamentale del CAPM è l’esistenza di un unico portafoglio aleatorio ottimo (combinazione ottimale delle sole attività rischiose) per tutti gli investitori: questo è detto portafoglio di mercato. Le differenze di avversione al rischio degli investitori si manifestano solo attraverso la scelta di una differente combinazione fra portafoglio di mercato e titolo non rischioso: una maggior avversione al rischio implica una quota più alta di attività non rischiosa, quindi più bassa del portafoglio di mercato. Il portafoglio di mercato, di parametri EM, σM (rendimento atteso e scarto quadratico medio di tale portafoglio), è quello che rende massimo, fra tutti i portafogli composti solo da titoli aleatori, il rapporto (Ep−r)/σp, rapporto fra eccesso di rendimento (differenza fra rendimento atteso del portafoglio e rendimento, r, del titolo non rischioso) e scarto quadratico del portafoglio.
Il CAPM si sintetizza nella seguente equazione: EP−r=λ cov(RP, RM) (per singoli titoli, Ei−r=λ cov(Ri, RM)), dove cov sta per covarianza. Nell’equazione, che nella versione per titoli è nota come SML (Security Market Line, «retta del mercato dei titoli»), compare la costante λ che gioca il ruolo di prezzo unitario di mercato del rischio. In questo modo, la rischiosità di un titolo aleatorio è misurata nei termini della sua covarianza (collegata alla sua correlazione) con il portafoglio di mercato. Il valore del parametro λ può essere ottenuto tenendo conto che l’equazione fondamentale, avendo validità generale, deve essere soddisfatta anche dal portafoglio di mercato, dunque che (EM−r)=λ cov(RM, RM), e che cov(RM, RM)=σ2M poiché la covarianza di una variabile aleatoria con sé stessa equivale alla sua varianza; è quindi λ=(EM−r)/σ2M.
Una versione alternativa del CAPM può essere ottenuta utilizzando il rapporto cov(RP, RM)/σ2M detto coefficiente beta (simbolo βP) del portafoglio (o βi del titolo); si ha EP−r=βP (EM−r) e per singoli titoli, Ei−r=βi (EM−r). Questa versione ha il vantaggio di introdurre una sorta di unità di misura della rischiosità dei singoli titoli; è infatti βM=1, e il coefficiente beta di ogni singolo titolo esprime l’eccesso di rendimento (atteso) di un titolo tramite un multiplo βi dell’eccesso di rendimento atteso del portafoglio di mercato. Titoli ad alto coefficiente beta esaltano l’andamento del mercato e sono detti aggressivi; al contrario, titoli con coefficiente basso, o addirittura negativo, tendono a smorzarlo o a contrastarlo e vengono chiamati difensivi.
Sono state avanzate varie generalizzazioni del CAPM. Si tratta di modelli dinamici con possibilità di rivedere le scelte di portafoglio sia a intervalli di tempo discreti sia nel continuo (continuous time CAPM), come proposto da R. Merton nel 1973 e generalizzato da D.T. Breeden (1979), integrando a ogni istante le scelte di portafoglio con quelle di consumo (consumption CAPM o CCAPM). Ne consegue l’introduzione di un coefficiente beta del consumo aggregato che riassume la sensitività del rendimento di un titolo alla crescita del consumo aggregato.